La prima guerra mondiale segna uno spartiacque netto nella storia del ciclismo, e fa terminare l’epoca dei pionieri. E non solo metaforicamente, perché non pochi dei pionieri rimasero vittime della guerra. Trai i più noti: François Faber (1 Tour -due volte 2°-, 1 Paris-Roubaix, 1 Lombardia ed una Paris-Tour le vittorie principali) arruolato nella legione straniera francese (era lussemburghese) e ucciso da un colpo in testa mentre saltava con un compagno ferito sulle spalle dentro la propria trincea; Octave Lapize (1 Tour, 3 Paris-Roubaix) pilota d’aereo, abbattuto sopra Verdun nel 1917; Lucien Petit-Breton (il primo a vincere 2 Tour, oltre che vincitore della prima edizione della Milano-Sanremo), morto in un incidente automobilistico mentre veniva portato al fronte nel 1917.
I corridori francesi in particolare furono numerosissimi a morire in guerra, tant’è che è impossibile menzionarli tutti. Cito i cugini Léon Hourlier e Léon Comés, compagni di squadra su pista, di cui furono varie volte campioni nazionali di velocità. Entrambe furono assegnati all’aeronautica, dove furono in coppia anche come equipaggio di un aereo, con Comés pilota e Hourlier navigatore. Un giorno decollarono per rendere visita al pugile Georges Carpentier, anche lui in aeronautica, ma l’elica del loro aereo si ruppe in volo facendoli precipitare. Lo stesso giorno morì il tedesco Willi Honemann, uno dei migliori stayer dell’epoca, ucciso nei primi giorni della battaglia di Verdun.
Tra gli italiani ricordo Carlo Oriani, vincitore del Giro 1913 e del Lombardia 1912, bersagliere, morto di polmonite dopo aver attraversato a nuoto il fiume Tagliamento (a novembre) durante la ritirata di Caporetto, tentando di salvare un commilitone.
La fine della guerra aveva lasciato i paesi europei esangui di giovani, con le strade bombardate, in particolare nel nord-est della Francia, con migliaia di mutilati ed invalidi. Chi era rimasto era certamente indurito da tutto questo, e si può immaginare a cosa fossero pronti i ciclisti, che già prima non era uno sport da anime belle. Iniziava l’epoca dei fratelli Pellissier, quelli del “corriamo con la dinamite”. Dinamite (amfetamine sopra tutto) che almeno Francis aveva ben conosciuto in trincea dove era stato ferito più volte, sino ad essere decorato con la croce di guerra per aver salvato il proprio capitano, quindi persone che ne avevano viste parecchie. E continuarono a vederne, come il maggiore dei fratelli, Henri, ucciso da un colpo di pistola (la stessa con cui la moglie si era suicidata anni prima) dalla propria amante da lui ferita con una coltellata al viso durante una discussione un po’ animata….
Paradossalmente il materiale tecnico era migliorato notevolmente: i mozzi posteriori avevano ora due filettature in modo da accogliere due cassette (una per lato) portando a 4 i rapporti disponibili, ovviamente a patto di fermarsi, smontare e girare la ruota (ricordo che i deragliatori con comandi al telaio esistevano già dal 1908, ma erano proibiti al Tour. Qui sotto uno dei più diffusi negli anni ’20, il cambio Le Chemineau).
Tratteggiato il contesto introduciamo il personaggio protagonista di questa storia: Honoré Barthélémy, soprannominato “le bouledog” (il bulldog) o anche “le hargneux” (“il litigioso”, ma anche semplicemente uno di cattivo carattere).
Nato a Parigi, come il suo amico Eugéne Christophe, può essere tranquillamente annoverato tra i ciclisti più sfortunati della storia (con Christophe in prima posizione). Ma anche come uno dei più determinati e caparbi. Se c’è uno che rappresenta alla perfezione lo spirito del “non mollare mai” è Barthélémy.
Nel Tour 1922, tra Luchon e Perpignan, rompe la ruota anteriore durante la discesa dal Portet d’Aspet, riesce a ripararla, ma nella seguente discesa del Col de Port “manca” un ponticello che attraversa un torrente e finisce 5mt di sotto. Rompe di nuovo la ruota anteriore e si procura “un buco” sulla gamba sinistra (come recitano le cronache dell’epoca), ma ripara ancora la ruota, prosegue, ed arriva 44° a 4h dal primo.
Nella tappa Tolosa-Nizza, mentre sale il col de Braus, sfinito decide di girare la bici per scendere a Nizza e ritirarsi. L’auto dei commissari, convinti che voglia tagliare il percorso, mettono l’auto di traverso e lo costringono a continuare. Arriverà 33° a 1h dal primo. Il suo Tour continua allegro sino alle Alpi, dove viene fatto cadere in discesa da un sidecar che lo supera sul Col d’Allos. Si ferisce seriamente alla testa (si salvò grazie alla musette imbottita di banane che attutì il colpo) ed alle terga, ma continua.
Alla fine, quando mancano 3 tappe alla fine, si ritira a Ginevra. Il giornale organizzatore del Tour, L’Auto, scrive a proposito: “Le caviglie gonfie, le braccia che si rifiutano di tenere il manubrio, il suo deretano non è altro che carne sanguinante, le sue gambe sono del colore di una palette di un pittore paesaggista tanti sono i graffi, le ferite, i tagli, le ecchimosi e i lividi“.
Ma la fama di Barthélémy è legata soprattutto ai fatti del Tour 1920, quando terminò 8° assoluto e 1° dei francesi. Nella 8^ tappa, tra Perpignan e Aix-en-Provence (325km), in piano, su una strada selciata Barthélémy cadde. Si ruppe la clavicola ed il polso destro. Per continuare girò il manubrio verso l’alto, in modo da riuscire a guidare con la sinistra. Continuò per le seguenti 7 tappe in queste condizioni arrivando 8° (a 5h35′ da Philippe Thys). All’arrivo a Parigi fu onorato come un eroe.
Nell’ultima tappa però, avvicinandosi a Parigi, cominciò a soffrire di un dolore lancinante ad un occhio da cui cominciò a non vederci più.
Nella caduta una piccola selce gli aveva perforato il bulbo oculare. Gli dovettero togliere l’occhio. Continuò ovviamente a correre con un occhio di vetro per il resto della carriera. Il suo “occhio indistruttibile”, come lo chiamava lui, spesso, per via delle buche e delle sollecitazioni della strada, gli cascava fuori durante le corse, e andava perso. Con la polvere e la sporcizia la cavità si infettava, quindi Barthélémy arrivava spesso al traguardo con della garza o del cotone che si infilava in corsa e che gli sporgeva….
Nel 1924 all’arrivo del Tour a Parigi, una scena memorabile raccontata da Henri Decoin, giornalista de L’Auto e futuro cineasta: Barthélémy furioso, carponi a terra che cercava l’occhio di vetro che gli era saltato fuori. Decoin riporta le parole di Barthélémy: “non ne posso più! ad ogni tappa perdo un occhio…il regolamento paga un unico premio da condividere con i corridori piazzati oltre la 10^ posizione…siamo sempre almeno 50….non guadagno nemmeno abbastanza da potermi pagare gli occhi!”
Honoré Barthélémy arrivo’ 5° al Tour de France 1919 (vincendo 4 tappe), 8° nel 1920 e 3° nel 1921. 3° alla Paris-Roubaix 1919, 2° alla Paris-Tours 1920. Vinse due volte il Bol d’Or (1926-1927), prestigiosa gara su pista di 24h.