Il monossido di carbonio è solo l’ultimo ritrovato in campo di miglioramenti prestazionali nella lunga storia del ciclismo. Il suo utilizzo è stato ammesso da varie squadre, tra cui, in particolare, Tadej Pogačar e Jonas Vingegaard. Molto in breve, il monossido di carbonio viene inalato tramite una apparecchiatura, il “rebreather” (dal costo di circa 50k eu) in modalità e quantità che consentono di misurare (secondo le squadre) o migliorare (secondo l’UCI) gli effetti degli allenamenti in quota ed in particolare alcuni valori ematici portando ad un miglioramento della V02max.
Nell’ambito della conferenza tenuta a Nizza nei giorni scorsi, l’UCI ha richiesto all’agenzia mondiale antidoping (WADA) di prendere posizione riguardo l’utilizzo di questo metodo.
Nel comunicato si legge che: “I partecipanti al seminario sono stati anche aggiornati sulle attuali conoscenze degli effetti sulle prestazioni dell’inalazione ripetuta di monossido di carbonio (CO). L’UCI chiede chiaramente a squadre e corridori di non utilizzare inalazioni ripetute di CO. Solo l’uso medico di una singola inalazione di CO in un ambiente medico controllato potrebbe essere accettabile”.
“L’UCI chiede inoltre ufficialmente all’Agenzia mondiale antidoping (WADA) di prendere posizione sull’uso di questo metodo da parte degli atleti”.
L’oggetto del contendere infatti è l’utilizzo improprio, o poco etico, che si farebbe del rebreather, ovvero quello non solo di misurare con precisione i valori ematici durante gli stages in altura, ma il manipolarli grazie allo stesso strumento. Cosa che ad esempio la UAE-Emirates aveva negato di fare già lo scorso luglio:
“La respirazione artificiale con monossido di carbonio è un metodo per valutare la massa emoglobinica totale e viene utilizzato nell’allenamento in quota e nella ricerca da oltre 20 anni. Si tratta di un metodo consolidato, sicuro e professionale, supportato da un’ampia ricerca”.
“Misuriamo la massa emoglobinica all’inizio e alla fine di un allenamento in altitudine. In questo modo riduciamo al minimo l’esposizione dei nostri atleti al monossido di carbonio e non il contrario. Qualsiasi collegamento alla nostra squadra che utilizza questo tipo di tecnologia per scopi non etici viene fatto senza alcun merito e senza alcun fatto o prova a supporto”.
Ora la palla passa alla WADA, la quale però si era già trincerata dietro una mancanza di evidenze scientifiche condivise per vietare l’uso di questo metodo, come già per i chetoni.