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Giro d’Italia 2022: considerazioni e commenti

L’Australia entra nel novero delle nazioni che possono vantare un vincitore del Giro d’Italia, l’unico di un grande giro dopo Cadel Evans al Tour de France 2011, e lo fa grazie al 26enne Jai Hindley. Hindley che due anni fa proprio all’ultima tappa del Giro ha dovuto inchinarsi a Tao Geoghegan Hart. Da allora entrambe i corridori sono rimasti a secco di vittorie, ma Hindley da ieri rimarrà nella storia del suo paese con una vittoria di prestigio assoluto, ottenuta senza colpi di scena eclatanti, ma con solidità e maturità. Il che fa pensare che non sarà l’ultima volta che ne sentiremo parlare. Un 1° ed un 2° posto al Giro non si ottengono per caso, e se Hindley 3 settimane fa non era dato come favorito, ora, dopo aver stupito molti, si è disegnato il proprio posto nella mappa dei pretendenti ai grandi giri.

Forse ieri Thibaut Pinot non avrà avuto un compleanno memorabile, in compenso lo avrà avuto Richard Carapaz, favorito n°1 della vigilia, il quale poteva regalarsi una maglia rosa ed invece si accontenta del terzo podio in un GT in carriera (dopo il 2° alla Vuelta 2020 ed il 3° al Tour 2021). Un risultato di rilievo in una carriera che sta diventando di grande prestigio, ma anche un grande disappunto per lui e la Ineos tutta, che se ne torna a casa senza la terza maglia rosa consecutiva e senza vittorie di tappa, nonostante fosse una delle squadre meglio attrezzate. L’ecuadoriano ricorderà per sempre quei pochi chilometri sotto la Marmolada che gli hanno rovinato il 29 esimo compleanno.

Se su Hindley pochissimi avranno scommesso prima del Giro, altrettanto pochi lo avranno fatto su Vincenzo Nibali, che praticamente era stato dato per morto dopo la tappa sull’Etna. Lo squalo invece si congeda dal Giro d’Italia con una prestazione di rilievo, un 4°posto lontano dal podio (+7’20” da Landa), ma che parla da solo sulla tenacia e volontà del 37enne italiano, il quale ha lottato, è stato spesso coi migliori, e si porta a casa un bel risultato, oltretutto con un supporto minimo della sua squadra. A fine stagione lascerà il ciclismo, e soprattutto lascerà un enorme vuoto in quello italiano, ma se ne va “in piedi”, e la stagione potrebbe ancora lasciare spazio per un ultimo acuto. Chapeau.

Tra “i vecchietti” che a fine stagione lasceranno il ciclismo si cita sempre l’inossidabile Alejandro Valverde, il quale a 42 anni è stato capace di conquistarsi ancora un 11° posto, ma stavolta la standing ovation è tutta per Domenico Pozzovivo, che a 39 anni ha centrato un’8° posto che parla da solo sulle qualità e sul carattere di questo sfortunato corridore. Sfortunato per via degli incidenti che lo hanno spesso penalizzato e che avrebbero tolto la voglia di correre a più di un corridore, ma non a lui, che invece si regala una Top10 da applausi.

E soprattutto la regala alla sua squadra, la Intemarché-Wanty Gobert, che in questo Giro ha fatto faville, con anche il 6° posto dell’ottimo Jan Hirt, anche vincitore di tappa all’Aprica, e con la storica vittoria di Biniam Girmay.

Tra le note positive vanno citati i vari vincitori di tappa: da Mathieu van der Poel, vera star da esposizione per gli organizzatori, il quale tra impennate e ananas ha conquistato una tappa e le simpatie degli italiani.

Ma come spesso accade non è stata l’unica nota positiva per la Alpecin-Fenix, la quale ha raccolto altre 2 tappe, con l’ottimo Stefano Oldani e con Dries de Bondt, in una bella tappa combattuta.

Notevole anche la vendemmia della Groupama-FdJ, che ha colto ben 3 tappe con Arnaud Démare, il quale deve all’Italia gran parte del suo palmarés, che sia per l’atmosfera o la scia di Jacopo Guarnieri. Difficile non annoverarlo ormai nel novero dei grandi sprinter con 8 tappe in GT in carriera.

Complimenti anche a 3 italiani che si sono distinti con vittorie di tappa che si spera siano  solo le prime vittorie di prestigio in carriera, e sono quelle di Alberto Dainese, Alessandro Covi e Matteo Sobrero. Ognuno nella propria specialità (sprint, salita e cronometro), il che fa ben sperare per il futuro italiano, in quanto di questi tre corridori ne sentiremo parlare ancora.

Venendo anche alle note meno positive, non si può non citare la sfortuna, innanzitutto quella di Girmay, messo KO dal tappo della bottiglia sul podio. E poi quella di Romain Bardet, il quale sembrava nella forma giusta per contendere un posto sul podio e forse anche qualcosa di più col senno del poi, ed invece è stato ancora una volta vittima della dea bendata ed è andato a casa anzitempo.

Meno sfortuna e forse più diabolica perseveranza in certi errori per Simon Yates, il quale come sempre parte a razzo per poi finire la benzina anzitempo. Vero razzo è stato nella cronometro di Budapest dove ha sorpreso tutti con una prestazione che già lo faceva sembrare un favorito. Poi però come spesso gli capita si perde via via.

Altro acuto nella tappa di Torino, a ricordare che quando ne ha è capace di mettere in riga un po’ tutti e poi…. il ritiro, quando comunque veleggiava a mezz’ora di ritardo dal capo classifica. Riprovaci ancora Simon.

Chi ci prova sempre è Mikel Landa, in questo Giro supportato ancora una volta da una grande Bahrain-Victorious, che non a caso ha vinto la classifica di miglior squadra ed una tappa con l’ottimo Buitrago, ma anche questa volta dimostra di non avere quel quid per poter essere il vincente. Un po’ come Giulio Ciccone, capace di una bella vittoria di tappa, ma sin qui carente quando si tratta di fare classifica.

Ed alla fine di un Giro che è stato serratissimo per 2 settimane i distacchi finali non lo sono poi così tanto: Hindley ha vinto con un confortevole +1’18” su Carapaz e +3’24” su Landa. Già Nibali al 4° posto è andato a +9’02”. Insomma, ha vinto il più forte, e non per bonus o distacchi risicati, ma per aver controllato bene gli avversari per 2 settimane e mezza e poi aver  sferrato l’attacco giusto al momento giusto. A coronamento di un bel Giro.

 

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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