La tappa di ieri al Tour vinta da Jasper Philipsen è stata contrassegnata da varie cadute, tra cui quelle di Fabio Jakobsen (Soudal QuickStep) il quale ha letteralmente disintegrato la bici, fortunatamente senza farsi (troppo) male, e purtroppo quelle più gravi di Jacopo Guarnieri (Lotto Dstny) e Luis Leon Sanchez (Astana) finiti all’ospedale con fratture.
Negli ultimi metri poi si è assistito anche alla caduta di Axel Zingle (Cofidis) e Søren Wareskjœld (Uno-X). Ciliegina sulla torta il declassamento di Mathieu van der Poel (+ 500 chf di ammenda, -13 punti e ultimo in classifica) e Phil Bauhaus (ammenda, -50 punti e -30″ in classifica) per le loro manovre nel finale: MvdP per aver sgomitato Girmay e deviato dalla propria linea, Bauhaus per aver ostruito un altro corridore ai -1,8km.
Per riassumere nelle parole di Tom Steels, direttore sportivo della QuickStep: “il caos completo“.
Ma quali i motivi di questo caos? Proprio in occasione di un arrivo in un circuito chiuso, con carreggiate larghissime e senza ostacoli urbani come rotonde, marciapiedi, etc?
Uno dei motivi è senza dubbio il fatto che la tappa è stata molto facile ed i corridori sono arrivati freschissimi al circuito. Phlipsen ha esplicitamente detto che si è trattato della tappa “più noiosa degli ultimi anni“. Anche Alexander Kristoff (Uno-X) ha detto che “quando le giornate sono cosi calme poi è un problema nel finale“. Quando la velocità media della tappa è più alta avviene già prima del finale una scrematura che porta poi a sprint meno caotici (non sempre, ma in media).
Ovviamente nel finale la tensione è salita, grazie alle radio, come detto da Rémy Cavagna (Soudal): “tutti i DS hanno cominciato ad urlare di entrare in testa nel velodromo“, scatenando la bagarre tra le squadre per il posizionamento. Cosa sempre esiziale per la dinamica del gruppo.
Altro fattore importante è stata la velocità combinata con la larghezza della carreggiata, come ha spiegato Rolf Aldag, DS della Bora-Hansgrohe: “il circuito non era tecnico, ma è diventato insidioso per via della possibilità di traiettorie differenti. Ad ogni curva tutti cercavano di passarsi, avendo lo spazio, e cosi facendo tutti si tagliavano la strada tra loro”.
Concorde Mark Renshaw, storico ultimo uomo di Mark Cavendish, ed ora consulente per gli sprint e DS alla Astana: “c’era talmente tanto spazio disponibile che la situazione cambiava continuamente. Su una strada più stretta non ci sono altre opzioni a livello di traiettoria, mentre qui si e questo ha creato confusione”.
Altra conferma quella di Cedric Vasseur, manager della Cofidis: “non si riusciva a mettersi in fila indiana per la varietà di traiettorie. L’unico modo sarebbe stato andare a 90km/h“.
Era dal 1981 che una tappa del Tour non finiva in un circuito automobilistico, con la vittoria del belga Eddy Planckaert su Freddy Maertens nel circuito di Zolder.
La conclusione la lasciamo alle parole di Mathieu van der Poel: “è stato super pericoloso“.
Forse, se ci fosse più abitudine a percorsi del genere vedremo corse diverse, con più treni paralleli.
Non sarà un caso che alcuni sprinter, anche esperti, si siano un po' persi per strada. Si vedevano tanti corridori a girarsi per cercarsi tra di loro (la DSM con Welsford, Laporte-van Aert, etc..).
Comunque erano 40 anni e passa che non finivano in un autodromo quindi non credo lo rivedremo presto :-)xxxx