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Doping. Quante storie!

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Secondo qualcuno il primo caso di doping arrivo’ molto presto:

1 Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». 4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Genesi 3, 1-7).

Forse esagerando. 

Fatto sta che persino nell’antica mitologia nordica si possono trovare dei casi sospetti. In particolare quello dei Berserkr. Dei feroci guerrieri che prima della battaglia pare assumessero un estratto di funghi velenosi, che oggi si sa essere un alcaloide chiamato Bufoteina.

In realtà in quasi tutte le culture vi era l’usanza di cibarsi di parti del corpo del nemico per acquisire poteri particolari: cervello, fegato, cuore, etc… (cosa che tornata di moda nel ciclismo moderno come potete leggere nel celebre topic dei carboidrati, anche se per ora si limitano ai non-umani :-)).

I più poi conosceranno le usanze dei popoli andini nel consumo di foglie di coca. O quella dei cinesi del consumo di Ephedra.

Nello sport saranno prima i Greci olimpici e poi i Romani ad introdurre diete particolari. I fichi fritti e l’idromele su tutto, ma anche una divisione in base alla disciplina:  carne di capra per i saltatori, carne di toro per pugili e lanciatori ed infine carni grasse di maiale per i lottatori . Plinio il giovane ci porterà testimonianza che i corridori di fondo greci usavano decotti di Equisetum per combattere la fatica ed evitare gli abbandoni.

Spostandoci su altri campi di gioco si ha la prima testimonianza di “giocatori” dopati nella guerra Norvegia-Svezia del 1718 in cui si dava la Bufoteina estratta dalle Amanite Muscarie come da tradizione mitologica.

Mentre si dovrà attendere la Guerra Civile americana nel 1863 per far conoscenza con la morfina e la guerra Franco-Prussiana nel 1883 per trovare i primi timidi tentativi di utilizzo dell’eroina.

Nella prima guerra mondiale si continuerà senza troppa convinzione con queste due sostanze, puntando più convintamente sull’alcool (in Francia ci sono studi sul tasso di alcolismo post-trincee poco confortanti), mentre con la Seconda Guerra Mondiale ci sarà un massiccio investimento nella chimica: Amfetamine per gli Alleati (verranno consumate 72 milioni di “Energy Tablets”); Efedrine (Pervitin)e testoterone per gli avversari. I tedeschi introdurrano anche una pratica dal futuro luminoso: trasfusioni di sangue per i piloti di aerei per farli adattare meglio alle alte quote.

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Nel frattempo, i Francesi, sempre molto attenti alle catalogazioni, immortaleranno nel 1903 per la prima volta il termine Doping in un dizionario, il Petit Larousse, che alla voce recitava: “l’emploi d’excitants et les excitants eux-mêmes susceptibles au moment d’une course de donner au cheval une ardeur factice et momentanée“. (L’impiego di eccitanti o gli eccitanti stessi suscettibili di dare al cavallo durante la corsa un ardore fittizio o momentaneo).

Si faceva notare anche che questa pratica era vietata (ci tenevano ai cavalli evidentemente).

Nello sport ciclistico il doping e gli aiutini avrebbero fatto capolino ben prima comunque:

Frederic De Civry, corridore francese nato il 21-08-1861 a Parigi e morto il 15-03-1893 a Courbevoie è conosciuto da tutti (o quasi dai…) per essere il primo “campione del mondo” del ciclismo. Infatti nel 1883 vinse ad Aylestone Roads, presso Leicester, nel Regno Unito, il primo campionato del mondo su pista coperta sulla distanza di 50 miglia (80,4 km).

De Civry fu anche il primo campione “ufficiale” del ciclismo, vincendo a Parigi nel 1881 il campionato francese di velocità su “Grand Bi” (le bici col ruotone). Ebbene Frederic corse la prova completamente ubriaco (alcune voci parlarono allora di Whiskey, ma la grandeur francese con il tempo ha imposto la versione che voleva De Civry ebbro di Pastis).

