Se quando pensate al ciclismo fiammingo pensate ai muri in pavé affrontati sotto la pioggia, all’ombra delle bandiere gialle col leone nero, a corridori insensibili al freddo, alla fatica, duri e nervosi, state pensando all’archetipo del fiammingo, i cui tratti sono stati codificati da Alberich “Briek” Schotte.
Nato nel 1919, sei mesi dopo la fine della prima guerra mondiale, era il primo di sei fratelli, figlio di un fattore di Kanegem, nella campagna attorno a Gent, dove era nato. Una famiglia non ricca, ma nemmeno miserabile, che tutto sommato era riuscita ad uscire discretamente dalla grande guerra. Il destino di Alberich non prevedeva grandi deviazioni da quello che sembrava un destino segnato: continuare il lavoro nella fattoria di famiglia. C’era una cosa che però il piccolo Alberich odiava fare, ed era proprio mungere le vacche all’alba. Quello che invece lo aveva colpito nell’animo come un fulmine era stata la visione dei ciclisti sfidarsi sulla pista in terra battuta del vicino velodromo di Desselgem. La famiglia Schotte possedeva una bici, da donna, che veniva usata da tutti i componenti della famiglia, ma Alberich, cambiando gomme e qualche mezzo riuscì ad adattarla per girarci al velodromo. A 10 anni la rivelazione definitiva, l’aver assistito al passaggio nei pressi di Desselgem della Ronde, il giro delle Fiandre, che quell’anno fu vinto da Jef Dervaes. Alberich risparmiò tutto quello che riuscì ed a 15 anni si comprò una bicicletta vera, una Groene Leeuw (“leone verde”), uno dei marchi più noti in Belgio all’epoca.
Si iscrive alla sua prima corsa a 15 anni. È una corsa su un unico tratto dritto di strada. Alle due estremità del percorso sono poste due botti. Bisogna girarci attorno ed invertire la marcia. Schotte arriva 5° e riceve 15 franchi di premio. Equivalgono all’epoca ad un giorno di lavoro in fabbrica. Il padre però non gli da grande soddisfazione: vista la bici a casa la prende e la scaraventa nell’aia: “i ciclisti sono la feccia della strada!“. In effetti non poteva essere di opinione diversa un uomo che aveva traghettato una famiglia con 6 figli attraverso la prima guerra mondiale, che conosceva solo il duro lavoro di contadino nella campagna fiamminga e si vedeva il primogenito rapito da un frivolo ed improbabile sport. Alberich in realtà aveva già deciso che quella sarebbe stata la sua vita, la sua professione, ma stiamo parlando degli anni ’30 del novecento: la professione ciclistica era una roba da disperati, senza alcuna garanzia, che si trattasse di contratti, inquadramento professionale, stipendi o altro. Certo, c’erano i grandi giri e le classiche monumento, ma prima di arrivare a quei livelli bisognava mettersi in mostra in pista o nelle corse regionali, oltretutto in Belgio, dove la concorrenza era spietata, le strade disastrate e non pochi giovani di belle speranze chiudevano la propria carriera in cadute, in agguato ad ogni curva, ancora prima di annusare il profumo del bouquet sul podio.
Tra il 1935 ed il 1937 Schotte partecipò a 9 corse. Per il resto si trattava di mungere vacche alle 3 di mattina e rimestare letame nella stalla famigliare. In particolare era anche penalizzato da una mancanza di spunto veloce, che nelle gare regionali belghe era un handicap di non poco conto. Ma Alberich non mollava e continuava a correre su tubolari super-usurati che lui stesso continuava a ripararsi con pezze, ago e filo. Nel 1938 finalmente la vittoria al campionato amatoriale belga.
