È lunedì ed il Giro d’Italia 2021 è finito, lasciando il solito vuoto dopo 3 settimane di commenti, attese, sorprese e conferme. La conferma è la Ineos Grenadiers, la quale vince la corsa rosa per il secondo anno di fila, quest’anno con un ritrovato Bernal, e con una squadra eccellente che ha dominato sulla strada, dall’inizio alla fine, letteralmente, con le vittorie nelle cronometro di apertura e chiusura col solito Filippo Ganna, il quale ha portato a 6 il proprio bottino di tappe in carriera. Per il granatiere italiano ormai ogni tappa a cronometro abbastanza piatta è vittoria sicura, non importa se deve pure fare un cambio bici, come nella crono di Milano. In salita Daniel Martinez ha tirato per Bernal tanto forte che pur togliendosi ai soliti -n kilometri dal traguardo è arrivato 5° in classifica generale. Ed oltre salire come un camoscio è stato pure motivatore nei momenti di difficoltà del connazionale.
Un po’ più giù in classifica, al 23° e 24° posto ci sono Castroviejo e Moscon, altri treni che hanno spianato la strada a Bernal, in particolare nella tappa delle Strade Bianche dove il colombiano ha impressionato. Totale: Ineos da 10 e lode.
Egan Bernal veniva da una stagione nera, flagellata dal mal di schiena, dal cambio fidanzata, dai molti dubbi che fosse stato un fuoco di paglia e si fosse perso. Il 2021 era cominciato con buoni segnali, ma nessuna vittoria e questo Giro era la prova decisiva. Immaginiamo la pressione che il colombiano doveva avere addosso, per mostrare al mondo ed a se stesso di essere capace di tornare in vetta, il tutto a 24 anni, mentre i giovani talenti fioriscono ovunque come primule a primavera. Missione compiuta. Bernal ha mostrato grande condizione ed una gamba nettamente migliore di tutti gli avversari nella prima metà del Giro, per poi calare un po’ nella seconda metà, con un paio di momenti di netta difficoltà. Ma è proprio in quei momenti che ha dimostrato grande maturità da campione, stringendo i denti, non facendosi prendere dal panico e gestendo con intelligenza. Come sempre alla Ineos ci hanno visto giusto e forse il Bernal di questo Giro sarebbe andato più in difficoltà se portato al Tour, contro i Roglic e Pogačar e senza poter impostare lui i ritmi, ma dovendosi adattare anche a quelli di squadroni come la Jumbo-Visma. In ogni caso Bernal è tornato, e questa vittoria sarà una massiccia iniezione di fiducia e stimoli per il futuro. Il tutto a 24 anni e già un palmarés da campione vero. Voto: 10.
Damiano Caruso: voto 10 e lode. Cosa si può chiedere di più al corridore siciliano di 33 anni oltre al 2° posto appena ottenuto? Dopo 14 stagioni da professionista in cui ha dimostrato di essere uno dei più solidi gregari in gruppo ha fatto il risultato della vita. Fuori il suo capitano, lo sfortunato Landa, si è assunto le responsabilità di capitano corsa facendo, e dimostrando di poter battagliare con i migliori al mondo. In realtà lo aveva già dimostrato con 3 Top Ten nei grandi giri nel corso della sua carriera, ma stavolta ha mostrato a tutti il proprio reale valore, che va aldilà del posto sul podio. Lo ha dimostrato nella penultima tappa, siglando la 3^ vittoria in carriera, ma con un’azione ed in un momento della corsa che la fa valere come 10.
Perché nessuno glielo chiedeva, perché poteva gestire ed accontentarsi di prendersi già il podio. Ed invece ha vinto con carattere e brillantezza da campione vero. Mostrando anche al mondo, ma con grande umanità, che Caruso i gradi da capitano se li è presi e meritati sul campo.
Simon Yates: voto 5. Il vincitore della Vuelta 2018 ha deluso. Nel passato ci aveva abituati a partenze di Giro a razzo per poi eclissarsi nel finale. Quest’anno per metà Giro non si capiva se l’esperienza lo stesse portando a nascondersi in vista del finale o cosa. In realtà in parte è stato cosi, e l’inglese ha portato una stoccata sull’Alpe d Mera, ma niente che abbia veramente fatto male agli avversari, Bernal in particolare. Evanescente nella tappa dello Spluga e persino un p0′ irritante nella cronometro finale, dove ha proprio gestito il minimo per assicurarsi il gradino più basso del podio. Forse un 3° posto che allontana i molti spettri del passato al Giro, dove si è scornato più volte, forse la paura di un’altra debacle ha avuto il suo peso nel non farlo osare di più, o forse non aveva proprio abbastanza. Ci si aspettava di più comunque.
Alexander Vlasov: voto 6. Il 25enne russo ha fatto presumibilmente quello che poteva, ma senza mai un acuto. Un 4° posto che lo colloca tra gli emergenti in grado di essere protagonista nel futuro dei GT, ma per fare un salto sul podio deve trovare un cambio di passo in qualche frangente. Difficile che sia in montagna, dove tiene bene, ma sempre in progressione, magari ci si aspettava di più a cronometro. Alla fine nelle due cronometro ha rosicchiato un totale di 42″ a Bernal. Troppo poco, anche se va detto che il corto prologo di Torino non poteva certo fare differenze importanti e probabilmente a Milano era già rassegnato visto il distacco che lo separava da Yates. Il Tour sembra più la sua corsa tra i 3 GT.
