Il ciclismo è uno sport che può dare molte soddisfazioni, a vari livelli.
È salutare, è possibile praticarlo ad ogni età e ad ogni livello. Consente di esplorare posti nuovi, o posti mitici, confrontarsi con percorsi o salite leggendarie per la storia che hanno. Consente di confrontarsi con gli altri, cosa sempre utile per mantenersi umili ed aperti a nuove sfide.
È uno sport che però porta con sé numerose insidie.
Può essere pericoloso. Si svolge su strade aperte dove, tranne che in gara, si circola assieme a mezzi più pesanti e spesso condotti da persone ostili ai ciclisti. È uno sport di cui si può diventare vittime, ma anche vittime di se stessi.
È un uno sport che richiede molto tempo, spesso troppo. Il limite giusto tra poco, troppo e giusto è soggettivo, ma è uno sport che porta via molto tempo. Spesso si dice che è uno sport “totalizzante”: 5h di calcetto o tennis o corsa a piedi sono un qualcosa che si verifica tra mai e forse qualche volta all’anno. 5h in bici possono, a certi livelli, essere un’uscita nemmeno troppo lunga.
Insomma, vediamo assieme 5 cose da fare e 5 cose da non fare per godere di uno degli sport, o attività fisiche in genere, più belle che ci siano.
Il ciclismo si basa sull’utilizzo di un mezzo. Per giocare a calcio non serve un “bel” pallone o delle belle scarpe. Possono aiutare, ma non è quello il punto. Nel ciclismo la bicicletta e tutta l’attrezzatura hanno una posizione spesso centrale. Troppo centrale. Il 90% dei principianti chiedono consigli riguardanti la bicicletta, le scarpe, i pedali, se mettere le mutande o meno sotto i pantaloncini col fondello, etc.
Nei forum, tra cui sicuramente il nostro, ci sono persone che discutono all’infinito di ogni soluzione come se si trattasse di mandare in orbita un satellite o accelerare il bosone di Higgs in un sincrotrone. Non è così. Per praticare il ciclismo ed averne soddisfazione non serve avere un Phd in scienze dei materiali o ingegneria per scegliere la giusta mescola delle gomme. Se non si va dal biomeccanico per “farsi mettere in sella” non si muore. Se il vostro amico o proverbiale cugggino vi racconta che gli è venuta una tendinite che gli è costata anni di inattività per essere curata, dovuta alle tacchette posizionate male o all’altezza sella sbagliata di 1mm, non dategli retta.
Per un secolo (100 anni, reali) “mettersi in sella” è sempre stato un processo empirico, fatto di prove ed errori. Bottecchia, negli anni ’20, pedalava (per 20h filate) in una posizione che farebbe inorridire qualunque biomeccanico moderno. Fausto Coppi, 20 anni dopo, idem. E cosi via. Il corpo umano non è di marmo, si adatta, non è 1mm di altezza sella che vi impedisce di vincere la tappa al Tour. Il corpo umano è malleabile ed adattabile (per fortuna, altrimenti saremmo estinti), e soprattutto ognuno è diverso dall’altro. Non esiste la “sella comoda”, o le scarpe “comode”. Esiste il comodo per ognuno di noi. Non bisogna avere paura di provare e sbagliare. Ha sempre funzionato cosi.
La stessa cosa vale per tutto il resto, dal peso all’aerodinamica. Potete permettervi di spendere migliaia di euro per componenti leggeri? Fatelo. Dureranno meno, ma non avrete di che lamentarvi. Ma se non potete permettervi la guarnitura da 200gr non è per quello che non potrete scalare la tal salita.
In generale vi consiglio una regola: non spendete più tempo ad informarvi sull’attrezzatura di quanto tempo impiegate in strada a pedalare. Lo scopo è pedalare e goderne. Non immaginarselo a bordo della bici “perfetta”.
Come si diceva il ciclismo è uno sport totalizzante, prende un sacco di tempo. Un errore frequente è pensare che più tempo si spende a pedalare meglio si sarà, secondo un rapporto costante. Non è vero. Se pedalare 10.000km all’anno fa una differenza del 40% (cifra a caso) rispetto a pedalarne 5000. 20.000km non fanno la stessa differenza rispetto a 10.000km. Man mano che l’impegno aumenta la percentuale di differenza si assottiglia. Si comincia ad entrare in una zona dove le differenze sono sfumate. Molto poi dipende dalla qualità, non dalla quantità di quello fate.
30.000km fatti a 20kmh servono ad andare a 20kmh. Punto. E comunque non cadete nella trappola secondo cui se faceste quello che fa Froome andreste come Froome. Non è cosi. Nel gergo dei professionisti si parla di “fare la vita”, ovvero l’avere come unico scopo nella vita il ciclismo: pedalare, allenarsi, mangiare il giusto e niente distrazioni. Fare la vita non dovrebbe essere un’ambizione per un amatore. Spesso non lo è nemmeno per un professionista.