In Belgio però il ciclismo era pur sempre uno sport eccezionalmente popolare, ed in ogni paese c’era (e c’è) un bar in cui si riunivano i tifosi del corridore locale. A Desselgem c’era il Café de Welvaert, dove si riunivano i fans di Schotte, che intanto era stato soprannominato “Briek”; il Briek-Desselgem. All’annuncio che Alberich, stufo, avrebbe rinunciato al proprio sogno per dedicarsi alle vacche, il suo fan-club fece una colletta raccogliendo 1000 franchi per pagare le spese della sua partecipazione al giro del Belgio. A questa condizione ne convinsero il padre a liberarlo dai doveri famigliari.
Libero di allenarsi e da (pesanti) impegni lavorativi, Briek si mise in luce cominciando a mostrare ottime qualità, in particolare su più giorni ed in gare lunghe. Nel 1939 venne assoldato come professionista dalla squadra francese Mercier-Hutchinson, una squadra tra le più forti, dove militavano campioni del calibro di Maurice Archambaud (10 tappe al Tour, una Paris-Nice), Marcel Kint (campione del mondo 1938), Roger Lapébie (Tour 1937), George Speicher (Tour e Roubaix 1933, campione del mondo 1933), André Leducq (Tour 1930-32, Roubaix 1928 e campione del mondo 1924), Antonin Magne ( Tour 1931-34, campione del mondo 1936).
La lingua ufficiale in squadra era il francese ovviamente, e Schotte non capiva una parola. Ad una cena si presentò a tavola col cappellino da ciclista. Pierard, il direttore sportivo, dopo avergli detto di toglierselo e non avendo ottenuto risposta si alzò e glielo levò con una manata nell’ilarità generale. Da allora Schotte si ripromise di imparare il francese con un certo risentimento.
Schotte nel frattempo aveva vinto le sue prime gare professionistiche: il Circuit de l’Ouest, in Bretagna e la Ransart-Beuamont-Ransart, in Belgio. Tutto sembrava finalmente filare liscio per Briek, con la sua carriera in decollo, ma proprio in quel momento il Belgio viene invaso dai tedeschi. Il ciclismo mondiale si ferma.
Il Belgio è invaso ed occupato, ed i nazisti mettono in pratica la Flamenpolitik, ovvero un’opera di esacerbazione delle divisioni tra fiamminghi e valloni nell’ottica di annettere le Fiandre, “di razza germanica”, al Reich, cosa che di fatto avverrà nel 1944. Questo nella pratica si tradurrà in certi vantaggi per i fiamminghi, dalla liberazione degli ufficiali fiamminghi dell’esercito belga catturati durante l’occupazione (i valloni rimasero prigionieri di guerra), sino ad alcuni vantaggi nella vita quotidiana. Questo si tradurrà ad esempio nella libertà di organizzare gare ciclistiche.
Nel 1940, in piena guerra quindi, si tenne l’ultimo Fiandre nel Belgio libero, solo due mesi prima dell’invasione tedesca. Il percorso però era stato rimaneggiato per non toccare la costa, fortificata in previsione di attacchi dal mare. L’attacco decisivo fu portato sul Edelareberg da una ventina di corridori, tra cui Kint, Schotte e Achiel Buysse (nessuna parentela con Marcel). Alla fine fu proprio Buysse ad attaccare a pochi chilometri dall’arrivo a Wetteren, riuscendo a vincere per 20″ su George Christaens e Schotte (3°)
Nel 1941 si tenne il campionato fiammingo, organizzato proprio a casa di Schotte, a Desselgem, dal club dei suoi tifosi. Briek non perse l’occasione di ripagarli e lo vinse davanti Frans Bonduel e Albert Sercu, ottimo corridore e padre di Patrick, il celebre “re delle sei giorni”, leggenda della pista anni ’60.
In quell’anno Buysse fece la doppietta al Fiandre, ma sul percorso ridotto (l’unico della storia di meno di 200km) e con le strade devastate dagli effetti della guerra. Nei primi 100km di gara si ebbero 144 forature. Tra le vittime di questa carneficina di tubolari, Schotte.
