Ilan van Wilder (Soudal-QuickStep) ha vinto a sorpresa la 3 valli varesine, classica autunnale italiana che quest’anno ha visto al via numerosi Big che puntano al Lombardia di sabato prossimo. Il belga ha vinto con una bella azione finendo con 16″ di vantaggio su Richard Carapaz (EF EasyPost) e 18″ su Alexander Vlasov (Bora-Hansgrohe) ed il duo sloveno Roglic-Pogačar.
Per i vari giornalisti l’occasione è stata ghiotta per avere informazioni riguardo alla telenovela che in questi giorni martella incessante sui vari social ciclistici, ovvero la fusione/acquisizione/cessione tra Soudal Quickstep e Jumbo-Visma. Van Wilder, senza sorprese, non ha offerto nulla di più di quello che si legge, come tutti i vari siti web e i social network, che non ne sanno molto più di lui (compreso questo), in questa piccola comunità ciclistica dove tutte le notizie, per quanto inverosimili, vengono trasmesse senza filtri, verifiche o, almeno, cautela.
“Siamo in attesa di informazioni sulla fusione“, ha spiegato il belga, “ma questo non ci impedisce di rimanere fortemente motivati, come lo siamo oggi“.
Poche ore prima, nel pomeriggio, l’UCI, tirata in ballo da ogni parte come al solito (in particolare da chi manco sa cosa sia o faccia l’UCI) era entrata nella mischia con un comunicato stampa per fornire alcuni dettagli sul suo regolamento relativo alle licenze World Tour, di cui è la responsabile del rilascio e che verificherà, come fa alla fine di ogni stagione, con “gli elementi finanziari e contrattuali in suo possesso per l’assegnazione o il rinnovo delle licenze per la prossima stagione”.
Se una delle due strutture (quella di Richard Plugge, il boss olandese della Jumbo-Visma, o quella di Patrick Lefévère, il boss della Soudal – Quick-Step) dovesse subentrare all’altra, la licenza vacante non verrebbe riassegnata prima del 2025 e la prima divisione World Tour ripartirebbe quindi con diciassette squadre anziché diciotto come nel 2024. A meno che non “venga assicurata la continuità di una delle due squadre per il 2024”, il che lascia aperti gli stessi dubbi di prima.
Ma l’informazione più importante data (ricordata) dall’UCI è senza dubbio la scadenza del 19 ottobre, quando l’UCI comunicherà l’elenco delle squadre che hanno presentato tutte le garanzie alla commissione licenze per l’iscrizione al WT nella prossima stagione. Le squadre che non lo faranno potrebbero vedere i loro corridori completamente liberi di firmare altrove “senza preavviso o indennizzo in conformità con le disposizioni contenute nel contratto standard“. Bisognerà quindi attendere il 19 dicembre per conoscere l’elenco definitivo delle squadre che comporranno l’élite del ciclismo nel 2024.
Ilan Van Wilder probabilmente non aveva idea di tutto questo quando ha tagliato il traguardo, ma con la sue parole ai giornalisti ha comunicato qualcosa di più importante, ovvero ha fatto capire che atmosfera si respiri all’interno del Wolfpack, in modo meno pacato del suo compagno di squadro Julian Alaphilippe, e più pacato di Joe Planckaert, “vip driver” della squadra (porta in ammiraglia gli ospiti Vip degli sponsor e della squadra nelle corse), il quale pochi giorni fa si era sfogato sul proprio profilo Instagram con una foto in cui ritraeva l’auto della squadra con gli adesivi degli sponsor strappati e la didascalia “tanto non servono più”.
Post poi prontamente cancellato, ma indicativo dello stato d’animo dei membri dello staff, quelli dai contratti meno milionari e meno tutelati.
Van Wilder, con grande convinzione, ha dedicato la vittoria proprio a tutta la squadra. Dicendo che cosi voleva mostrare quanto sia forte e che “non sono d’accordo con tutta questa merda e che vogliamo continuare come Soudal-QuickStep. Siamo abbastanza forti, e spero che rimarrà cosi“.
Nel frattempo, Patrick Lefévère, team manager della squadra, il quale aveva annunciato sabato scorso nella sua rubrica settimanale sul quotidiano fiammingo Het Nieuwsblad che avrebbe dato maggiori informazioni lunedi, è rimasto pubblicamente in silenzio. Ma internamente pare continui a rassicurare chi lo interroga dicendo: “Non fatevi prendere dal panico, andrà tutto bene per tutti” (fonte l’Equipe).
