Gli anni ’90 del secolo scorso sono stati il decennio centrale dell’epoca maledetta del doping nel ciclismo. Perlomeno per quanto se ne sa finora. La storia si evolve come ogni disciplina, quindi in attesa di revisioni, questa è la storia di un corridore che in quell’epoca si staglia come un piccolo naviglio solitario in un mare in tempesta, ma con la barra del timone ben salda.
David Moncoutié è nato il 30 Aprile 1975 a Provins, una piccola cittadina cinta da mura medievali 77km a sud-est di Parigi. Nella sua famiglia mai nessuno si è interessato al ciclismo, e nemmeno David sino all’età di 16 anni, quando comincia ad innamorarsi della bicicletta grazie ad un amico: lo portano a fare un’uscita in un gruppo di amatori, loro tutti con belle bici da corsa, lui con una bici da città. Come si usa dire in gergo “li svernicia tutti” e si rende conto di “non essere poi cosi male in bici”, parole sue.
Durante il liceo si tessera per una squadra e comincia a gareggiare: vince alla seconda corsa cui partecipa. Da juniores vince 24 corse. Poi per un anno lascia perdere il ciclismo e si mette a giocare a calcio, ma la voglia di tornare in bicicletta gli ritorna dopo aver visto “Lucho” Herrera, scalatore colombiano anni ’80, battagliare con i più affermati europei al Tour de France. Herrera vince la maglia a pois nel 1985 e 1987, stesso anno in cui vince la Vuelta. Moncoutié lo prende come idolo da ragazzino e vuole copiarlo, quindi comincia a sognare le grandi salite, la maglia a pois. Prima però riesce a prendere una laurea breve in biologia.
Nel 1996 sta facendo il servizio militare in quello che era l’analogo italiano della compagnia atleti dell’esercito francese, anche se militava solo in una squadra amatoriale. Non ha vinto gare importanti, ma è considerato un ottimo scalatore. Dopo averlo visto ai campionati nazionali dilettanti nel 1996 lo mette sotto contratto Cyril Guimard, alla Cofidis, squadra in cui militerà tutta la carriera professionistica, durata 13 anni.
La sua carriera si può riassumere in un sacco di piazzamenti in gare di medio prestigio, molte francesi. Ma con alcuni acuti: 2° al Tour de l’Avenir nel 2000, dietro lo sfortunato Iker Flores, ma davanti tanti giovani che in futuro faranno parlare di se, tra cui Floyd Landis, Filippo Pozzato, Luca Paolini, Sylvain Chavanel, etc..
4° alla Paris-Nice nel 2001, dietro Frigo, Rumsas e Van Petegem.
2° ai campionati nazionali a cronometro dietro Eddy Seigneur.
Vince il GP di Lugano nel 2003 davanti Kolobnev.
Nel 2004 uno dei suoi grandi exploit: la 11^ tappa del Tour de France, davanti Juan Antonio Flecha ed Egoi Martinez.
Si ripete nel 2005 alla 12^ tappa del Tour, davanti Sandy Casar e Angel Vicioso.
Nel 2006-2007 è fuori per infortunio, si ruppe la testa del femore in una caduta.
Nel 2008 vince la maglia di miglior scalatore alla Vuelta, oltre all’8^ tappa(davanti Valverde e Contador) e l’8° posto in classifica generale.
Ripete una vittoria di tappa alla Vuelta nel 2009 davanti Ezequiel Mozquera e Alejandro Valverde. Ri-Vince la maglia di miglior scalatore. Ma in generale non va oltre il 27° posto.
Nel 2010 mette in cascina un’altra tappa alla Vuelta come unica vittoria stagionale. Vince la 9^tappa. Ed ancora la maglia di miglior scalatore. In classifica generale è 12°, anche sedanti a lui Ezequiel Mozquera e David Garcia, entrambe corridori della Xacobeo-Galicia, vengono squalificati perché positivi ad un coprente.