La svolta nel 1942. Schotte vinse il suo primo giro delle Fiandre (67 partenti, 22 arrivati, tutti belgi). Nel finale, in direzione del circuito finale di Gent, Briek si mise a testa bassa attaccando a ripetizione contro vento. Alla fine riuscì a fare un buco di 50mt e mantenerlo sino al traguardo, che tagliò per primo con 5″ di vantaggio su George Claes e Robert Van Eenaeme (vincitore di 3 Gand-Wevelgem).
La vittoria di Schotte non fu solo un exploit sportivo, ma dette il tono di quello che rappresentava correre “da fiammingo”. Alla richiesta di un commento sulla sua vittoria da parte della stampa, Schotte rispose con una frase che rimane scolpita nelle tavole della legge ciclistica: Geen woorden, maar deden (“non parole, ma fatti”).
Nel 1943 mise nel palmarés il 4° posto alla Liège-Bastogne-Liège e l’8° posto alla Paris-Roubaix, corsa con la quale non si trovò però mai troppo in sintonia, giudicandola “troppo veloce” per le sue caratteristiche.
Nel 1944 il 2° posto al Fiandre, dietro il giovane Rik Van Steenbergen, che lo batté in volata. Schotte in realtà fece una gara mostruosa, cadendo nelle strette vie che portavano al traguardo nel velodromo Kuipke, assieme a Marcel Kint. Schotte però si rimise in sella e si gettò furioso all’inseguimento di Van Steenbergen, Claes e Sterckx. Raggiunti i tre, Claes e Sterckx si toccarono cadendo all’ingresso del velodromo, lasciando un buco che Schotte cercò di colmare sino alla linea del traguardo, ma inutilmente. Nella foto dell’epoca dell’arrivo è tutto riassunto dalla faccia di Schotte a fianco di Rik Van Steenbergen.
C’è da dire, che se all’epoca Van Steenbergen era un neo-pro sconosciuto (con la vittoria del 1944, a 19 anni, resta ad oggi il più giovane vincitore del Fiandre), negli anni a seguire avrebbe dimostrato che la sua vittoria non sarebbe rimasto un caso isolato. Van Steenbergen ha vinto in carriera 1053 corse. 338 su strada e 715 su pista. Uno dei corridori più vincenti di tutti i tempi.
Nel 1945 Schotte fece vari piazzamenti di prestigio. Spicca il 4° posto alla Freccia Vallone. Nel 1946 vinse il giro del Lussemburgo, la Paris-Tours e la Paris-Bruxelles. Oltre ad un altro podio al Fiandre. 3° di nuovo dietro Van Steenbergen ed il francese Thiétard. Nel 1947 una tappa al Tour de France, il 5° posto alla Roubaix ed il 7° posto al Lombardia.
Nel 1948 l’anno della consacrazione. Ai mondiali di Valkenburg Schotte fece un attacco nel finale per anticipare i velocisti puri assieme allo scalatore tascabile francese Apo Lazaridés (160cm) che poi riuscì a battere agevolmente in volata sul Cauberg. Quel campionato è rimasto noto in Italia per la celebre marcatura reciproca a uomo tra Coppi e Bartali, che finirono per annullarsi e ritirarsi tra mille fischi ed improperi del pubblico.
Schotte si prese cosi la rivincita di quanto successo solo un mese prima al Tour de France, quando arrivò 2° dietro Gino Bartali. Unico podio in un grande giro per Schotte, che non vinse in quell’anno nemmeno una tappa, ma riuscì a tallonare Bartali grazie alla sua regolarità, anche se in montagna le sue doti di passista-finisseur gli fecero perdere contatto con lo scalatore italiano, che alla fine prevalse per 26′.
Nel 1949 ancora 3° al Fiandre, stavolta dovendo inchinarsi a Fiorenzo Magni (nella prima vittoria italiana al Fiandre, la seconda di un non-belga dopo quella dello svizzero Suter del 1923).