D’altronde nei primi decenni del secolo scorso le proprietà dell’alcool erano decantate sia per gli sportivi che non. Basti dare uno sguardo ai vecchi posters pubblicitari per capire che era ritenuto un toccasana. Dall’allattamento fino alla sponsorizzazione di squadre ciclstiche che, garantito, vincevano a suon di birre.

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Cosi’, sempre i soliti Francesi, nel 1950 saranno costretti ad aggiornare la voce del solito Larousse: «est considéré comme dopage le fait d’administrer sciemment en vue ou au cours d’une compétition sportive des substances destinées à accroître artificiellement et passagèrement les possibilités physiques d’un sportif et susceptibles de nuire à sa santé” (è considerato doping il fatto di sommnistrare coscientemente delle sostanze destinate ad accrescere artificalmente ed in modo passeggero le capacità fisiche di uno sportivo  in vista di una corsa o di una competizione e passibili di nuocerne alla salute”)

Già, perchè alla fine qualcuno cominciava anche a risentirne di questi aiutini.

Basti pensare al caso di Jimmy Michael. Gallese, campione del mondo su pista (dietro motore), il quale in una corsa a Berlino cadde in pista per aver alzato un po’ troppo il gomito mentre filava a quasi 100km/h dietro una moto. Si rialzo’ e riprese a correre…ma nel senso inverso a quello di corsa. La diagnosi fu frattura del cranio, infortunio che Jimmy comincio’ a curare subito dopo la caduta con una sana sbronza assieme allo svizzero Jean Gougolz.

Sbronze che continuerà a prendersi fino alla morte per Delirium Tremens all’età di 27 anni, sempre per combattere i mal di testa causati dalla caduta.

E come Arthur Linton, suo compagno di squadra alla Simpson (un altro era Constant Huret, tutti assieme furono immortalati in un poster pubblicitario dipinto nientemeno che da Toulouse-Lautrec) che mori’ dopo la Parigi-Bordeaux del 1896 per una non meglio precisata “febbre tifoide”.

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In realtà tutti e due (e tutta la squadra) erano “curati” dal primo “santone” riconosciuto del doping ciclistico: James “Choppy” Warburton, a sua volta forte corridore a piedi in gioventu’ (si vede anche lui nel poster pubblicitario dipinto da Toulouse-Lautrec e pure meglio in un bozzetto preventivo). Il quale dopava sistematicamente i suoi corridori con tutto il possibile dell’epoca. Ma con una gran predilezione per la stricnina e la nitroglicerina.

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In seguito alle morti di Michael e Linton (e numerose testimonianze -Michael accuso’ più volte Warburton di volerlo avvelenare-) venne bannato a vita dall’ambiente sportivo.

Stricnina che continuo’ ad essere presente nel ciclismo ancora a lungo. Nel 1924 sarà memorabile il caso dei fratelli Péllisier che al Tour de France ammisero l’uso di un intruglio a base di stricnina, cocaina, cloroformio ed aspirina.

Fino alle morti celebri di Tommy Simpson sul Mont Ventoux (brandy, amfetamine e calore -Jean Malléjac nel 1955 fu protagonista della stessa scena, ma venne salvato in extremis dai dottori-)

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e Knud Enemark Jensen, morto in seguito ad una caduta ai giochi olimpici di Roma del 1960. L’autopsia rivelo’ massiccia presenza di amfetamine e Ronicol.

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Da allora la storia si è arricchita anche dell’antagonista del doping: l’antidoping. Il quale farà il suo trionfale ingresso nel 1965 col primo “positivo” ufficiale del ciclismo: Luis Santamarina (amfetamine)  e poi alle Olimpiadi di Monaco del 1972 con Jaime Huélamo e Aad van den Hoek (Coramina).

Da allora sono migliaia i professionisti che continuano ad alimentare questa lunga storia di “frutti proibiti”. The show must go on.

Concetto condensato nella celebre la battuta del campione del mondo tedesco Rudy Altig:  “Siamo professionisti. Non sportivi“.

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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