Le dichiarazioni di Chris Froome (Israel-PremierTech) riguardo i problemi fisici causati da errate misure dopo aver cambiato bici nel passaggio da Ineos a Sky hanno innescato grandi diatribe, tra chi critica il corridore inglese, incredulo che un pro del suo livello possa aver commesso errori e/o leggerezze del genere; e chi invece trova varie giustificazioni tra cui l’incidente che gli ha tarpato la carriera. Ma Froome non è il solo pro che recentemente ha avuto problemi del genere, come ha recentenmente ammesso Kévin Ledanois, corridore della Arkéa-Samsic.
Ledanois, pur essendo molto meno titolato di Froome (campione del mondo U23 2015, ma zero vittorie da pro) è un corridore di grande esperienza, con 11 anni stagioni da pro sulle spalle a 30 anni. Il francese negli ultimi due anni ha avuto stagioni molto deludenti, a suo stesso dire, in particolare per via del covid preso ad agosto 2022 che lo ha limitato fortemente in seguito: “dopo essere rientrato a casa da uno stage in altitudine sono risultato positivo al covid […] ho recuperato come ho potuto e poi mi sono presentato al Tour Poitou-Charente (a fine agosto -ndr-), una gara che sulla carta non è mai troppo dura, ma una volta arrivato la avevo 180 pulsazioni al minuto a 35km/h…ero incapace anche di stare in gruppo…dire che ero irriconoscibile non da nemmeno l’idea giusta…”
Ledanois si è poi ritirato alla seconda tappa chiudendo anche la propria stagione di corse.
Uno dei motivi delle proprie difficoltà Ledanois le imputa, in un’intervista a l‘Équipe, anche ai problemi insorti quando ha dovuto cambiare bici, non specificando in che anno (la Arkea ha corso con bici BH sino al 2019, poi Canyon sino al 2022 e quindi ora con Bianchi da questa stagione, né se abbia cambiato modello durante una stessa annata), ma precisa solo che ha corso con una bici “non adatta a me” che gli ha causato dei danni: “Ho iniziato ad avere dolori ad una gamba, tendiniti, poi piccoli fastidi, ma mai troppo gravi. Quindi mi sono detto: va bene, andrà tutto bene, insisto. In effetti dopo un po’ passava, ma poi è arrivato il momento in cui non passava più. E quando succede, la mente crolla“.
La successione di questi problemi e poi l’aggiunta del covid lo ha portato al limite di un Burn-Out, da cui ora sembra essersi ripreso, dopo aver messo in garage la bici a fine stagione per concentrarsi sulla corsa a piedi: “Ho avuto la fortuna di aprire gli occhi abbastanza presto e di non sprofondare in una profonda depressione“.
Ledanois correrà ancora almeno una stagione, la prossima, con la Arkéa, Nel frattempo ha dato anche la propria opinione sul ciclismo attuale e le sue pressioni, in particolare se sia un “tabù” la depressione per i corridori: “Non è un tabù, ma… c’è una parte tabù perché dobbiamo avere risultati, non abbiamo il diritto di fermarci, ci sono delle aspettative. La parte più difficile è essere onesti con se stessi nel prendere la decisione di fermarsi perché non si può andare oltre. Remco Evenopoel lo ha detto recentemente: i sacrifici che fa per arrivare a questo livello non li potrà fare ancora per dieci anni. Bisogna tenerne conto: lo sport di alto livello sta diventando così esigente sotto tutti i punti di vista che le carriere saranno più brevi. Oppure bisogna trovare un equilibrio e accettare di essere meno efficienti in determinati periodi, anche se ciò significa non correre affatto e concedersi del tempo per riposare. Ma siamo bloccati perché siamo ben pagati, abbiamo un datore di lavoro che ci sostiene, ma che pretende risultati e performance. È complicato giustificare la mancata presenza alle gare per tre mesi di riposo“.
In ogni caso anche lui è stato vittima di un posizionamento sbagliato in bici, proprio dopo un cambio bici come Froome, e questo ha generato una spirale discendente di piccoli infortuni, non gravi, ma che al loro livello poi, come si vede, hanno ripercussioni sulla parte mentale e quindi sulle prestazioni in generale.