Il punto è diverso.
Se è legittimo dire che "l'automobilista è scorretto", come se esistesse una categoria di automobilisti monolitica che si comporta uniformemente, in cui la percentuale delle "scorrettezze" è "irrilevante", allora è legittimo anche dire "i ciclisti passano col rosso". Perchè la valutazione del "quanto" (i fatti...) per una categoria non conta e per un'altra (toh, la nostra...) invece sì?
Confermo, dire "l'automobilista è scorretto" è tale e quale dire "i ciclisti passano col rosso" o "gli extracomunitari delinquono" o "le partite IVA evadono le tasse". Fenomeni che esistono ma la cui entità deve essere supportata da prove numeriche prima di essere spacciate per verità.
Si semplifica per... semplificare. Non è che ogni volta che parliamo di una categoria dobbiamo fare la premessa che "non tutti sono come....". Lo so anch'io che non tutti gli automobilisti sono criminogeni, ma se si parla (male) in generale di una categoria vuol dire che il problema è sentito.
Per anni tutte le mattine ero in centro per consegne. Se me le ricordassi avrei un'enciclopedia di infrazioni o scorrettezze nei miei confronti, ed ero in macchina. A partire dalle frecce, al cambio di corsia non segnalato o a quelli che si credevano in pista fra un semaforo e l'altro.
Il guaio (stavo per dire "il problema") è quando la generalizzazione viene usata con pregiudizio. Quando non si vedono anche i lati positivi. Perché in ogni categoria c'è sempre qualcuno che si comporta bene.
Esempio? Uno, nel famigerato gruppo Facebook che ogni tanto sbircio, fa una foto ad un ciclista fermo al semaforo. È oltre la linea, ma ha il piede a terra. Eppure tutti i commenti criticavano il suo essere oltre la linea. Sì, lo so, è sbagliato, ma magari ci mettiamo davanti perché così ci vedono o per respirare meno gas di scarico. Oppure, altra foto: stavolta il ciclista è perfettamente fermo al semaforo. Altre prese per il culo perché rispettava il rosso.
Va be', ho fatto due esempi di personaggi patologici, ma il concetto è chiaro.