L’Italia è il paese delle granfondo senza dubbio, ma con costanza sta crescendo anche il movimento randonneur, con sempre più eventi dedicati, oltre ad una partecipazione in aumento anche ai grossi eventi internazionali (più numerosi anche loro).
Le randonnée, come concetto, nascono in Francia negli anni ’30 e continuano a svilupparsi anche in periodo di guerra, per poi calare negli anni ’50-’60. In Francia nascono come modo per conoscere il territorio, ma in modo competitivo, ovvero distinguendosi dal semplice turismo, per cui i francesi intendono invece il “cyclo-camping”.
Men che meno le randonnée nascono con intenti di fare solo percorsi “monstre” per km e dislivello. Gli eventi che forse fanno capire meglio lo spirito iniziale sono le Flèches de France, dei brevetti permanenti (che si possono fare quando si vuole) che uniscono varie città francesi a Parigi, da cui possono partire o arrivare (sempre e comunque dallo storico ristorante Au Pied de Cochon, non a caso famoso perché in centro a Parigi ed aperto 24/7, 365gg all’anno, cosa determinante per un randonneur), e che possono essere percorse in tre “modalità”: Oro, Argento e turistica (una volta bronzo), in base alla velocità media minima con cui si portano a termine. La modalità va indicata prima della partenza al responsabile. In questo modo ognuno può scegliere se farle in modo più o meno corsaiolo, con l’ideale scopo comune di conoscere e far conoscere la Francia. Al completamento delle 20 Flèches (su un periodo illimitato) si riceve un trofeo all’annuale consegna a Gennaio organizzata dall’Audax Club Parisien, l’organo che regola questi brevetti e tutti quelli internazionali.
Questo concetto originario si è mantenuto nella cultura francese, mentre in altri paesi ha preso pieghe differenti, a volte più orientato al turismo, a volte alla competizione o al “celodurismo” di km e dislivelli.
Il minimo comune denominatore resta sempre il tempo in sella, che resta comunque “sopra la media” rispetto le uscite dell’amatore della domenica, con l’eccezione degli eventi più lunghi come i brevetti tra i 600 ed i 1500km che impongono spesso durate che possono arrivare dalle 30 fino alle 100h in sella abbondanti.
Chi si cimenta in questi esercizi si pone quindi di fronte alla fondamentale domanda di che bicicletta utilizzare per questo utilizzo. La risposta ovviamente è fortemente dipendente dalla modalità con cui si affrontano le proprie randonnée, quindi non esiste una risposta univoca, ma si può comprendere praticamente qualunque tipo di bici esistente. Vediamo quindi di considerare qualche punto importante.
Forse a molti era già venuto il sospetto, ma l’interessante studio realizzato per Fi:zi’k lo dimostra: meno forte si “pesta” sui pedali maggiore è la pressione che si esercita sulla sella, al contrario molto del proprio peso viene distribuito sui pedali. Viene da se che, a meno di far parte del gruppo delle vedettes, come viene chiamato il primo gruppo dei partenti alla Paris-Brest-Paris, che impiega circa dalle 43 alle 48h per completare i 1200km del percorso, la posizione in sella del randonneur medio non sarà la stessa di un granfondista (anche se a voler essere polemici tanti granfondisti potrebbero tranquillamente sfruttare posizionamenti meno da pro…), quindi più rialzati di schiena e con scarso dislivello sella-manubrio.
Ernst Csūka, leggendario telaista di Alex Singer, che ha fatto bici da randonnée tra le più considerate al mondo per quasi 60 anni, diceva che il dislivello massimo sella-manubrio dovrebbe essere di 4cm per una posizione confortevole.
Per ottenere questo ci si può quindi rivolgere a telaisti per un su-misura (in Italia però la tradizione è “da corsa”, con tubi sterzo cortissimi, quindi non sempre queste richieste sono ben viste), o rivolgersi all’ormai amplissimo mercato delle bici “endurance”.
