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Le mie 3 uscite memorabili
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<blockquote data-quote="Shinkansen" data-source="post: 6688078" data-attributes="member: 3881"><p>Belin, [USER=1850]@Ser pecora[/USER] non sapremo mai chi ti seguiva e perché. Non si fa così.</p><p></p><p>Di esperienze comiche o angoscianti non ne ho. Disavventure, ne ho raccontate, cotte, temporali improvvisi, neve durante una ricognizione. Ma tutto nella norma.</p><p>Di veramente tragica ricordo questa cotta colossale.</p><p>Di difetto ho sempre avuto la tendenza a sopravvalutarmi dopo un raffreddore o un mal di gola. Immancabilmente gli amici mi allettavano con un bel giro lungo e pieno di dislivello che io - da tordo - accettavo con la consapevolezza che il malanno che avevo avuto la settimana prima non avrebbe influito e - comunque - sarei andato piano e l'avrei portato a termine.</p><p>Quella volta mi prospettarono un giro da 160 chilometri con più di 2.000 di dislivello. Con partenza da Recco e non da Genova, se no erano 190.</p><p>La faccio brevissima per non annoiarvi ma le cose andarono così. Eravamo in quattro, tre uomini e una donna. Arrivati in cima al Passo del Bocco, dopo già una 50ina di chilometri e un bel po' di salita, la ragazza dice di non sentirsi bene e preferisce tornare indietro. Il suo ragazzo torna indietro con lei. In programma c'era il Passo del Tomarlo, ma io e il mio amico decidiamo di rimandare e di fare un'altra salita: il Passo del Biscia, piuttosto impegnativo e con una strada pessima.</p><p>Mangio, faccio tutte le cose per bene e quando arrivo in cima al Biscia, sento di aver finito la benzina. Mangio di nuovo, ma non esco dalla riserva. A quel punto eravamo a 100 chilometri con 2.000 metri di dislivello. Ne mancavano 20 di pianura, la Val Fontanabuona, un lungo falsopiano a salire, e 7 di salita prima della discesa finale. </p><p>A metà della pianura vado in crisi pazzesca. Non riesco a tenere più i 20. Dico al mio amico di proseguire che vado troppo piano e preferisco andare da solo, perché stare con lui mi innervosisce. Lui prima rimane, poi si arrende e mi lascia.</p><p>Comunque sia, arrivo alla salita e ogni pedalata è una sofferenza. Sono talmente cotto che dopo due chilometri vedo due motociclisti a bordo strada e gli chiedo se mi portano in cima. Risposta: «Lo faremmo ma abbiamo la moto rotta e stiamo aspettando che ci vengano a prendere.»</p><p>La mia solita fortuna.</p><p>In quel periodo c'era un semaforo per i lavori in corso. Arriva una macchina e gli chiedo di nuovo se mi portano in cima. Sono marito e moglie. La moglie è d'accordo, ma il marito comincia a fare storie «Dove metto la bicicletta? Come ti porto?» </p><p>Io rispondo: «Mi attacco al finestrino e mi portate su.»</p><p>«Ma sei matto? E se mi vedono i carabinieri?»</p><p>In 20 anni non ho mai visto una pattuglia, nemmeno per sbaglio. Ringrazio e proseguo (si fa per dire, più che altro striscio su due ruote). Sono talmente cotto che guardare la velocità sul Garmin mi irrita, così sposto la pagina e vedo dei dati secondari. Lo sguardo, dietro gli occhiali da sole è vitreo e fisso sulla ruota anteriore. Non guardo altro, non penso a niente.</p><p>Ad un chilometro dalla vetta, mi affianca il tipo che avevo beccato in macchina e mi chiede se mi voglio attaccare.</p><p>Scatta l'orgoglio e rifiuto l'offerta: «Ormai sono arrivato.»</p><p>In discesa ero così rigido che, non lo so, ma mi sembrava di fare le curve quadrate.</p><p>Arrivo alla macchina e come scendo cammino come se mi avessero infilato una scopa nel... ci siamo capiti. E meno male che quella volta avevo preso la macchina, se no mi toccavano altri 15 chilometri per arrivare a casa.</p></blockquote><p></p>
