I controlli antidoping e le relative notizie di cronaca ormai sono, purtroppo, materia ben conosciuta dai ciclisti e appassionati, ma a volte ci sono anche delle incomprensioni sul funzionamento di questo, tutto sommato complicato, meccanismo. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
L’atleta professionista è sottomesso alle regole della WADA, l’agenzia mondiale antidoping, che è l’organismo che delibera ed armonizza i regolamenti tra i vari sport sulla materia.
Il primo passo nel mondo antidoping è conoscere la lista delle sostanze e metodi proibiti, facilmente reperibile online sul sito della WADA. È importante ricordare che appunto non si tratta solo di conoscere tutte le sostanze proibite, ma anche i metodi, come i vari tipi di trasfusioni ematiche, il Tampering (l’uso di coprenti), ed il doping genetico. In questa lista si trovano appunto tutte le sostanze e metodi suscettibili di portare un vantaggio non regolare all’atleta.
Un fattore molto discusso e recentemente implementato nei suoi codici dalla WADA è l’utilizzo inavvertito o il tentativo di utilizzo di dopanti. Questo punto è stato implementato nel 2015 e prevede un minimo di 2 anni di squalifica (contro i 4 per uso deliberato di dopanti). Il che si traduce nel fatto che dall’atleta non è ammessa ignoranza su ciò che assume, con particolare enfasi sugli integratori contaminati (che è un grande capitolo a parte da discutere). Per avere una riduzione (il codice parla solo di riduzione, si badi bene) dai 2 anni di squalifica, l’atleta deve fornire sostanziali che la sostanza rilevata nel suo organismo non sia dovuta a sua colpa. La stessa cosa vale per i metodi, quindi il ritrovamento ad esempio di materiale ematico dell’atleta porta alla sanzione. L’esempio classico è la sacca di sangue per autotrasfusione: la sanzione scatta anche se il sangue è stato solo prelevato, non se è stato reimmesso nell’organismo, a meno che non ce ne fosse una necessità documentata da TUE, le esenzioni ad uso terapeutico. Tanto che molte squadre World Tour aderiscono a quella che si chiama No Needle policy, ovvero se un atleta viene trovato in possesso di aghi da siringa non giustificati dall’intervento dei medici della squadra in ritiri, Training camp, etc.. è passibile di immediato licenziamento.
Va precisato il punto delle esenzioni terapeutiche (TUE). Queste vanno richieste alla propria federazione nazionale (vale in ogni sport) in anticipo rispetto l’assunzione delle sostanze proibite, ed evidentemente giustificate da un medico. Solo in casi documentati di “emergenza e grave impatto sulla salute” è permessa la somministrazione di sostanze proibite senza TUE per non incorrere in sanzioni.
Sempre dal 2015, tra le violazioni antidoping, sono comprese anche la complicità (nel cercare di far evitare una stessa violazione all’atleta) e l’associazione vietata, cioèil lavorare o essere in relazione di lavoro con una persona che stia scontando una sanzione, criminale o disciplinare, antidoping (medici, fisioterapisti, allenatori, intermediari).
I controlli antidoping più ovvi son quelli diretti in-competizione. I controlli diretti sono effettuati tramite prelievi di urine e sangue. Il regolamento riguardo i controlli diretti è particolarmente preciso e dettagliato, con molte procedure da rispettare e vari casi particolari (controlli su minori, para-atleti, etc.)
Fondamentalmente però si tratta di un prelievo di sangue e di urine, entrambi in due campioni: A e B (il campione B viene utilizzato nel caso l’atleta chieda le controanalisi adducendo una contaminazione indebita) Nel caso delle urine bisogna anche rispettare una quantità minima (60mL per il campione A e 30mL per il campione B). Vari parametri devono essere registrati, come l’altitudine del luogo del prelievo nel caso sia sopra 1500mt di altitudine, nel caso dei controlli fuori-competizione quanto tempo era trascorso da un eventuale allenamento, se l’atleta aveva affrontato competizioni nei 3 giorni precedenti, se ha fatto uso di simulatori di altitudine (tende a ossigeno), se era stato seduto più di 10 minuti prima del controllo, eventuali condizioni climatiche estreme (calore), etc.etc..
I campioni vengono poi sigillati e trasportati secondo una procedura (che prevede commissari, chaperon, testimoni, etc.) ad un laboratorio accreditato WADA, ed in alcuni casi conservati per test futuri. Nel caso del ciclismo questi campioni diventano proprietà dell’UCI.