Sotto le aspettative. Un certo numero di corridori hanno un po’ deluso. Non tanto per i piazzamenti finali, ma per quanto mostrato in gara. Hugh Carty (EF Education First) ad esempio. Voto 4 1/2. Il britannico ha chiuso all’ 8° posto in classifica generale, ma non è mai stato nel vivo della corsa. Il suo miglior risultato è il 5° posto raccolto a Cortina. Nonostante il metro e 93 di altezza sembra più a suo agio solo in salita, come mostrato alla Vuelta dell’anno passato ed al Catalunya o al TotA quest’anno. Romain Bardet (Team DSM), voto 5 1/2. Dal francese, uno dei soli tre trentenni nella Top Ten, ci si aspettava qualcosa di più, in particolare in certe tappe della prima settimana, dove le sue caratteristiche di corridore non solo da GT mostrate in passato facevano presumere che potesse fare bene. In realtà l’unico acuto è arrivato nella discesa del Giau nella tappa di Cortina, dove sotto la pioggia è andato come un missile, ma arrivando comunque 2°. Alla fine coglie un 7° posto deludente in una corsa che sembrerebbe quella ideale per lui, compreso il maltempo che non è mancato e che gli piace tanto. Joao Almeida, voto 6 1/2. Dopo il bel Giro dell’anno passato era molta la curiosità riguardo il 22enne portoghese. Ha peggiorato il proprio risultato dell’anno passato (4°) con un 6° posto strappato con grinta. Forte a cronometro ed in salita, è però andato “in bambola” nella 4^tappa, con arrivo a Sestola, nella quale ha perso quasi 6′. Questo non solo ha pesato sulla classifica, ma lo ha messo nella difficile posizione di essere degradato rispetto Evenepoel, che nel frattempo si comportava bene. La situazione è stata di difficile gestione, e la tenacia dell’incredibile belga (rientrava alle gare dopo 8 mesi di stop per il famoso volo dal ponte al suo primo GT in carriera) gli hanno fatto perdere ulteriore tempo e pesato psicologicamente. Evenepoel alla fine si è, come prevedibile, arenato, e per il portoghese è stata una rincorsa disperata. Ha corso una terza settimana solidissima, con due secondi posti e due quinti, compresa l’ottima crono finale. Alla fine è arrivato 6° in generale a +7’24”, lo stesso tempo di Martinez, ma senza la défaillance di Sestola sarebbe stato da podio. Per lui delusione, ma anche il segnale di essere un corridore su cui puntare sicuramente per il futuro. Infine menzione d’onore per George Bennnett, voto 4. Quello che doveva essere il capitano della Jumbo-Visma, alla fine ha combinato pochissimo, cogliendo un 11° posto dietro il suo compagno Foss e subito davanti l’altro compagno Bouwman. Segno che tutto sommato la Jumbo non era così messa male. Il punto è che Bennett non ha mai mostrato non solo qualche bella azione, ma anche di correre male, come nell’occasione della 12^tappa vinta da Andrea Vendrame. Citofonare Brambilla.
Il ricambio generazionale. Anche a questo Giro si è assistito al ricambio generazionale in atto da qualche anno. O ad uno di quelle strane ed imprevedibili evoluzioni-ritorni al passato che il ciclismo offre. La classifica della maglia bianca non è solo più una curiosità per vedere i talenti futuri, ma ormai rispecchia quasi l’andamento della generale. Bernal, Vlasov, Martinez, Almeida, Foss, Attila Valter e Fortunato sono i primi 7. Foss ha terminato 9° in generale, e Attila ha vestito la maglia rosa per 3 giorni (con una certa classe) sono due prospetti sicuri per il futuro. Fortunato ha vinto la tappona dello Zoncolan. In compenso, i 30enni, che fino a pochi anni fa erano i “corridori maturi” per i GT sono nell’ombra. Nella Top Ten troviamo Caruso, Bardet e l’inossidabile Dan Martin. Poi bisogna scendere sino al 13° posto per trovare Pello Bilbao (31 anni) ed al 17° e 18° posto per trovare Ulissi e Nibali. che sono a 1h da Bernal però. Davanti a loro il bravo Lorenzo Fortunato, 25 anni, che ha lo stesso tempo di Formolo ed ha fatto fare eccellente figura alla Eolo-Kometa, la quale ha onorato alla grande la propria presenza al Giro (finalmente, per una WildCard). Da ricordare anche il 18enne Andrii Ponomar, che ha concluso al 67° posto in classifica generale. Il più giovane corridore a terminare il Giro dal 1929.
ll ritorno delle fughe. Sono ben 10 le fughe andate in porto a questo Giro. Fughe che sino all’anno scorso erano seguite di solito dall’aggettivo “DeGendt”. A questo Giro invece lo spazio per le fughe è stato abbondante, forse anche grazie al (non) contributo delle squadre più forti (in realtà una, la Ineos), che se ne sono disinteressate, come nella 15^ e 18^ tappa, in cui hanno lasciato 17 e 23 minuti ai fuggitivi. Per la gioia di Campanearts e Bettiol. Questo ha portato ad avere volti nuovi (in quanto a vittorie) in evidenza, con le vittorie di Taco van der Hoorn, Joe Dombrovski, Victor Lafay, Gino Mäder, Mauro Schimd, Victor Campanearts e Andrea Vendrame. Il pubblico sembra diviso però sulla positività di queste fughe riuscite, con quello specialistico ad apprezzare e quello generalista un po’ meno, privato delle star in vetrina.
Pubblico che a quanto pare è anche nettamente diviso sul bilancio complessivo di questo Giro, tra chi lo ha trovato fonte di grandi emozioni e chi lo considera un po’ di livello basso.
Sempre la Ineos dietro doveva tirare per impedire che la fuga guadagnasse minuti pericolosi su Bernal.