[QUOTE="Shinkansen, post: 6688078, member: 3881"] Belin, [USER=1850]@Ser pecora[/USER] non sapremo mai chi ti seguiva e perché. Non si fa così. Di esperienze comiche o angoscianti non ne ho. Disavventure, ne ho raccontate, cotte, temporali improvvisi, neve durante una ricognizione. Ma tutto nella norma. Di veramente tragica ricordo questa cotta colossale. Di difetto ho sempre avuto la tendenza a sopravvalutarmi dopo un raffreddore o un mal di gola. Immancabilmente gli amici mi allettavano con un bel giro lungo e pieno di dislivello che io - da tordo - accettavo con la consapevolezza che il malanno che avevo avuto la settimana prima non avrebbe influito e - comunque - sarei andato piano e l'avrei portato a termine. Quella volta mi prospettarono un giro da 160 chilometri con più di 2.000 di dislivello. Con partenza da Recco e non da Genova, se no erano 190. La faccio brevissima per non annoiarvi ma le cose andarono così. Eravamo in quattro, tre uomini e una donna. Arrivati in cima al Passo del Bocco, dopo già una 50ina di chilometri e un bel po' di salita, la ragazza dice di non sentirsi bene e preferisce tornare indietro. Il suo ragazzo torna indietro con lei. In programma c'era il Passo del Tomarlo, ma io e il mio amico decidiamo di rimandare e di fare un'altra salita: il Passo del Biscia, piuttosto impegnativo e con una strada pessima. Mangio, faccio tutte le cose per bene e quando arrivo in cima al Biscia, sento di aver finito la benzina. Mangio di nuovo, ma non esco dalla riserva. A quel punto eravamo a 100 chilometri con 2.000 metri di dislivello. Ne mancavano 20 di pianura, la Val Fontanabuona, un lungo falsopiano a salire, e 7 di salita prima della discesa finale. A metà della pianura vado in crisi pazzesca. Non riesco a tenere più i 20. Dico al mio amico di proseguire che vado troppo piano e preferisco andare da solo, perché stare con lui mi innervosisce. Lui prima rimane, poi si arrende e mi lascia. Comunque sia, arrivo alla salita e ogni pedalata è una sofferenza. Sono talmente cotto che dopo due chilometri vedo due motociclisti a bordo strada e gli chiedo se mi portano in cima. Risposta: «Lo faremmo ma abbiamo la moto rotta e stiamo aspettando che ci vengano a prendere.» La mia solita fortuna. In quel periodo c'era un semaforo per i lavori in corso. Arriva una macchina e gli chiedo di nuovo se mi portano in cima. Sono marito e moglie. La moglie è d'accordo, ma il marito comincia a fare storie «Dove metto la bicicletta? Come ti porto?» Io rispondo: «Mi attacco al finestrino e mi portate su.» «Ma sei matto? E se mi vedono i carabinieri?» In 20 anni non ho mai visto una pattuglia, nemmeno per sbaglio. Ringrazio e proseguo (si fa per dire, più che altro striscio su due ruote). Sono talmente cotto che guardare la velocità sul Garmin mi irrita, così sposto la pagina e vedo dei dati secondari. Lo sguardo, dietro gli occhiali da sole è vitreo e fisso sulla ruota anteriore. Non guardo altro, non penso a niente. Ad un chilometro dalla vetta, mi affianca il tipo che avevo beccato in macchina e mi chiede se mi voglio attaccare. Scatta l'orgoglio e rifiuto l'offerta: «Ormai sono arrivato.» In discesa ero così rigido che, non lo so, ma mi sembrava di fare le curve quadrate. Arrivo alla macchina e come scendo cammino come se mi avessero infilato una scopa nel... ci siamo capiti. E meno male che quella volta avevo preso la macchina, se no mi toccavano altri 15 chilometri per arrivare a casa. [/QUOTE]
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