Cronometro, volate, salite, fughe. Nel ciclismo ci sono specialità per tutti i gusti e per tutti i palati. Esiste anche una specialità non riconosciuta ufficialmente però, ma solo di fatto, la discesa. Essere buoni discesisti è ovviamente una dote, più naturale che altro, che può fare la differenza in una gara, ma spesso solo episodicamente, in quanto di norma, il vantaggio che si può acquisire in salita o anche sul passo è maggiore di quello che si può ottenere in discesa. Perlomeno a livelli standard, come sono quelli dei professionisti, che passando ore ed ore in bici, evidentemente, acquisiscono una certa padronanza “media” del mezzo anche nelle discese. A parte casi estremi ovviamente (che vedremo più avanti).
C’è da considerare che la discesa ovviamente presenta dei rischi, persino mortali, e quindi, spesso, anche per i talenti della discesa è preferibile non azzardare troppo, perché una caduta può compromettere non solo una gara, ma tutta la stagione se non la carriera. Questo è uno dei motivi per cui questo aspetto del ciclismo, la discesa, non è mai stato enfatizzato dagli organizzatori con premi o abbuoni. La sicurezza prima di tutto. Esistono delle eccezioni nella storia. Ad esempio alla Paris-Nice del 1968 fu istituito il premio per il miglior discesista, sponsorizzato da un produttore di sci, che è stato dato al corridore col miglior tempo in discesa dal Mont Faron durante la 7^ tappa. Il vincitore fu Lucien Aimar vincitore del Tour de France 1966, davanti Jacques Anquetil e Jan Janssen. Di fatto però Aimar non vinse quella tappa né fece un’ottima prestazione complessiva in classifica generale, evidenziando il fatto che il miglior tempo in discesa non si traduce automaticamente in una prestazione globale migliore. In compenso si aumentano i rischi notevolmente ed il premio non fu mai più proposto (lo ha ri-proposto il Giro d’Italia nel 2017 sotto forma di abbuoni, ma l’idea è stata accantonata tra le polemiche). Come qualcuno ha sottolineato giustamente: “c’è l’abilità e c’è la stupidità. Il premio in discesa non è detto che faccia distinzioni“.
In mancanza di riferimenti cronometrati come fare quindi per capire chi sia un grande discesista? Beh, da sempre fa fede l’opinione dei colleghi. In un gruppo quasi sempre molto livellato per abilità tecniche alcuni corridori si sono evidenziati per la grande capacità di dominare le curve, per la scioltezza, e per la difficoltà dei colleghi di inseguirli.
Nel ciclismo eroico la discesa era più che altro un esercizio di sopravvivenza, in cui era più che altro fondamentale non forare o spaccare ruote e telaio, su strade che erano comunque delle mulattiere, e non consentivano di raggiungere alte velocità e “guidare” realmente.
Spesso le discese più impegnative erano affrontate a piedi, bici al fianco.
Per trovare testimonianze dei primi corridori ottimi discesisti bisogna arrivare alla fine degli anni ’20-primi ’30 del ‘900.
Con André Leducq, vincitore dei Tour de France 1930-1932 e della Paris-Roubaix 1928. Leducq era un corridore estremamente popolare e molto atletico. Una volta ritiratosi si appassionò di immersioni in apnea (negli anni ’40!). Probabilmente la sua fama di ottimo discesista è dovuta ad exploit come quello del Tour 1930, quando Leducq, attardato di 13′ su Learco Guerra in generale, si buttò a capofitto nelle discese di Galibier e Telegraphe, cadendo due volte, di cui una per la rottura del pedale. Fattosi prestare la bici da un compagno di squadra (Marcel Bidot) riuscì a tornare sotto ad Alfredo Binda, vincitore di tappa, e conquistare la maglia gialla, che poi portò sino a Parigi. Da notare che in quel Tour le bici erano fornite dall’organizzazione, uguali per tutti (a parte la taglia, ovviamente) e quindi è un raro caso in cui il mezzo non può aver fatto la differenza (se mai l’abbia fatta).
