In questi giorni mi è venuto in mente André Darrigade per due motivi: il primo è stato pensare a come si sia evoluto il ruolo degli sprinter negli ultimi 5 anni.
Tutto iniziò alla fine degli anni ’50, con un’intuizione del belga Rick Van Looy, il quale, stufo dell’anarchia del gruppo nei finali di tappa, ordinò ai suoi gregari di mettersi in fila davanti a lui e tirargli la volata. In seguito, visto che la cosa funzionava, scelse pure i singoli gregari da mettere sotto contratto, pescando tra i passisti più grossi e potenti. Vinse più di 30 sprint in due anni. Era nata la “guardia rossa” della Faema.
Questo concetto venne perfezionato fine anni ’90-inizio 2000 da un’altra squadra dalle maglie rosse, la Saeco, che creò il “il treno” per Mario Cipollini.
Fino ad arrivare ad un intera squadra dedicata al proprio velocista, come è stata la Domina-Vacanze, sempre al servizio di Cipollini. Mario Cipollini che veniva portato ai 100mt per la volata con un meccanismo perfetto in cui negli ultimi 2-3 km i suoi apripista tenevano la media sempre sopra i 60km/h impedendo qualsiasi tentativo da parte delle altre squadre.
La naturale evoluzione è stata la Columbia/HTC-Highroad di fine anni 2000, a servizio di capitan Mark Cavendish. Una squadra mostruosa, che non solo poteva contare su uno dei più forti sprinter puri della storia, Cavendish appunto, ma su uno dei più forti ultimi uomini della storia, Mark Renshaw, e pure su altri sprinter che alla HTC dovevano inanellare sprint su sprint prima di portare Cavendish al traguardo: Degenkolb, Greipel, Goss, Eisel transiteranno di li, ma pure prima niente era lasciato al caso con cronoman come Pinotti, Siutsou e Tony Martin a fare l’andatura.
Negli ultimi anni però il modo di correre è cambiato, con corse a tappe che stanno esplodendo per metri di dislivello, corse a ritmi forsennati dal primo metro e non più ad andatura controllata nei primi chilometri. O con tappe “di trasferimento” in cui tirare il fiato. Oltretutto le squadre sono diminuite nel numero di corridori in seguito alle riforme UCI, e gli squadroni investono tutte le loro risorse i gregari per i propri capitani per la classifica, tanto che squadre come la Ineos hanno abbandonato ogni velleità di avere uno sprinter per queste corse.
Insomma, si è tornati un po’ ai tempi in cui gli sprinter facevano un po’ tutto da se, ed erano più polivalenti, e non solo dei finalizzatori per gli ultimi piatti 100mt di tappa.
Tempi in cui il francese André Darrigade era forse il migliore di questa tipologia.
Tanto che “il levriero delle Landes” (le Landes sonno la regione da cui proviene) siede comodo al 5° posto per numero di tappe vinte al Tour de France: 22. Dietro l’ovvio Eddy Merckx (34), Mark Cavendish (30), Bernard Hinault (28) e André Leducq (25). Vincitore due volte della maglia verde (1959, 1961). Maglia gialla per 19 giorni in carriera, ma anche 1 tappa al Giro d’Italia, 1 campionato di Francia (nello stesso anno il fratello Roger vinse lo stesso titolo, ma amatori) e soprattutto campione del mondo 1959, a Zandvoort, nei Paesi Bassi, dove relegò al secondo posto l’italiano Michele Gismondi (storico gregario di Coppi), suo compagno di una lunga fuga, che fu battuto allo sprint. Darrigade vanta ai mondiali anche due bronzi (1957, 1958) ed un argento (1960).
Non solo uno sprinter per l’appunto. In montagna perdeva tempo inevitabilmente rispetto i migliori, ma vanta comunque due sedicesimi posti al Tour. Piazzamenti di rilievo per uno sprinter. Raphael Geminiani di lui dirà che “non era uno sprinter, ma un animateur“, ovvero qualcuno che dava vita alle tappe, andando spesso in fuga per poi giocarsi le volate su gruppi ristretti, o lanciando le proprie volate da molto lontano, contando su un’ottima progressione e non solo su uno scatto bruciante. Uno capace di vincere da solo insomma, ma anche un corridore utile in molte situazioni per una squadra, tanto che sarà un bastione della nazionale francese degli anni ’50-’60 oltre che fidato gregario di Jacques Anquetil. “Tutto il contrario di un individualista” dirà di lui Marcel Bidot, CT della nazionale francese in quegli anni. Se Darrigade fosse stato più individualista avrebbe potuto vincere 10 tappe di più al Tour, dirà sempre Geminiani.
Darrigade è anche noto per due aneddoti. Uno divertente che risale al Tour del 1959, nel quale nella tappa di casa nelle Landes partì da lontano per una fuga, ma ad un certo punto andò in crisi, e pertanto si fermò…in un bar, dove con calma solenne si ordinò una birra e qualche zolletta di zucchero. Quando sopraggiunse il gruppo si rimise in sella ed arrivò al traguardo. Due giorni dopo vinse una tappa.
Ed un aneddoto meno divertente, anzi uno dei più tragici della storia del ciclismo e sicuramente della vita di Darrigade. Il Tour de France 1958 terminò, come sempre all’epoca, al Parco dei Principi, traguardo dell’ultima tappa che finiva nell’omonimo velodromo. Il segretario generale (direttore) del velodromo, Constant Wouters, era al bordo della pista e stava allontanando i fotografi dalla stessa mentre arrivavano i corridori per la volata finale. Cosi facendo però spostò i fotografi proprio prima del loro arrivo salendo sul bordo della pista. In testa alla volata c’era proprio Darrigade che se lo trovò di fronte e non riuscì ad evitarlo. Si scontrarono testa contro testa.
Darrigade si fratturò il cranio e qualche costola, ma si riprese. Wouters, che aveva 71 anni, morì 11 giorni dopo in ospedale.
Tornando alla considerazione di apertura, l’altro motivo per cui mi è venuto in mente Darrigade in questi giorni, è che domani si corre il Lombardia, la corsa delle foglie morte di cui detiene il record di vittorie, cinque, Fausto Coppi. Il sesto titolo gli fu negato nel 1956 proprio da Darrigade….allo sprint al Vigorelli (terzo Fiorenzo Magni).
André Darrigade ha compiuto 90 anni lo scorso aprile. Ed è anche uno dei pochi corridori viventi ad avere una statua in suo onore, a Narrosse, suo paese natale.
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