Categorie: Storie

Hugo Koblet: le pédaleur de charme

55 anni fa, il 6 novembre 1964 moriva lo svizzero Hugo Koblet, il pédaleur de charme, come lo definì il cantante francese Jacques Grello.

Questa definizione, pédaleur de charme (pedalatore affascinante) mai fu più appropriata, e rimane a tutt’oggi una formula molto utilizzata nel mondo del ciclismo. In effetti Koblet fu un corridore di svolta per quanto riguarda l’immagine del ciclismo e dei ciclisti. Koblet era un uomo di bella presenza, molto diverso dalla media dei ciclisti fino a quell’epoca, in particolare quelli delle generazioni precedenti, e soprattutto ha introdotto tutta una serie di vezzi estetici assolutamente inusitati, come gli occhiali da sole, che spesso portava sull’avambraccio, com’era la moda degli sciatori dell’epoca, i guanti in pelle da automobilista, cronografo al polso, e soprattutto non si separava mai dal suo pettine, che utilizzava prima della partenza e soprattutto dopo ogni arrivo di corsa, non prima di essersi bagnato i capelli con una spugnetta in gomma che portava con se.

Koblet però non era solo quello che oggi si definirebbe un “fighetto”, ma era un campione assoluto, che affascinava anche per l’eleganza in sella. Primo vincitore non italiano del Giro d’Italia nel 1950, davanti nientemeno che Gino Bartali (+5’12”), Alfredo Martini (8’41”) ed il connazionale Ferdi Kübler (8’45”) e poi vincitore l’anno seguente del Tour de France.

Koblet complimentato dal suo direttore sportivo Learco Guerra al Giro 1950

Fortissimo a cronometro, Koblet era un passista formidabile, e a lui si deve uno degli exploit più leggendari della storia del ciclismo: Brive-Agen. 11^tappa del Tour de France 1951, “tappa di trasferimento” sulla carta. Koblet la sera prima aveva dormito male, ma poi si rese conto che il percorso aveva un leggero vento favorevole e pertanto partì per una fuga solitaria di 140km (su 177): arrivò primo con 2’35” su Marcel Michel, secondo, alla media di 38,946 km/h. L’azienda britannica Rapha, che deve molto del proprio stile al recupero “dell’estetica Koblet” in chiave minimalista, ha consacrato qualche anno fa una maglia celebrativa a questa impresa.

Impresa che fece dire a Raphael Geminiani (l’altro bastione dell’estetica Rapha): “se ci fossero 2 Koblet venderei subito la mia bici per cambiare mestiere“. Geminiani terminò 2° a più di 22′ da Koblet il Tour 1951.

Proprio con Kübler formerà una coppia di svizzeri vincenti negli anni ’50, rappresentando per la confederazione un binomio simile a quello Bartali-Coppi per gli italiani. Ferdi Kübler era più vecchio e faceva parte della generazione precedente alla guerra, quindi era uno di quei ciclisti che ancora si era sorbito le tappe da oltre 300km ai grandi giri, correndo da solo, senza gregari e con la maglia di lana che sotto la pioggia diventava pesante 3kg e andava a strisciare sulla ruota posteriore. Kübler, di carattere sanguigno al limite del violento, si infuriava quando si paragonava la sua generazione a quella successiva. Famosa la sua esclamazione di sdegno a riguardo: “ci sono gregari che portano l’acqua!”.

Kübler veniva da una famiglia molto numerosa e povera, e rifletteva una certa immagine che gli svizzeri avevano di se stessi: lavoratori indefessi, ma rigidi. Koblet, di origine borghesi (figlio di pasticceri) invece era la nuova generazione, attenta alla propria immagine, e vogliosa di godersi la vita in un mondo non più vittima delle guerre. Kubler era la formichina laboriosa, mentre Koblet era la cicala che amava le belle donne e la vita sfarzosa.

Nel 1952 l’inizio del declino, dopo un invito ad un giro del Messico, dove, tra feste e festini, contrae una malattia venerea che poi si complicherà in una anemia aplastica che lo limiterà irrimediabilmente dal punto di vista fisico.

Dopo il ritiro dalla carriera professionistica diventò rappresentante per un consorzio di marchi italiani (Pirelli, Alfa Romeo) in Sud-America, ma lo stile di vita dispendioso e troppo generoso verso amici e meno amici male si concilia con l’imprenditoria. Un cattivo investimento in stazioni di servizio in patria lo porterà a ristrettezze economiche. Diventerà cronista alla radio svizzera per eventi di ciclismo, sino a ritirarsi in un piccolo appartamento nei pressi del velodromo di Zurigo.

Poi, il 6 novembre di 55 anni fa, uno schianto sulla sua Alfa Romeo contro un albero nei pressi di Zurigo. Nessun segno di frenata.

Cosi se ne andò il James Dean del ciclismo.

 

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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