Non è vero che solo il professionista “impeccabile” ha vinto. È pieno di esempi di professionisti sregolati che vincevano uguale. E comunque si tratta di un rapporto costi/benefici: ci sono persino professionisti che facendo il 50% in meno di altri hanno vinto quasi uguale. Funzionava così a scuola, funziona cosi sui pedali. Il punto è che fare un’attività sportiva deve servire ad un equilibrio di vita sano. Passare 8h al giorno in bici non rientra in nessun equilibrio. Rientra nelle fissazioni o nelle ossessioni. E queste sono sempre a detrimento del resto. Pedalare per provare qualcosa a qualcuno o a se stessi va bene, ma rimanendo consapevoli dei propri limiti. Scoprirli è parte importante del ciclismo.
Allenarsi, mangiare bene, curare la propria preparazione fa parte del ciclismo, ma viene sempre il momento del confronto. C’è chi lo cerca nelle granfondo o nelle gare in generale, c’è chi lo evita ad ogni costo. Il confronto può essere utile, può servire per “posizionarsi”: inutile pensare di essere dei fenomeni e poi ad ogni gara avere una scusa per non aver fatto il risultato. I ciclisti hanno scuse pronte per ogni evenienza: soprattutto quelli che non sopportano di non essere i fenomeni che credono di essere.
Altri evitano il problema alla radice, evitando ogni confronto, uscendo sempre da soli, cercando di non “gareggiare”, salvo poi vantarsi delle proprie prestazioni mirabolanti in eventi senza classifica.
Il confronto è stimolo. Perdere fa parte del gioco. Migliorarsi fa parte del gioco. Il punto è che bisogna essere in pace con se stessi, non sognare di essere quello che non si è e vivere da frustrati la propria passione. Ci sarà sempre qualcuno meglio di noi, e qualcuno peggio di noi. L’importante è godere di quello che si fa. Rimanere aperti verso gli altri, imparare dagli altri quando si può. E non vivere male ogni confronto. Il fondo da raschiare si chiama Doping. La giustificazione estrema ad essere ciò che non si è.
Uno può informarsi quanto vuole, come vuole, indirizzarsi a qualunque figura professionale o semi-professionale (o il solito cuggino), ma la differenza la fa l’esperienza. Niente conta come imparare le cose facendole. Gli anglosassoni mettono spesso in bocca a Fausto Coppi una frase che in realtà proviene dai poeti ottocenteschi inglesi: “l’età e la scaltrezza hanno la meglio sulla giovinezza e l’esuberanza“. Chiunque l’abbia detta è una verità che si sposa bene col ciclismo.
Niente insegna meglio nel ciclismo che provare e sbagliare. Tutti hanno sbagliato, tutti hanno avuto “la cotta”, tutti si sono ritirati da qualcosa. Chi non lo ha fatto manca di una parte essenziale del ciclismo. “Mi si è spenta la luce” è una frase proverbiale. Ma è una frase che non può essere spiegata a parole, è una sensazione che va provata. E per sbagliare si intende proprio l’umiliazione di tornarsene a casa piedi, sfiniti e battuti.
Partire preparati, che si tratti di un percorso, una salita, una gara, non importa quanto lunga, è fondamentale. Ma niente insegnerà tanto quanto lo “sbattere il muso”. Fallire fa parte integrante del ciclismo. Accettarlo fa parte integrante del continuare a fare ciclismo. Chi non accetta di fallire non sarà mai un buon ciclista.
Per quanto motivati, per quanto preparati, il ciclismo è qualcosa che va imparato a tappe. Le tappe sono una vita intera. Il bello del ciclismo non è farlo per 2-3-4 anni e poi raccontare delle storie agli altri al bar. Il bello del ciclismo è farlo per sempre. Remco Evenepoel è fortissimo, è il più giovane vincitore di un sacco di gare e cose, ma non ne sa un sacco ancora.
Si può essere ciclisti per 1 anno, o per 2, ma essere ciclisti per tutta la vita è un’altra cosa. Serve avere l’apertura mentale di sapersi adattare. Una volta Bernard Hinault ha raccontato che smesso di fare il professionista si è dedicato alla campagna, che era la sua grande passione. Dopo 20 anni ha deciso di rimettersi in sella: si è comprato una bici nuova fiammante e si è presentato ad un’uscita della domenica. E le ha prese da tutti. “Nella mia testa ero ancora il campione, ma nella realtà a quel punto ero nessuno. Quel giorno ho capito cosa fosse il ciclismo realmente. Io che avevo vinto 5 Tour” (e 3 Giri, 2 Vuelta, e 5 classiche monumento-ndr-).
Hinault ora esce regolarmente, a 65 anni, svariati giorni alla settimana. Con soddisfazione .
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