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I soliti pasticci

Giornata infuocata ieri per il Giro d’Italia, non tanto sulla strada in gara, ma via social e media vari, con l’ennesima polemica innescata dall’accorciamento del percorso della tappa Borgofranco d’Ivrea- Crans Montana. Il tutto figlio di un periodo catastrofico dal punto di vista metereologico, come gli abitanti dell’Emilia Romagna hanno sperimentato nel modo peggiore sulla propria pelle.

Ma veniamo al caso specifico del Giro d’Italia. Perché tante polemiche e nervosismo?

Da quello che si capisce il guaio è nato dal fatto che l’organizzazione del Giro ha criticato l’associazione corridori, la CPA (fonte: il presidente Adam Hansen) perché non possono chiedere accorciamenti o cambi di percorso il giorno stesso (come per la tappa di Morbegno nel 2020). E non possono chiederlo nemmeno svariati giorni prima per l’incertezza delle previsioni meteo.

Hansen e la CPA quindi hanno deciso di chiederlo il giorno prima della tappa, con una votazione anonima tra i corridori la sera precedente alla tappa. Peccato che le previsioni poi si siano rivelate meno brutte del previsto, in particolare per il pezzo temuto dai corridori, ovvero la discesa dal Croix de Coeur.

Se tutto questo fosse corrispondente alla realtà direi che chi ha sbagliato è l’organizzazione. Primo perché il protocollo meteo estremo può essere invocato la mattina stessa o persino a tappa in corso (ovviamente, è il suo senso). Quindi l’organizzazione avrebbe sbagliato a dire alla CPA che non possono chiedere modifiche troppo prima o il giorno stesso. Anche se è comprensibile che questo rappresenti un danno per l’organizzazione, in quanto diventa un incubo sia logistico sia rispetto gli impegni, anche economici, presi nei confronti delle località ospitanti partenza ed arrivo di tappa.

Secondo, perché alla fine ha consentito comunque al cambiamento, più per “contentino” verso i corridori che per reali esigenze di sicurezza o altro, visto che la tappa si è corsa all’asciutto, ma con la discesa pericolosa (in realtà solo i primi km in alto, da metà in basso era larga e perfetta) mantenuta.

Totale: sono saltate le regole e si è scelta la via dei compromessi alla buona. Nella pratica può essere positivo, in quanto i corridori sono stati accontentati in un momento in cui sembravano sempre più nervosi e affaticati, comprensibilmente, da un maltempo che non ha precedenti per durata su più giorni, e che ha decimato il gruppo tra cadute, infortuni e malanni vari. E l’organizzazione ora ha una leva maggiore nel rifiutare nuovi cambiamenti e modifiche, col maltempo che persiste implacabile. A cominciare dalla tappa di oggi, con il passo del Sempione, su cui ieri notte ha nevicato e che è seguito da una lunghissima discesa in cui il freddo sarà tosto.

Il tutto però ha anche degli aspetti decisamente negativi: l’aver bypassato le regole per una mediazione-compromesso apre dei precedenti che espongono l’organizzazione a ulteriori richieste, mentre per i corridori e la CPA il danno è mediatico, come evidente dalle reazioni della maggior parte del pubblico. Pubblico che nei grandi giri è tendenzialmente generalista e non certo addentro (o anche solo interessato) a regolamenti, protocolli ed il contenuto di chat notturne con voto anonimo tra corridori.

Che il ciclismo debba essere “eroico” o “epico” secondo l’immaginario del pubblico è ormai cosa radicata nella tradizione di questo sport; mentre per i corridori oggi è importante conquistare diritti che li equiparino ad “atleti” come in altri sport, trattati come tali e non come carne da macello per l’intrattenimento televisivo. Due istanze che collidono tra loro, in quanto senza la componente “epica” (o tragica, tout court) il ciclismo perde parte del suo appeal e potrebbe via via scivolare in una dimensione sempre più “minore” che presumibilmente non è auspicata nemmeno dai corridori.

Il ciclismo si è sempre evoluto, dal giorno 1 in poi. Anche solo il ciclismo dei Coppi e Bartali era lontano anni luce da quello dei pionieri che scarpinavano per ore su per sentieri scassati senza cambi e deragliatori e scendevano alla cieca cercandosi la strada.

Questi cambi però devono essere graduali e soprattutto ben spiegati e trasparenti. E qui il passo in avanti deve essere fatto da corridori e dalla CPA, che non può permettersi di spiegare le proprie ragioni via Twitter in inglese “da cellulare”, con corollario di risposte assortite dei propri aderenti in una babele di lingue ed emoticons, facendo sapere al mondo che non si sa quando hanno votato (con un sondaggio Whatsapp?) in modo anonimo per accorciare, forse cambiare, forse non si sa, la tappa.

Il tutto deve avere dei canali istituzionali, essere chiaro, coerente e trasparente. E la voce della maggioranza deve essere rispettata, non minata dalle indiscrezioni di questo o quello che invece da delle “signorine” agli altri.

E sopratutto deve finire lo scaricabarile tra i vari attori in gioco: l’organizzazione che dà la colpa ai corridori, i corridori all’organizzazione, le squadre che danno un colpo alla botte ed uno al cerchio, la CPA in mezzo e tutti che danno la colpa all’UCI che ci sta sempre bene.

È una cosa che sconcerta il pubblico e dà un’immagine di scarsa professionalità all’ambiente.

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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