Nelle interviste pre e post gara di quel Lombardia del 1926, è evidente una cosa: l’antipatia tra Alfredo Binda e Ottavio Bottecchia. Binda ha 24 anni, è al 5° anno da professionista, conta già più di 40 vittorie, tra cui il Giro d’Italia ed il Lombardia 1925. Nel 1926 ha vinto 6 tappe al Giro, ma arrivando alla fine 2° dietro Giovanni Brunero. È un campione riconosciuto, ma non ancora la superstar che sarà di lì a qualche anno (vincerà le tre seguenti edizioni del Giro, 3 mondiali, 2 Sanremo ed un altro Lombardia). Ottavio Bottecchia, vincitore di 2 Tour de France, il primo italiano in assoluto a vincerlo, ha 31 anni, l’anno dopo morirà, è usurato, ha combattuto la prima guerra mondiale come bersagliere, fa parte della generazione precedente.
È l’eterna storia del vecchio campione contro il giovane leone. In più Binda è di Cittiglio, il Lombardia è la corsa della sua terra, corre per la Legnano, che come simbolo ha Alberto da Giussano. Bottecchia è trevigiano, ma vive in Friuli, e corre per la Automoto, una squadra francese.
Bottecchia è persino amaro nelle sue parole all’inviato de La Stampa che lo intervista mentre si lava nella vasca da bagno in albergo il giorno prima della gara: “Binda è un ragazzo che va forte. È giovane, è nella pienezza dei suoi mezzi. Io ormai sono vecchio, sono rovinato di salute. Quando Binda avrà fatto tre giri di Francia come ho fatto io mi saprà dire qualche cosa. Mi sono rovinato lo stomaco in Francia. Durante le corse non riesco più mangiare. Il mio stomaco si rifiuta di digerire“.
Un po’ di pretattica sicuramente, ma si coglie la voglia di dimostrare ancora qualcosa. E Bottecchia si era portato dietro ben 11 gregari per farlo. Cosa poi rimarcata per mettere pressione all’avversario da Binda che invece contava su una squadra più modesta.
Il ritrovo prepartenza fu al palazzo della Ragione di Milano sotto una pioggia battente. I corridori sono tutti “immusoniti ed infreddoliti”. L’unico sorridente è Costante Girardengo, che infatti non partecipa, ma seguirà la corsa dalla sua lussuosa Torpedo. Alle 5 i ciclisti si avviano per le strade di una Milano “addormentata ed allagata” verso il cavalcavia di Gorla, dove alle 6 e 23 parte il 22° Giro di Lombardia, sotto il diluvio e col cielo illuminato a giorno dai lampi.
Il gruppo di 68 corridori appena arrivato alle porte di Monza lascia le strade asfaltate per infilarsi in quelle di fango e ghiaia che li accompagneranno per il resto della giornata. Sfilano via a passo sostenuto guidati da Bottecchia, Michele Robotti (Berrettini-Cycles Russel) e Marco Giuntelli (Dei-Pirelli): Arcore, Usmate, Cernusco e poi Lecco. A Canzio la strada sale ed in testa ci sono Bottecchia, Binda, Vallazza e Piemontesi. Poi in discesa verso Asso, Valbrona.
Domenico Piemontesi (Alcyon-Dunlop) fora (Piemontesi fu un corridore molto forte, vincerà il Lombardia nel 1933, nel 1927 arriverà 3° ai campionati del mondo dietro Binda e Girardengo, 2° dietro Binda al Giro 1929 3° nel ’33, tre volte 3° alla Mi-Sanremo).
Inizia la salita di Guello. Guidano Bottecchia, Binda, Vallazza, Negrini e Battista Giuntelli (individuale).
Bottecchia pare avere “una pedalata faticosa”. Binda se ne accorge e non si fa pregare: a metà salita del Ghisallo attacca e lascia tutti sul posto.
Il tempo è “da fine del mondo”, con pioggia e vento sferzante. Binda però continua nella sua azione solitaria a tutta forza. Bottecchia guida gli inseguitori, ma perdono terreno costantemente. A Camerlata il rifornimento. Binda si riempie le tasche di uova delle sue galline portate dalla madre da Cittiglio e riparte veloce. Il lago di Como è esondato e la piazza centrale è sotto 40cm d’acqua.
A Viggiù è sempre Bottecchia a guidare gli inseguitori, ma Binda guadagna “minuti su minuti”.
Binda prende la discesa verso Porto Ceresio a tutta, prendendo dei rischi. Cosi fa Piemontesi, che però cade e rompe il cerchione anteriore.
Da Porto Ceresio a Ponte Tresa costeggiano il lago di Lugano, fuoriuscito anche lui, cosi i corridori devono guadare le strade invase dall’acqua.
A Grantola il secondo rifornimento. Binda fa scorta di uova (ne mangerà 22 in corsa, oltre alle 6 per colazione).
L’ultima salita di giornata è quella di Brinzio, grandina forte, ma siamo nel cortile di Binda, che continua la sua azione senza problemi. A Varese passa in mezzo a due ali di folla che lo incitano. Poi Tradate, Mozzate, Saronno. Piemontesi che intanto è rientrato nel gruppo degli inseguitori cade ancora a Borgomanero e spacca il cerchione posteriore: è in lacrime e urla bestemmie, ormai è fuori dai giochi. Rimangono ad inseguire Bottecchia, Vallazza e Negrini. Bottecchia però infila la ruota anteriore in un binario del tram e cade ferendosi ad una gamba.
Negrini batte Vallazza allo sprint nel velodromo del Sempione. Poi arriva Bottecchia che compie lentamente 3 giri di pista e poi si butta in terra, viene portato via a braccia dal medico e dalla sua squadra.
Binda era arrivato mezz’ora prima.
Aveva percorso i 251km in 9h52’32” alla media di 25,4km/h (per comparazione, nel 1925 sempre vinto da Binda, con l’asciutto, la media fu di 28,8km/h).
Secondo Antonio Negrini della Wolsit-Pirelli a +29’42”, terzo Emiliano Vallazza, compagno di Binda alla Legnano-Pirelli. Quarto Bottecchia a +32’18”.
Negrini vincerà il Lombardia 1932. Vallazza arrivò terzo anche l’anno precedente, sempre con Binda 1°
Arrivarono in 24 sui 69 partiti.
Mentre era sul treno per Varese Binda vide un gruppetto di ciclisti su un cavalcavia. Erano gli ultimi che stavano ancora tornando verso Milano. Come lui stesso racconta in questo video del 1980, in cui ancora Binda liquida Bottecchia “arrivato 7°, 8°, eccetera…” e rimarca come non abbia mai vinto una corsa in linea (Bottecchia ebbe una carriera professionistica brevissima, di soli 4 anni, avendo cominciato tardissimo, a 27 anni).
Se poi entriamo nello specifico, ma temo che siamo OT, sarebbe meglio proporre articoli scritti da ricercatori di area biomedica e pubblicati su rivista peer-reviewed, e non articoli non firmati e pubblicati su un sito gestito da ingegneri elettronici, atleti ed esperi di bellezza della donna. Ripeto, è una questione di metodo.