L’aerodinamica è un aspetto del ciclismo tra i meno popolari, da sempre. Un aspetto importante, ma spesso poco compreso, per niente “visibile” e pertanto persino sbeffeggiato. È una storia che parte da lontano, come sempre dal ciclismo dagli albori.
Probabilmente alcune osservazioni nascono per caso, come per le ruote. Alla fine del ‘900 si provava di tutto sulle bici. La Disc Wheel Company Ltd. di Londra, nel 1896 proponeva (non solo per le bici) delle ruote composte di due cilindri di acciaio molto sottile che venivano pretensionati e ed installati sul cerchio. Le prime ruote lenticolari. Fu subito evidente che all’anteriore erano difficilissime da guidare, pertanto l’idea seguente fu di farne una in legno praticando 4 fori.
Empiricamente si notò un effetto aerodinamico migliore, ma il presumibile peso di una ruota in legno combinata con una lenticolare in acciaio deve aver fatto propendere per abbandonare l’idea.
Sempre in quegli anni correva in pista un giovane che avrebbe avuto alcune intuizioni fondamentali. Edouard Nieuport, figlio di un colonnello di artiglieria, amante del ciclismo tanto da combinare gli studi in ingegneria alla prestigiosa Ecole supérieure d’éléctricité con l’attività su pista, dove ottenne buoni risultati vincendo dei Grand Prix, tra cui il GP Zimmermann, al parco dei principi, allora corsa prestigiosa.
Gli studi e le intuizioni di Nieuport lo portarono a capire che quello che è fondamentale in bici è minimizzare la resistenza all’avanzamento offrendo la minor superficie possibile all’aria. Pertanto Nieuport cominciò ad adottare delle posizioni in bici sempre più basse, cercando di abbassare il manubrio il più possibile.
Bisogna immaginare l’effetto che poteva fare a fine ‘800 un ciclista che correva in quel modo. Fu soprannominato “la sogliola” e venne regolarmente sbeffeggiato.
Nieuport non se ne curò e cercò di estremizzare sempre più il concetto, sino a farsi fare una bici appositamente disegnata da lui.
La bici si rivelò però inguidabile, o forse troppo scomoda, e venne cestinata.
A quel punto Nieuport abbandonò il ciclismo e si dedicò ad una nuova passione: l’aviazione. Quelli erano anni pionieristici per l’aviazione e vi era grande fermento a livello tecnologico (compagno di studi di Nieuport fu Louis Breguet). All’epoca Nieuport assieme al fratello aveva iniziato a produrre magneti, candele (inventate da un altro ciclista…) e batterie per automobili. I suoi componenti erano installati sulle automobili Citroën e sugli aerei Levavasseur. Nieuport acquistò un biplano Voisin e iniziò ad imparare a volare. Gli inizi non mancarono di incidenti, tra cui un incendio in volo da cui si salvò miracolosamente, ma la passione ormai lo aveva preso.
Iniziò a produrre dei propri aerei per testare i propri componenti elettrici a bordo. A breve cominciò a voler battere dei record costruendo aeroplani “da competizione”. Una delle sue prime intuizioni fu ancora quella dell’aerodinamica. All’epoca gli aerei erano basati su telai a traliccio prevalentemente in legno. Nieuport cominciò a carenarli, prima con tela e poi con balsa.
Nel 1909, con il Nieuport I arrivò a 70km/h con un motore da 20cv.
Arrivò quindi il momento del Nieuport II, con cui batté diversi record mondiali, arrivando a 113km/h nel 1011 con un motore da 28cv. Il Nieuport II è ancora oggi esposto al museo dell’aviazione a Le Bourget fuori Parigi.
Edouard Nieuport fu poco dopo mobilizzato in vista della guerra come pilota da ricognizione, ma durante un volo dimostrativo con forte vento si schiantò e morì, il 16 settembre 1911 a Verdun.
Negli stessi anni un altro ingegnere francese fu molto attivo nel settore: Marcel Riffard, che era proprio specializzato in aerodinamica, ma che lavorava soprattutto su aerei e automobili (alla Renault). Riffard però durante il servizio militare conobbe Étienne Bunau-Varilla, un ricco appassionato di sport e aviazione. Bunau-Varilla cominciò a progettare delle carenature per bicicletta piuttosto primitive, ma si muovevano verso una direzione ben precisa.