Un corridore famoso per essere stato un formidabile discesista è il toscano Fiorenzo Magni. Magni, grande passista veloce, soffriva in salita rispetto i migliori dell’epoca e quindi si era abituato a prendersi rischi notevoli in discesa per recuperare terreno. Su Magni posso riportare le sue parole direttamente, avendolo conosciuto ed avendogli proprio chiesto delle sue doti di discesista. Il leone delle Fiandre ammise che la sua non era abilità particolare, ma appunto necessità, e che l’unico modo per migliorare in discesa era….cadere. Nel senso che bisognava rischiare sempre di più per affinare le proprie abilità. Questi “allenamenti” preferiva farli in inverno, con strade bagnate e sporche, e perché nel caso di cadute: “ti rompevi qualche osso, una clavicola, ma poi avevi il tempo di riprenderti”. Chiaramente una modalità di allenamento che oggi non sarebbe più consigliabile, se mai lo è stata…
La generazione successiva a quella di Magni ha potuto esibire migliori qualità di discesisti senza optare per soluzioni estreme, grazie a freni migliori e asfaltature più abbondanti delle strade (ancora negli ’50 gran parte dei passi affrontati nei grandi giri erano in terra battuta se andava bene).
Jacques Anquetil, fenomeno assoluto a cronometro, era meno elegante ed efficace in salita, ma in discesa aveva doti notevoli di guida raccontano le cronache.
Nella stessa epoca noto per le sua abilità discesistica era il “leone del Mugello”, Gastone Nencini. Le testimonianze dell’epoca sono concordi nel descrivere Nencini come un discesista formidabile. La testimonianza storica più nota è il credito che gli ha dato Raphael Geminiani: “per seguire Nencini in discesa bisogna avere istinti suicidi“. Frase che si è poi rivelata tristemente realistica, visto che Roger Rivière terminò la propria carriera proprio nel tentativo di non lasciare la ruota del toscano. Va detto che in quel famoso episodio Nencini e Rivière erano all’inseguimento di Louis Rostollan, il quale dettava l’andatura nella umida e tortuosa discesa del Perjuret, e fu proprio Rostollan a sentire il botto che fece Rivière e lo convinse a fermarsi ed andare a vedere cosa fosse successo, ma prima di quello di Rivière sentì anche una rumorosa frenata di Nencini, segno che anche lui era al limite in quel frangente.
Altro corridore noto per essere discesista fenomenale alla stessa epoca è Henri Anglade. Un corridore non di primissima fascia come Nencini, ma che suppliva ad un fisico non eccezionale (in particolare aveva tendenza ad ammalarsi facilmente) con una grande intelligenza tattica in corsa e grandi capacità in discesa (soprannominato dalla stampa “Henri cuor di Lione“), grazie alle quali riprendeva contatto con i migliori in salita.
La leggenda vuole che i due si scontrassero in un vero e proprio duello. L’occasione fu il Giro d’Italia 1962, l’ultimo in carriera per entrambe. A raccontare l’aneddoto è stato lo stesso Anglade (che è ancora vivo):
“non potevo tollerare l’idea che Nencini fosse il miglior discesista del gruppo, cosi gli dissi di chiamare la moto con la lavagna dei distacchi per prenderci il tempo e sfidarci in discesa. Chi fosse arrivato 2° avrebbe pagato da bere. Nencini acconsentì e ci lanciammo in discesa, che era in terra battuta (presumibilmente a discesa era quella dell’Aprica). Attaccammo la discesa a tutta. Lasciai andare davanti Nencini per studiarlo e seguirlo e trovare il momento buono per attaccarlo. alla fine lo attaccai e lo sorpassai. Alla fine della discesa avevo un vantaggio di 32″, scritti sulla lavagna. Avevo battuto Nencini. Ero elettrizzato. Lo rividi la volta successiva la sera, all’hotel dove alloggiavano le nostre squadre. Mi aveva ordinato un aperitivo“.
Così l’ha raccontata l’86enne Anglade, anche se 32” di vantaggio in una discesa sono un’enormità. Forse Nencini vistosi battuto ha tirato i freni, forse la discesa non si prestava ad esaltare le pure doti di guida, ma anche la voglia di pedalare a fondo…probabilmente non lo sapremo mai, ma tant’è.
Non si può non menzionare tra i grandi discesisti (in realtà è difficile non menzionarlo in qualunque occasione) Eddy Merckx. Il leggendario Eddy ha costruito alcune sue vittorie proprio in discesa, in particolare alla Milano-Sanremo. Merckx era capace di fare la differenza nella discesa del Poggio come nessun altro. Ugo De Rosa mi ha raccontato come Eddy montasse pedivelle più corte per la Sanremo per poter dare qualche colpo di pedale in curva in più proprio nella discesa del Poggio. Esempio è la Sanremo del 1972, quando Eddy prese 50mt di vantaggio nella discesa del Poggio, che poi riuscì a tenere sino al traguardo (9″ su Gianni Motta). Merckx era anche molto abile in discesa sul bagnato.