Nel 1950 la doppietta di Magni. Schotte ancora 2°. Schotte però, ormai dovrebbe essere chiaro, non era uno da abbattersi, e l’agosto successivo non sbaglia sul percorso di casa dei mondiali di Moorslede, vincendo in solitaria davanti all’olandese Theo Middelkamp. Terzo lo svizzero Ferdi Kübler. Arriva di nuovo 4° alla Liegi.
Nel 1952 vince ancora la Paris-Bruxelles. E coglie un altro 3° posto al Fiandre, stavolta dietro al connazionale Roger Decock e l’italiano Loretto Petrucci (vincitore di due Sanremo, proprio nel 1952 e nel 1953).
Nel 1953 coglie gli ultimi piazzamenti importanti: 2° alla Paris-Bruxelles, 2° al Giro del Belgio ed 8° alla Liegi. Negli anni successivi continua ad ottenere ottimi risultati (tra cui la vittoria alla Gent-Wevelgem e la Dwars door Vlaanderen nel 1955), ma ormai la sua carriera è in fase discendente. Appende la bicicletta al chiodo nel 1959, il giorno del suo 40° compleanno.
Schotte ha il record di partecipazioni al Fiandre: 20 (16 volte concluso, solo George Hincapie lo ha terminato più volte, 17), con 2 vittorie ed 8 podi (record che condivide con Johan Musseuw). Ha il record di aver finito 10 volte nei primi 10 (davanti Peter Van Petegem con 9).
Schotte però vanta anche 11 podi e 5 vittorie al Fiandre come dirigente di squadra. Una volta ritiratosi divenne un direttore sportivo di enorme successo con la Flandria. Dove fu il mentore di Roger De Vlaeminck. DeVlaeminck che ha ricordato le risate che si faceva con Jempi Monseré facendo il verso a Schotte, il quale parlava con spesso accento fiammingo riferendosi sempre al passato, quando “si mangiava solo pane con l’uvetta”. Schotte, soprannominato da direttore sportivo Ijzeren Briek, “Briek d’acciaio”, era un uomo profondamente radicato in certi valori del passato, in cui il ciclista doveva allenarsi, mangiare poco e parlare ancora meno. Pestare sui pedali senza farsi domande. Schotte era noto per lamentarsi sempre della “mollezza” dei giovani ciclisti.
Il grande Pierre Chany, giornalista storico de l’Equipe, lo descrisse così: “Corridore coscienzioso, valoroso in battaglia, a volte lento nel trovare il ritmo, ma terribilmente efficace nei finali di corsa. Indifferente al caldo, al freddo o al brutto tempo. Trae la sua forza da una vita ascetica e l’impegno nell’allenamento. In breve, è un corridore che sa soffrire più degli altri“.
Già nel 1948, un altro grande narratore di ciclismo, Albert Baker d’Isy, riportò la descrizione che rimase legata a Schotte: “Non ci sono più i veri fiamminghi di una volta. I giovani sono troppo viziati. Tifosi, soldi facili vinti nelle kermesse […] non si allenano più come prima. Corrono e basta. E se è troppo dura abbandonano. C’è una sola eccezione: Schotte. L’ultimo dei fiamminghi.”
Briek Schotte è morto il 4 aprile 2004, giorno del Fiandre. Durante la corsa, fu comunicata la sua morte sullo schermo gigante posto sul vecchio Kwaremont al momento del passaggio dei corridori. E fu osservato un minuto di silenzio sul podio. I commentatori dissero: “Dio deve essere stato uno dei più grandi fans di Schotte“.
Nel museo del Fiandre ad Oudenaarde, si trovano “i 10 comandamenti” di Schotte:
1-Sii contento di ciò che hai
2-con determinazione e pazienza puoi andare ovunque
3-stanco? Sei stanco, dormi
4-non perdere mai la tua libertà
5-resta ciò che sei
6-osservando imparerai molto
7-chiunque si lascia andare è perso
8-non dimenticare mai da dove vieni
9-non credere in sogni che non si possono realizzare
10-chi parla il male raccoglie il male
Nella sua città natale di Kanegem si trova un monumento a lui dedicato
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