Secondo lo studio sopra menzionato è curioso vedere come indipendentemente dai watt espressi e dalla lunghezza dell’attacco manubrio, la pressione sul manubrio resti praticamente uguale. Una posizione rialzata scarica ad ogni modo un po’ di peso dai polsi e dalle mani, ed è una cosa molto utile nelle randonnée, in particolare quelle più lunghe. Anche il tipo di manubrio deve essere scelto con attenzione, ricercando un modello che consenta una presa comoda e soprattutto che consenta di cambiarla spesso. Quindi meglio evitare, come spesso si vede, di ruotare il manubrio verso l’alto per agevolare la presa sui comandi, perché poi questo rende praticamente impossibile la presa bassa. Meglio avere la possibilità di cambiare presa e posizione della schiena piuttosto che avere un’unica posizione in sella comoda che però alla lunga porterà ad irrigidirsi. Anche stare a letto sempre nella stessa posizione dopo un po’ diventa insopportabile, figurarsi in bici! Sconsiglio in linea di massima anche i manubri “aero” o “alari”, ovvero con la parte superiore piatta, perché non consentono di chiudere la mano “a pugno” come su un tubo tondo, imponendo una specie di “stretching” alla mano, che alla lunga diventa deleterio. Idem l’utilizzo di nastri manubri doppi e tripli stile Paris-Roubaix. Sono cose soggettive, ma vanno molto ben considerate, sugli eventi più lunghi i dolori a polsi e mani sono molto frequenti, così come gli informicolamenti e l’insensibilità alle dita. Questi possono durare mesi, ed in alcuni casi estremi possono persino essere irreversibili. Ben che vada rendono la randonnée una pena.
Il componente più soggettivo possibile da sempre sulla bici. “Ad ogni culo la sua sella” è una massima ciclistica, un po’ cruda, ma che rende bene l’idea di come sia difficilissimo dare indicazioni su quale comprare. Avendone provate un gran numero (almeno 20 modelli diversi) per sfizio e per test vari credo che ci si possa orientare secondo alcuni parametri: orientarsi verso i modelli più larghi. Ora il mercato viene molto incontro a questa esigenza, offrendo vari modelli “wide”. Il principio non è quello della distanza delle ossa ischiatiche a mio avviso (a meno di casi estremi), ma sempre quello della pressione che si esercita, che sempre secondo lo studio citato prima è maggiore meno si va veloci.
Orientarsi verso selle “arcuate”, che danno maggior sostegno con posizioni più erette della schiena. I modelli piatti (tipo Selle Italia SLR o Fizik Arione) sono molto adatti per chi va veloce e sta molto piegato in avanti, quindi con grande flessibilità di schiena e ruota molto il bacino. Per il posizionamento più comodo invece è preferibile avere selle che sostengano meglio.
Annosa questione quella delle selle in cuoio, che per alcuni sono imprescindibili. Fatta la tara al fattore “neo-retrò”, sempre presente nel mondo rando, sono sicuramente selle valide, a patto che siano ben rodate, il famoso breaking-in degli anglofoni, ovvero almeno un 2000km di rodaggio prima di essere utilizzate su eventi lunghi. Personalmente non le reputo più o meno comode di altre selle. In linea di massima sono selle che prendono la forma in modo permanente delle terga dell’utilizzatore, al contrario quelle con scafi in plastica o abbondanti imbottiture prendono la forma solo nel momento in cui ci si siede sopra per poi ritornare alla posizione iniziale tolta la pressione. La mia convinzione è che i continui movimenti sulla sella, oltre a quelli dati dalla rugosità ed irregolarità dell’asfalto facciano variare continuamente la superficie della sella, andando a sfregare o “massaggiare” se si vuole, il proprio posteriore. Questo, alla lunga, è deleterio, in particolare con i pantaloncini umidi o bagnati se piove. Meglio quindi orientarsi su selle non particolarmente imbottite, come sono quelle in cuoio appunto, lasciando che l’imbottitura comoda sia deputata al fondello dei pantaloncini (che deve essere quindi di qualità), la quale essendo solidale con il nostro posteriore non farà (o non dovrebbe fare) continuamente attrito. Il principio in linea di massima è quello che tutti hanno sperimentato a scuola fin a piccoli con le seggioline in legno senza alcuna imbottitura che ci hanno accompagnato per ore ogni giorno. Seggiole imbottite, dopo molto tempo diventano scomode.