Un’importante distinzione da fare è l’eventuale positività a sostanze vietate in ogni caso, e sostanze vietate oltre una certa quantità. Vi sono infatti sostanze che portano ad una sanzione solo se trovate in quantità che eccedono un certo limite. In questo caso si parla di controllo analitico avverso (in gergo AAF –Adverse Analitical Findings). Un caso stra-noto di AAF è quello del salbutamolo di Chris Froome alla Vuelta España. Gli AAF non portano ad una sanzione immediata, ma all’apertura di una procedura in cui l’atleta ed il suo staff possono giustificare la presenza abnorme della sostanza. Questa procedura non viene (normalmente) resa pubblica.
I controlli in-competizione vengono effettuati da Cycling Antidoping Foundation (CADF) e le organizzazioni nazionali antidoping (NADO).
A questi si aggiungono due programmi antidoping molto importanti: i WADA Whereabouts ed il passaporto biologico.
I WADA Wherabaouts, sono i cosiddetti “controlli fuori competizione”, ed è un programma riservato solo ad un ristretto numero di atleti élite (Registered Testing Pool) i quali devono costantemente informare della propria presenza la federazione sportiva internazionale o l’organizzazione nazionale antidoping (NADO), che sono i due organismi che identificano quali siano gli atleti da inserire nel programma, cosa quindi non decisa dalla WADA.
Gli atleti inseriti in questo programma sono i soli responsabili nel fornire le informazioni necessarie, anche se l’inserimento delle informazioni può essere delegato al proprio agente o alla squadra. Ma in caso di infrazione il responsabile è sempre e comunque l’atleta.
Il programma per fornire le informazioni sui propri spostamenti e dare quindi la reperibilità, è chiamato ADAMS (Anti-Doping Administration & Management System), e consiste in un sito o una app per smartphone in cui gli atleti facenti parte del programma inseriscono le località in cui saranno presenti nei 3 mesi a venire, dove dormiranno la notte, ed una specifica località in cui saranno presenti per 60 minuti nelle 24h (può coincidere con il posto dove si dorme). Evidentemente bisogna inserire anche i periodi di viaggio, in particolare se comprendono spostamenti notturni.
Non inserire del tutto, o inserire in ritardo, le informazioni richieste e non essere stato trovato alla località designata da un controllore rappresenta un’infrazione. Se l’atleta commette 3 infrazioni in 12 mesi incorre in un procedimento disciplinare che porta a 2 anni di sospensione. Riducibili a 1 anno in base al “grado di colpa dell’atleta”. Questa riduzione non si applica in caso di infrazione dovuta a continui cambiamenti della località all’ultimo minuto.
In media un ciclista World Tour viene controllato circa 20 volte in un anno. I controlli fuori competizione comprendono urine e sangue.
I controlli fuori-competizione vengono effettuati da agenzie esterne per conto del CADF: IDTM, PWC, GOS e Clearidium)
Oltre ai sistemi diretti, in e fuori competizione, vi sono quelli definiti “longitudinali”, ovvero il famoso passaporto biologico. Si tratta di un registro elettronico dove vengono archiviati tutte le analisi di ogni singolo atleta e poi confrontate con dei parametri prestabiliti.
Il passaporto biologico è un programma gestito dal CADF, e pertanto il suo costo (circa 7 milioni di euro l’anno) è coperto dagli attori in gioco nel ciclismo professionistico: UCI, squadre WT e Continental, organizzatori delle gare e singoli atleti.
Ogni passaporto biologico (in gergo APB, da Athlete Biological Passport) consta di due “profili”: quello ematologico e quello steroideo.
In entrambe i casi si tratta di verificare la stabilità dei valori nel tempo, mettendo in evidenza eventuali scostamenti dovuti ad assunzioni o manipolazioni. Il profilo ematologico è stato introdotto dal 2008 contestualmente all’introduzione del APB, mentre il profilo steroideo è stato introdotto nel 2014.
Ovviamente, vista la mole di dati, gli APB sono monitorati in automatico da un software attraverso un algoritmo sviluppato appositamente, il quale non solo rileva gli eventuali scostamenti significativi, ma elabora una probabilità futura dei valori in base a quelli precedenti tenuto conto delle attività dell’atleta e della sua età. Per questo motivo è chiaro che l’APB è strettamente legato ai Whereabouts, per un costante monitoraggio.
