Cosa rende tale un campione? Le vittorie, la classe, l’atteggiamento. Quando si uniscono vittorie e atteggiamento spavaldo e “simpatico” si ha spesso il “campione popolare”. Una cosa che spesso non viene tollerata sono i piazzamenti: uno può con grande regolarità piazzarsi sui podi delle corse più prestigiose, ma questo è quasi considerata una colpa, come se per il pubblico quel “quasi” ricordasse qualcosa di se che non piace, che non si vuol vedere. È cosi che gli eterni piazzati spesso non sono molto amati (eccezione, Poulidor) e gli si rimprovera anche qualcosa.
Poi c’è una quarta categoria: i campioni introversi, quelli che parlano poco o niente, che vincono, ma senza “dare spettacolo”, qualsiasi cosa voglia dire. Questi sono i candidati migliori ad essere dimenticati; al massimo curiosità per chi ama spulciare gli albi d’oro e non si capacita di come, a fronte di vittorie di enorme prestigio, questi siano dimenticati. Se li si riguarda con la lente d’ingrandimento concessa dagli archivi della stampa e dei racconti di chi li ha conosciuti in qualche modo, si scopre che quasi sempre erano degli introversi. Persone lontane dai riflettori, che amavano il proprio anonimato invece di coltivare sogni di popolarità con devozione come il grande pubblico, che quindi non li capiva e quasi ne era infastidito.
Uno di questi campioni introversi fu sicuramente Giovanni Valetti, nato a Vinovo, vicino Torino, nel 1913.
Valetti vanta in carriera un 5° posto alla sua prima partecipazione al Giro d’Italia nel 1936, vinto da Gino Bartali davanti Giovanni Olmo (il quale poi fondo’ l’omonima marca di biciclette). Nel 1937 si classificò 2°, sempre dietro Bartali, che all’epoca si può tranquillamente definire come il miglior corridore in attività al mondo.
Nel 1938 la progressione naturale lo porta a vincere il Giro, ma qui gli si può rimproverare che il parterre dei partecipanti non era di primo piano, dato che il regime fascista aveva obbligato Bartali a correre il Tour de France, che il toscano vinse, accompagnato da tutti i migliori italiani (Aldo Bini, Mario Vicini, Giordano Cottur, etc.), correndosi all’epoca il Tour a squadre nazionali. Anche se Valetti lo stesso anno vinse anche il giro di Svizzera.
Nel 1939 però, Giovanni Valetti rivinse il Giro d’Italia, e stavolta proprio davanti Gino Bartali e Mario Vicini. Con compagni di squadra, alla Frejus, Cino Cinelli (altro futuro nome di rilievo dell’industria ciclistica) e Olimpio Bizzi. Stavolta i dubbi avrebbero dovuto essere fugati. Poi però scoppiò la seconda guerra mondiale e, dopo questa, Valetti passò alla Bianchi assieme a Bizzi e Cinelli, ma senza più brillare. L’arrivo in gruppo del giovane Fausto Coppi ne decretò la caduta nel dimenticatoio.
Un bel video che ritraccia la storia di Valetti è stato prodotto da H12Film e può essere visionato online per soli 2,21eu o acquistato per 3,53eu. Una visione consigliata, in cui grazie anche alle testimonianze dei familiari di Valetti ci si fa un’idea del carattere molto introverso e parco di parole del campione torinese.
Valetti. Il campione dimenticato from H12 FILM on Vimeo.
Un altro campione dimenticato è sicuramente Paul Deman. Fiammingo, ma con cognome francofono, nato nel 1889 a Rekkem, a 500mt dalla frontiera francese, era belga, ma non considerato “genuino” dai fiamminghi. Era soprannominato “il basso” per il registro della sua voce, che a quanto pare non era udita molto spesso tuttavia.
Nel 1909 da dilettante vinse 6 tappe su 7 al Giro del Belgio ed arrivò 3° alla Liège-Bastogne-Liège.
L’anno successivo passa professionista alla Saphir, e nel 1911 si piazza 13° al Tour de France (1° degli isolati, senza squadra). L’anno successivo è 6° alla Bordeaux-Paris e 10° alla Paris-Roubaix.
Nel 1913 il suo nome entrerà per sempre nella storia: vince la prima edizione del Giro delle Fiandre, creato dai fiamminghi per contrastare il prestigio della corsa dei valloni, la Liégi-Bastogne-Liége. Tanto per far capire il clima culturale, Karel Van Wijnendaele, il creatore del Fiandre, il giorno dopo scrisse: “Paul Deman fa parte dei migliori corridori fiamminghi, almeno sulla carta“. Troppo “francese” e quindi vallone agli occhi dei nazionalisti fiamminghi, che quindi non presero nemmeno troppo bene la sua vittoria.
Al Tour de France è 14°, e poi 1° alla Bordeaux-Paris, dove vince a sorpresa su tutti i forti specialisti dell’epoca.
Poi lo scoppio della guerra mondiale, che per i belgi vuol dire occupazione tedesca. Deman si arruola nella rete della “dama bianca”, una rete di spionaggio belga gestita con fondi britannici. Il nome “dama bianca” deriva da un’antica leggenda tedesca che vuole la fine della dinastia Hohenzollern (gli imperatori tedeschi) annunciata da uno spettro con le sembianze di una dama bianca. Deman passa regolarmente il confine olandese in bici, sempre con cattivo tempo, e con dei messaggi segreti nascosti nella cavità di un dente d’oro impiantatogli appositamente.
Durante il novembre 1918 però, Deman viene perquisito molto minuziosamente da una pattuglia tedesca, gli viene trovato il dente d’oro coi messaggi e viene arrestato. Processato, viene condannato a morte per tradimento. L’esecuzione viene fissata per il 10 Novembre. L’11 Novembre però, all’alba è un ufficiale britannico ad aprire la porta della sua cellula: è stato firmato l’armistizio, Deman vivrà e sarà libero…. ma non così presto. Avendo un forte accento tedesco (è fiammingo, no?) ed essendo di pochissime parole, i britannici si insospettiscono, non si fidano, e lo credono un agente che fa il doppio gioco, pertanto confermano la condanna a morte, per il giorno successivo. Nella notte sarà un telegramma del neo-costituito governo belga a salvargli la pelle per la seconda volta in 48h, confermandone l’affiliazione alla dama bianca.
Questi eventi lo marcano profondamente, tanto da fargli avere un’ulcera gastrica (e già è poco…), e ci mette un po’ a riprendere le corse.
Nel 1920 vince la Paris-Roubaix di misura su Eugène Christophe e Lucien Buysse.
Nel 1921 è 6° alla Roubaix, nel 1922 4°. Nel 1923 vince la Paris-Tours (con un tempo tremendo), e abbandona alla 6^ tappa il suo ultimo Tour de France. Chiude la carriera nel 1924 con un 4° posto al Fiandre ed un 7° alla Roubaix.
Viene decorato da Gran Bretagna, Belgio e Francia per le sue attività durante la guerra. La Francia gli assegnò la croce di guerra per “eroismo contro il nemico”.
Tutto questo non bastò per farlo amare dal pubblico. Troppo fiammingo per piacere ai francesi, troppo francese per piacere ai fiamminghi, i reportage dell’epoca mostrano sempre grande freddezza davanti le sue vittorie.
Paul Deman morì nel 1961 a 72 anni.
A questo link si può vedere la bici con cui Deman vinse la Roubaix, una Labor, col tipico telaio “a ponte”, per irrobustirla (Labor fu il primo marchio a produrre forcelle con un solo fodero). La bici era parte della collezione Embacher ed è stata venduta all’asta per soli 1800$.
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