Per quanto riguarda le selle col buco o completamente scaricate nella parte centrale, tipo SMP per intenderci, molte persone le trovano comodissime pur essendo totalmente prive di imbottitura. Personalmente credo non abbiano controindicazioni a parte per chi ha il bacino anche solo leggermente ruotato, in questo caso è facile che vi sediate non appoggiando perfettamente le ossa ischiatiche sui due supporti, facendo pressione sui nervi in prossimità delle ossa ischiatiche, cosa che alla lunga è molto dolorosa (provato personalmente).
Giusto per curiosità chi scrive usa selle Fi:zi’k Aliante o Kurve Bull.
L’unica cosa da tenere in considerazione per le ruote è l’affidabilità. Questo non è un invito ad utilizzare ruote di bassa gamma pesanti una tonnellata, ma robustezza ed affidabilità sono da privilegiare. Nelle randonnée si pedala di notte, su strade sconosciute, a volte con la nebbia mattutina, spesso molto stanchi e con scarsa attenzione ad evitare buche, quindi le botte alle ruote sono da prevedere. Rompere un raggio non è un’eventualità rara come in altri tipi di eventi. Ora immaginate di aver rotto un raggio in carbonio delle vostre bellissime Mavic R-Sys alle 3 di notte, in mezzo alla campagna, magari all’estero. Con buona probabilità sarà pure il fine settimana. L’unica opzione che vi resta per tornare a casa è un passaggio in auto o il treno. Meglio orientarsi quindi su ruote con raggi facilmente reperibili e senza nippli interni. Se avete raggi di lunghezze non comuni meglio portarsene dietro un 4-5 di scorta, magari fissandoli lungo un fodero alto del carro con del nastro adesivo. Anche in caso non siate capaci di sostituirveli da soli un negoziante prima o poi lo troverete ed avendo i vostri raggi non correrete rischi.
In linea di massima meglio avere materiale di facile reperibilità, quindi, lo dico un po’ controvoglia, ma al suddetto negozietto nella provincia del paese estero (o all’onnipresente Decathlon) sarà più probabile trovare una catena Shimano che una Campagnolo….
Attenti anche alle novità, sempre per un questione di ricambi e manutenzione. Non precipitatevi quindi a fare la prossima London-Edinburgh-London con il nuovissimo gruppo elettroidraulico 12V….
Banditi o quasi i tubolari per ovvie ragioni, la scelta cade sui copertoni. Meglio se di sezione abbondante, 25mm minimo. Sezioni maggiori devono essere compatibili con il vostro telaio e con i vostri freni. Copertoni da 28mm in su necessitano di forcelle dedicate e freni long-reach. Tutte le nuove bici endurance li accolgono agevolmente in ogni caso. Sezioni ancora maggiori (tipo le 650B) offrono ovviamente grandissimo comfort, non sono particolarmente penalizzanti in fatto di resistenza al rotolamento, anzi, se l’asfalto è particolarmente rovinato, ma pesano, e se il percorso prevede buon dislivello alla fine è una scelta personale cosa privilegiare.
In ogni caso meglio scegliere copertoni con buona protezione antiforatura, in commercio ci sono una miriade di prodotti dedicati (Schwalbe Durano+, Hutchinson Intense, Michelin Endurance, etc..). Questo sia per non doversi portare dietro n camere di scorta, sia perché riparare una foratura quando si è particolarmente stanchi, magari di notte al buio o sotto la pioggia diventa un’operazione molto più noiosa e lunga che non effettuata nel giro di 1h dietro casa di giorno.
Sempre nell’eventualità meglio dotarsi di una pompa realmente efficiente, magari anche quelle full-size che si incastrano sotto il tubo orizzontale. La pompetta minimal in carbonio da 20gr per cui serve il braccio di Federer per gonfiare una camera meglio lasciarla per la domenica con la granfondo.
Per quanto riguarda i tubeless sono sicuramente un’opzione da considerare per i numerosi vantaggi che offrono in questo contesto (grip, basse pressioni, impossibilità di pizzicature), ma se proprio le cose dovessero andare storte meglio avere buona pratica manuale per smontarli, togliere le valvole apposite (magari incollate di lattice) e metterci una camera d’aria classica. Idem per il montaggio iniziale da fare “a regola” in modo da non trovarsi con perdite d’aria che sulle distanze rando possono rivelarsi determinanti.