La svolta arrivò con l’aiuto di Riffard, con il quale realizzò il Vélo-Torpille, “la bici siluro”.
Con questa bicicletta, pilotata da Marcel Berthet, uno dei più forti pistard dell’epoca, come il suo concorrente principale, lo svizzero Oscar Egg, batté ogni record di velocità. Bunau-Varilla però dopo la guerra si appassionò allo sci e diventò il primo capitano della nazionale francese della disciplina. Oscar Egg, detentore del record dell’ora a più riprese, peraltro progettò anche lui una bicicletta aerodinamica, e seppure senza alcuna nozione ingegneristica ebbe un’intuizione incredibile per quanto controintuitiva: l’aerodinamica dipende anche dal flusso dietro la bicicletta:
Riffard continuò a progettare carenature per biciclette sempre più curate aerodinamicamente.
Sino a progettare e costruire il Vélodyne negli anni ’30:
I record si sprecavano a bordo del Velodyne, ma l’UCI aveva già tagliato la testa al toro nel 1914 proibendo le carenature nelle cronometro e per i record dell’ora. Quindi la storia di questi veicoli prese una strada parallela a quella del ciclismo “classico” per interessare l’ambito di quello che oggi sono chiamati Human powered Vehicles.
Negli anni ’30 però vi furono degli studi riguardo la posizione aerodinamica dei ciclisti. Anche se furono più che altro delle curiosità. Alcuni forti sprinter dell’epoca (Archambaud e Richard) vennero invitati a fare dei test alla prima (ed all’epoca probabilmente una delle uniche) galleria del vento al mondo, quella di Gustave Eiffel (quello della torre). L’Auto-vélo del 20 aprile 1938, pubblicò il resoconto di questi test, in cui veniva dimostrata la grande importanza della posizione aerodinamica , in particolare con i gomiti non larghi (mentre all’epoca era la posizione standard) e molto raccolti ed allungati.
Poi arrivò la seconda guerra mondiale e tutti questi studi non interessarono più il mondo del ciclismo almeno sino agli anni ’80 del secolo scorso, quando invece si ripropose una nuova epoca di grandi sviluppi concernenti l’aerodinamica. Sino ai giorni nostri, con gli sprinter che solo negli ultimi anni sono tornati in galleria del vento per affinare la loro posizione negli sprint, come fecero i pionieri 80 anni fa.
Negli anni ’30 vi era grande fermento anche per le automobili a livello aerodinamico, ma questo commento sul 29° salone dell’automobile di Parigi, su Les Miroirs des sports del 8 Ottobre 1935, fa eco con certi commenti che si leggono anche al giorno d’oggi, e che fanno capire l’atteggiamento forse “naturale” verso questo settore:
L’aerodinamica ha questa caratteristica di uniformare l’aspetto delle auto e di togliergli quella personalità, quel segno originale che permette persino ai bambini di riconoscere da lontano, solo aspetto del radiatore o della capote, la marca dell’auto. Poiché certe case per discrezione o orgoglio si accontentano di un piccolo segno esteriore: nome, numero o simbolo, pensiamo che anche un automobilista esperto sia incapace di distinguere la marca di una vettura che gli stia davanti. È questo anonimato un segno dei tempi?
Volete sfondarvi di cenoni, pranzoni, aperitivi e gozzoviglie varie? Allora ecco un ottimo modo per…
Ieri sera è stato presentato il percorso della Vuelta España 2025 (23 agosto-14 settembre), che…
Theodor Storm è stato un po' un oggetto misterioso durante la scorsa stagione, infatti il…
Ci ha lasciati oggi una delle grandi leggende del ciclismo, Rik Van Looy, all'età di…
I grammomaniaci potrebbero andare in fibrillazione per questo portaborraccia Superleggero Ti black. Molto probabilmente si…
Il team Lidl-Trek ha annunciato che il pilota spagnolo Aleix Espargaro (35 anni), vincitore di…