Va ricordato però che Merckx ebbe un gregario alla Molteni che era un fenomeno (o un pazzo) in discesa: Marinus Wagtmans. Soprannominato “il fulmine bianco” per via di un ciuffo di capelli bianchi sulla fronte, Wagtmans è ricordato come un vero funambolo in discesa. Lo stesso Merckx ha raccontato che faceva fatica a tenergli la ruota in discesa, e che si prendeva dei rischi incredibili. L’esempio però dell’utilità di Wagtamans per Merckx è la famosa tappa Orcières-Merlette-Marseille, la 12^del Tour de France 1971. Merckx, 5° in generale, era in ritardo di 9’46’’ su Luis Ocaña. La partenza, in discesa, e Merckx lanciò Wagtmans all’attacco. La tappa di 251km volò via alla media di 45,351 km/h ed il gruppo arrivò a Marsiglia 1h30′ prima di ogni previsione, trovando la tribuna vuota ed il sindaco assente per il podio. Da allora al Tour non ripeterono mai più una partenza in discesa.
Per arrivare a tempi più recenti, noto per essere uno dei migliori discesisti degli anni ’80, Fréderic Vichot. L’occasione in cui ne dette dimostrazione è la sua vittoria di tappa al Tour de France 1984, la 15^, con l’arrivo a Grenoble. Vichot fece il vuoto nella discesa finale e vinse con 15″ di vantaggio su Michel Laurent e 21″ sul resto del gruppo guidato da Laurent Fignon e Sean Kelly.
Negli anni ’90 impossibile non citare “il falco” di Rovetta, Paolo Savoldelli, unanimemente considerato il miglior discesista in gruppo. Perlomeno tra gli uomini da classifica. Leggendaria la sua discesa dal Fauniera nel Giro 1999, quando in discesa sorpassò tutti (tra cui Pantani e Gotti, che proprio fermi non erano in discesa) e raggiunse poco prima di Borgo San Dalmazzo il povero Gabriele Missaglia, in fuga dalla mattina, andando a vincere in solitaria. Va ricordato che Savoldelli ebbe non poche cadute con fratture conseguenti in discesa in carriera, ma questo non lo limitò mai.
In tempi più recenti fama di grandi discesisti la hanno avuta e l’hanno tutt’ora da Frederic Moncassin, a Stuart O’Grady:
a Thor Hushovd
al talento sprecato di Michael Rasmussen
Fabian Cancellara
Samuel Sanchez
ed in tempi più recenti lo squalo Vincenzo Nibali, uno dei più forti discesisti attualmente in attività
o il funambolico Peter Sagan
Sino al recente inventore di addirittura una nuova posizione in bici. Matej Mohoric
Ovviamente gli ottimi discesisti sono molti e nuovi nomi saltano fuori a dipendenza di chi viene interrogato a riguardo (Alaphilippe, Bardet, Kwiatkowski, etc..) Ad esempio è noto che gli sprinter siano ottimi discesisti, ma non venendo mai inquadrati in tv in queste circostanze bisogna fidarsi delle testimonianze dei colleghi. Come nel caso delle lodi tessute proprio da Paolo Savoldelli nei confronti di Mario Cipollini.
Infine una rapida menzione per quelli che sono considerati pessimi discesisti, che forse sono più rari di quelli buoni, e rappresentano casi particolari rispetto la media, dalla qualità piuttosto alta dei professionisti.
In questa classifica entrano non pochi francesi ed inglesi: Robert Millar, Nicolas Fritsch, David Moncoutié, Bradley Wiggins e Cadel Evans ad esempio non sono noti per le qualità funamboliche in discesa.
Nell’attuale gruppo pro Alexandre Geniez e Thibaut Pinot sono noti per non essere dei draghi nella specialità
Palma di uno dei discesisti peggiori però va, nel recente passato, a Ivan Basso, di cui esiste anche l’aneddoto che alla CSC Bjarne Riis lo facesse allenare lungo un pendio in erba, bagnata appositamente, per sviluppare una sensibilità che a quanto pare non ha mai conseguito.
Mentre tra i pro in attività, il campione in negativo pare essere lo svizzero Sebastian Reichenbach (Groupama-FdJ), di cui Tom Dumoulin ha detto: “in discesa va come una vecchietta”.
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