Una delle questioni più dibattute sui forum è quella relativa alle luci ed ai bagagli. Per quanto riguarda le prime si apre un vero e proprio mondo di possibilità e scelta, tra l’altro in continua e rapida evoluzione, soprattutto a livello di dimensioni e capacità delle batterie. Anche per quanto riguarda la potenza ci sono una pletora di possibilità sul mercato, con luci da n-milioni di lumen che ormai possono incenerire un tir.
Alle randonnée se ne vedono un po’ di ogni, da chi ha 3 fari a led su supporto autosterzante con braccio robotico autocostruito a chi gira con il lumino rosso da cimitero sul manubrio. Come sempre la verità sta nel mezzo.
Busch&Müller e Cateye fanno luci a batterie tra le più utilizzate dai randonneur, con ottima luminosità ed affidabilità. Per ogni informazione ulteriore si può sempre andare nel dettaglio proprio nei forum menzionati.
Personalmente, dopo varie prove, sono entrato nella schiera degli utilizzatori di faro a dinamo. E’ una soluzione un po’ costosa, ma sinceramente è quella con cui ho trovato la pace: monta e dimentica. Non serve fare la conta delle batterie, vedere se sono scariche, quanto cariche, etc…basta pigiare il bottoncino sul faro e c’è luce in abbondanza per ogni situazione.
In questo caso la scelta è più limitata, ma i prodotti sul mercato sono ormai super collaudati ed affidabili. SON e Supernova i più conosciuti.
Le luci posteriori sono invece più facili da scegliere, con numerosi modelli di molte marche, che propongono luci con ottima visibilità e durata notevole. Ricordatevi però di mantenerle in modalità “fissa” se pedalate assieme a qualcuno, altrimenti il poveretto che vi segue diventerà pazzo sempre che non gli venga una crisi epilettica…la modalità fissa è obbligatoria negli eventi Audax.
Per quanto riguarda invece i bagagli la cosa è più soggettiva in quanto, aldilà dei modelli, la scelta dipende fortemente da quanta roba ci si vuole portare dietro, quindi dalla capacità in litri. Quindi c’è gente che parte con una banana in tasca e chi con 3 borsoni da 20lt l’uno.
Ricordando che le randonnée non sono cicloturismo o vagare a caso è consigliabile non caricarsi come muli, un po’ la stessa regola che vale per chi va in montagna: il superfluo è peso inutile che alla lunga farà stancare di più. Personalmente l’esperienza mi ha portato a cercare di limare costantemente la quantità di cose da portarmi dietro. Differenza fondamentale è il tipo di evento a cui si partecipa: se è un brevetto organizzato a cui partecipano molte persone o invece un permanente magari fatto in solitaria in zone sconosciute. Nel secondo caso meglio essere previdenti ed abbondare un po’. La capacità in litri sarà conseguente.
Per quanto riguarda la tipologia la tendenza attuale è quella di utilizzare borse che si agganciano al telaio lungo l’asse dello stesso tramite strap. Apidura e Miss Grape tra i marchi più gettonati.
Le borse più classiche necessitano invece di agganci specifici o portapacchi. Queste soluzioni fanno ovviamente aumentare il peso, oltre a rendere meno maneggevole la bici che avrà dei carichi sporgenti rispetto il proprio asse. Questa cosa è particolarmente evidente in discesa. Attenzione anche alle borse sul manubrio. Ortlieb e Carradice marchi stra-noti per stare sul sicuro. Così come Tubus per i portapacchi. Gilles Berthoud se volete completare la vostra randonneuse René Herse ed essere i più chic su strada.
Le bici classiche da randonnée erano progettate tenendo conto appositamente della borsa che andava montata, quindi con la lunghezza del décaleur (la staffa di montaggio) apposita, oltre ad apposite misure di rake e trail della forcella.
Un buon modo per capire cosa serve e cosa no portarsi dietro, oltre a capire gli aspetti legati alla guidabilità, è affrontare una super-randonnée (randonnée di almeno 600km e 10.000mt).