Se l’algoritmo rileva uno scostamento significativo tutto il registro viene esaminato da un team di esperti designati dal CADF a Losanna (medici e/o biologi con almeno un dottorato in materia), che tiene conto di eventuali TUE, infortuni, etc.. Se è il caso viene aperto un dossier e l’atleta è invitato a presentare una documentazione a giustificazione. Nel caso questa non sia soddisfacente si arriva all’infrazione. Nei primi 3 anni dall’introduzione dell’APB sono stati sanzionati 23 atleti “evidenziati” dallo stesso. Casi noti sono: Danilo Di Luca, Thomas Dekker, Manuel Beltran, Franco Pellizotti, Denis Menchov e Igor Astarloa.
Spesso, in concomitanza con un atleta “evidenziato” dall’APB prima di sanzionarlo vengono intensificati i controlli nei riguardi di quell’atleta. E questo ci fa considerare l’ultimo tipo di controllo: i controlli mirati (Target Testing), anch’essi previsti da regolamento.
Questo tipo di controlli vengono regolarmente effettuati verso alcune categorie di atleti identificati dalle NADO, come atleti in selezione olimpica/paraolimpica, atleti che ricevono sussidi pubblici e atleti sospesi provvisoriamente. Altre categorie suscettibili di controlli mirati sono: atleti con pregressi di doping, atleti a fine carriera, atleti con schemi di spostamento sospetti (tramite i Wherabouts), atleti che si allenano in località remote, ed infine atleti segnalati tramite Intelligence, che detto alla buona, vuol dire atleti “chiacchierati” (anche per doping tecnologico, quindi atleti sospettati di utilizzare ausili elettrici).
Se il CADF rileva una positività o un AAF, che siano su controlli diretti o via passaporto biologico, la questione diventa di competenza del servizio legale antidoping dell’UCI (LADS). Questo organismo è indipendente dalla direzione dell’UCI, nel senso che i suoi membri non devono avere conflitti di interesse e non sono sottoposti alle autorità dell’UCI. Le relazioni tra gli impiegati del LADS e quelli UCI sono sottoposte ad una linea guida molto stringente.
Ogni decisione del LADS viene vagliata una seconda volta da uno studio legale indipendente, che al momento è lo studio Lévy-Kaufmann-Kohler di Ginevra.
Se c’è discrepanza tra le decisioni del LADS e quelle di questo studio il caso viene vagliato dall’Antidoping Policy Board dell’UCI. Questo è composto dal presidente della commissione antidoping UCI, al momento Artur Lopes, dal rappresentante del consiglio legale esterno dell’UCI, Antonio Rigozzi, e dal direttore generale dell’UCI Olivier Niggli. Normalmente questo organismo interviene solo su questioni di principio, non entra nel merito di ogni caso.
Se viene ritenuto opportuno, a questo punto il caso passa al tribunale antidoping UCI. Questo è stato creato nel 2015, mentre prima ogni caso veniva vagliato dai tribunali antidoping delle singole federazioni nazionali. I giudici che compongono questo tribunale sono indipendenti dall’UCI ed hanno rilevante esperienza in materia anntidoping. Al momento sono: Helle Qvortrup Bachmann (DEN), Prof. Ulrich Haas (GER), Jordi López Batet (ESP), Emily Wisnosky (USA) e Julien Zylberstein (FRA).
Il regolamento antidoping UCI è redatto ed aggiornato dalla commissione antidoping UCI. Al momento presieduta da Artur Lopes. I membri sono: Mohamed Wagdy Azzam (EGY), Marjolaine Viret (SUI), Chris Jarvis (GBR) e Anne Gripper (AUS).
Questo tribunale delibera in merito al caso e sancisce le sospensioni e squalifiche.
Come ultima istanza l’atleta può appellarsi al tribunale arbitrale dello sport (TAS) a Losanna.
Forse non molti sanno che tra le nuove regole antidoping UCI introdotte nel 2015, ne esiste anche una che prevede una sanzione del montante del 5% del budget annuale della squadra di cui 2 corridori siano trovati positivi in 12 mesi, o nel caso di un periodo indefinito nel caso di 3 o più atleti.
Questo è grossomodo il funzionamento dei controlli antidoping nel ciclismo. Ovviamente i regolamenti prevedono una moltitudine di casi specifici e norme particolari ed eccezioni che sono impossibili da riassumere qui. Cosi come non è lo scopo qui criticare molte di queste misure e fare una valutazione su quanto siano aggirabili, efficaci, etiche, etc…tutti argomenti che andrebbero trattati specificamente.
quindi nel calcio esiste il passaporto biologico? o la reperibilità?
Solo che per i primi non c’è nessun controllo.
facessero controlli seri nel calcio ci sarebbe veramente da ridere ...