Si ritira nel 2012 dopo 12 partecipazioni al Tour de France, miglior piazzamento in generale un 13° posto. Un partecipazione al Giro d’Italia (68°) e cinque partecipazioni alla Vuelta Espana, miglior piazzamento 8°, con 4 titoli di miglior scalatore consecutivi e 4 tappe vinte. Le sue altre vittorie da professionista sono un giro del mediterraneo, un Tour de l’Ain ed una Route du Sud. Nelle classiche è arrivato 19° ad un Lombardia, 27° ad una Liegi, 30° ad una Freccia Vallone.
Si potrebbe pensare ad un buon corridore, ma nulla più. In attività spesso era criticato per “la mancanza di potenza”, per non essere un fenomeno in discesa, ma piuttosto cauto (soprattutto dopo la frattura del femore) e perché detestava stare a centro gruppo a “limare” con gli altri, preferendo starsene tranquillo in fondo al gruppo. Detestava la pioggia ed il freddo, si fermava sempre per mettersi la mantellina, non rischiando di mettersela in corsa.
Di lui però i suoi colleghi hanno detto:
-“se non ci fosse stato il doping avrebbe potuto vincere un Tour” –Philippe Gaumont
-“in 7 anni alla Cofidis ho conosciuto solo due corridori che non prendevano sostanze: Moncoutié e Janek Tombak” –Philippe Gaumont
-“tutti sono concordi nel dire che Moncoutié si sia mai dopato”– François Migraine, il presidente del gruppo Cofidis
Altre testimonianze del fatto che Moncoutié abbia mai preso doping vengono anche da David Millar ed altri compagni di squadra, oltre che da Eric Boyer, direttore sportivo della Cofidis tra il 2005 e il 2012, che ricorda come Moncoutié venisse preso in giro per rifiutarsi di “passare alla velocità superiore”, ma che “col senno di poi è forse grazie a lui che lo sponsor non se n’è andato e la squadra è rimasta in piedi”.
Moncoutié fu praticamente l’unico corridore della Cofidis a passare indenne l’inchiesta sulla squadra del 2004 che ne decretò quasi la fine.
A differenza di un altro corridore considerato da tutti come “pulito”, Christophe Bassons, il quale però osò rompere l’omertà del gruppo finendone travolto ed essere costretto al ritiro (bullizzato da Armstrong in prima persona, ma pare anche minacciato fisicamente in gruppo), Moncoutié se ne è sempre stato in disparte, godendo di quello che la bicicletta poteva dargli:
“Sin dagli inizi per me il ciclismo è stato sinonimo di gioia. Quando ho cominciato non pensavo se un giorno avrei fatto un Tour de France ad esempio. Ero più come un ciclista della domenica che sale in bici solo per il piacere di farlo. Poi con l’età suppongo di aver preso la cosa con più responsabilità e vedere la bici come un lavoro, ma la cosa più importante è che mi piace pedalare, è cosi che sono felice“.
Solo in un’occasione Moncoutié si è lasciato andare ad una dichiarazione riguardo il doping, interrogato proprio per il suo statuto di corridore pulito:
“Si, si può correre un Tour de France senza prendere sostanze. Vincerlo è un’altra cosa.”
Quello che lo ha fatto spiccare e allo stesso tempo sopravvivere nel gruppo dell’epoca è probabilmente questo carattere particolare, che lo faceva essere concentrato su quello che importava a lui, e che non era vincere o guadagnare di più (rifiutò un aumento di stipendio quando gli chiesero di fare da capitano della squadra, perché non voleva assumersene la responsabilità), ma solo fare quello che lo faceva stare bene.
È sempre Eric Boyer che forse ne ha carpito il segreto: “Moncoutié è un solitario. È capace di essere felice in un gruppo, ma non ne ha bisogno. Vuole solo essere lasciato in pace“.
Oggi David Moncoutié fa da consulente per varie catene televisive durante Vuelta e Tour, cosi come consulente per alcuni sponsor. Ad esempio fa la guida in bici per gruppi di clienti “vip” della Vittel che vogliono percorrere gli ultimi chilometri delle tappe dei grandi giri.