Anche questo è piuttosto soggettivo. In linea di massima vale sempre la regola della facile reperibilità, il che vuol dire Look. A meno di esigenze particolari delle Look con la massima libertà (9°) possono fare al caso per la maggior parte delle persone. Idem per gli attacchi SPD da Mountainbike di Shimano, con cui si potranno anche utilizzare scarpe apposite con suola che consente anche di camminare agevolmente senza rischiare scivolate. Time è una buona opzione per la grande libertà di movimento che consentono. Speedplay è la mia prima scelta per via del fatto che non hanno viti in posizione centrale che premono sul metatarso, un mio annoso problema. Per contro la reperibilità di questi pedali e relative tacchette è scarso.
Per quanto riguardo le scarpe è argomento troppo soggettivo per poter dare consigli. L’unica è provare, tenendo a mente che quello che è comodo dopo 300km potrà non esserlo dopo 1000. Attenzione in particolare alla lunghezza della linguetta ed all’altezza della talloniera. Meglio corte per evitare sfregamenti.
In Italia sono una bestemmia ciclistica, ma in altre parti del mondo sono essenziali, in particolare in UK, dove le strade di campagna, oltre ad essere malmesse, sono pure sporchissime di fango e deiezioni animali varie, tanto che nelle uscite di club invernali sono obbligatori, chi non li ha sta in fondo a ciucciare la ruota e farsi la doccia di miele di pecora. Per parafanghi ovviamente si intendono quelli veri, non gli Ass-Saver, o quelli posticci da 10eu del Decathlon che non stanno praticamente mai in asse con la ruota. Un parafango per essere efficace deve essere ben saldo al telaio, non vibrare e coprire la circonferenza della ruota (seguendola) almeno oltre l’asse del mozzo.
SKS fa molti modelli abbastanza validi. Se invece si vuole una soluzione definitiva occorre avere una bici con attacchi appositi e puntare a parafanghi tipo i rinomati (e costosi) Honjo, copia dei leggendari Lefol francesi degli anni ’30, in particolare il modello martelé, con la tipica finitura. In questo caso i parafanghi vanno anche fissati con cura, perché in metallo, se vibrano, diventano un incubo. Su una Singer li troverete sempre fissati con viti isolate da feltrini o rondelle di cuoio.
Ultimo aspetto, anche per ordine di importanza, è il materiale del telaio, altro grande dilemma del mondo rando. Per alcuni è questione importantissima, ma nella realtà la differenza è ben poca a livello prestazionale, in particolare a livello di comodità. La comodità deve essere data principalmente dal posizionamento in sella (geometrie) e dalle coperture. Non c’è titanio che tenga rispetto una copertura di generosa dimensione gonfiata a bassa pressione. Se siete parte della (a quanto pare) numerosissima schiera di persone che hanno “problemi di schiena”, sacrificate un po’ di leggerezza per dotarvi di pneumatici molto grossi, al limite dei 650b da 44mm di buona qualità (morbidi), con cui potrete avere tutto il comfort possibile, senza arrovellarvi sui moduli Young dei vari set di tubi.
Nel mio percorso da randonneur sono passato da due bici in titanio sino all’attuale bici in acciaio in cui ho ricercato la comodità appunto con soluzioni relative alla geometria.
Grande aiuto oggi è anche dato dai sistemi di sospensione delle moderne bici endurance, anche quelli molto più efficaci che non il solo materiale del telaio. Li apprezzerete molto più voi che non Tom Boonen sul pavé della Roubaix.
Unico appunto riguarda la robustezza: spesso le bici da rando vanno un po’ “maltrattate”, con trasporti in treno, o ammassate su ringhiere una sopra l’altra ai controlli. Per questo motivo, o siete molto attenti, o forse è meglio prestare attenzione a modelli endurance in carbonio particolarmente leggeri, e quindi delicati rispetto botte e sfregi vari.
In questo il titanio ha ancora i suoi perché, visto che è molto robusto e nella classica finitura praticamente inscalfibile, o comunque una grattata è facilmente rimediabile con un po’ di carta abrasiva (3M rossa ad esempio).
Spero che queste righe possano servire da linee guida per il neofita che vuole approcciare il bel mondo delle randonnée, ricordando che è un percorso in cui fondamentale importanza è data dall’esperienza, e quindi dalle prove personali. Non c’è mai un punto di arrivo, ma solo un’evoluzione costante rispetto le esigenze di ognuno.
Bonne route!
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