La situazione sta dando sui nervi a molti insomma, e la mancanza di informazioni in congiunzione con il ventilatore social sempre acceso non aiuta. Aldilà di come andrà a finire la vicenda sta comunque mettendo in evidenza alcuni punti fondamentali del ciclismo professionistico. A cominciare dalla salute del sistema. Che il ciclismo professionistico abbia delle peculiarità abbastanza uniche nel panorama sportivo che lo rende molto debole finanziariamente è cosa nota: mancanza di brand value delle squadre, le quali cambiano nome a seconda dello sponsor, con entrate per il merchandising cosi limitate, natura “nomade” del ciclismo su strada, svolgendosi non in strutture fisse, quindi senza entrate di pubblico pagante, e conseguente mancanza di entrate da diritti Tv, che vanno agli organizzatori delle corse principalmente. Corse che oltretutto, essendo molto lunghe e spesso con momenti di “azione” molto rari in rapporto alla suddetta lunghezza sono poco “televisivi”. A questo si aggiunge la natura di “sport di squadra in cui vince solo uno”, che complica ancora di più certe dinamiche per le squadre stesse, che spesso dipendono esclusivamente dai risultati di 1-2 corridori, ed un infortunio (anche una banale caduta) della punta di diamante può mandare all’aria un’intera stagione, etc.
E queste sono solo alcune delle peculiarità del ciclismo pro che lo rendono debole finanziariamente. Basti pensare che la Soudal-QuickStep quest’anno ha già raccolto 54 vittorie stagionali. Lontana dal suo record di 72 vittorie del 2018, ma perfettamente in linea con la propria (altissima) media di 56 vittorie stagionali degli ultimi 10 anni. La vittoria di van Wilder è stata la 142^in tre anni per il Wolfpack. Nessuna altra squadra ha fatto meglio in questo periodo.
Il prossimo 11 ottobre la squadra festeggerà i 25 anni di attività, e con la vittoria di ieri lo farà con ben 1140 vittorie in bacheca, un record assoluto. Ma nonostante questo l’anniversario potrebbe coincidere con la scomparsa della squadra. Un paradosso che però conferma appunto le anomalie del ciclismo, per cui il numero di vittorie non garantisce il successo economico, essendo gli sponsor (quelli grossi, che forniscono budget cospicui) interessati solo alle vittorie che danno visibilità globale.
E qui i numeri sono impietosi: le 3 squadre più ricche in termini di budget, UAE-Emirates, Jumbo-Visma e Ineos Grenadiers, hanno raccolto il 30% delle vittorie tra le squadre WT quest’anno. Ben il 40% tra le corse di livello WT. L’unica squadra “minore” ad aver rivaleggiato con questo triumvirato è la Alpecin, grazie alla Milano-Sanremo e Paris-Roubaix vinte da Mathieu van der Poel, il quale a sua volta è un’anomalia, essendo un corridore che milita in una squadra non ricchissima, ma con imponenti sponsor personali. In questa stagione poi la squilibrio è ancora reso più evidente dalla razzia fatta nei grandi giri dalla Jumbo-Visma, che li ha incamerati tutti e 3, con pure il filotto del podio completo alla Vuelta. A livello di tappe nei GT il 27% è andato alle 3 grandi squadre. Che a loro volta hanno vinto il 53% delle tappe di montagna (quelle più mediatiche).
Insomma, le vittorie che contano sono patrimonio esclusivo delle squadre più ricche. Il resto è quasi lasciato agli altri più per disinteresse che altro. Il pubblico sembra apprezzare, amando le rivalità tra pochi corridori/squadre ben definiti e conosciuti, ma questo evidentemente limita l’interesse degli sponsor, vedendo molto limitata la possibilità di avere visibilità negli eventi maggiori, pur dovendo sborsare cifre ormai molto elevate. Chi non può offrire budget colossali (e dal dubbio ritorno economico) è praticamente relegato a giocarsi corse di serie B. Chi può offrire budget modesti si condanna al ruolo di comparsa colorata in gruppo.
Evidentemente l’effetto della fusione (o quello che sarà) tra due squadre che hanno totalizzato la bellezza di 119 vittorie quest’anno non potrà che essere quello di amplificarsi ancora di più. Riproponendo le annose discussioni su una riforma del sistema ciclismo pro.
Detto questo, il modello di business nel caso del ciclocross è appunto simile a quello della F1: gli organizzatori organizzano la gara e spesso pagano ingaggi ai migliori atleti perchè portano pubblico. Niente pubblico, come durante il covid, gare che saltano. Diritti tv di piccola entità non tanto per poco interesse generalista (per i mondiali in Belgio share dell'80%...) quanto per il pubblico potenziale (26 milioni tra belgi ed olandesi).