Il Dottor Philippe Moullier è il responsabile di un reparto dell’INSERM di Nantes, istituto nazionale francese per la salute e ricerca medica, e si occupa di terapie geniche, ovvero quelle terapie che si basano sull’introduzione di geni sintetici nel genoma umano per correggerne alcune deficienze. In particolare Moullier si occupa di malattie neuromuscolari. Una delle ricerche di Moullier ha interessato la possibilità di produrre un particolare gene sintetico: il gene dell’eritropoietina. Una possibilità che introdotta nel corpo umano farebbe produrre in modo “naturale” eritropoietina.
Il dottor Moullier però racconta di un episodio curioso che è seguito alla pubblicazione del suo articolo in merito: un gruppo di visitatori si è presentato al suo laboratorio di Nantes qualificandosi come “ex-ciclisti”, che avevano partecipato alle maggiori competizioni mondiali, come il Tour de France, e che ora lavoravano per una associazione per la lotta al doping.
Moullier si era detto felice di poter spiegare e condividere i principi della propria ricerca, ma la visita ha finito per fargli avere qualche sospetto, come lo stesso Moullier racconta: “Erano molto eccitati e mi dissero che anche se la tecnologia era ancora ad un livello di pura ricerca sarebbe stato interessante utilizzarla per scopi sportivi”. Le avvertenze sul fatto che una terapia del genere non aveva alcuna garanzia di essere sicura e non era minimamente testata sull’uomo non ha scoraggiato il gruppo di visitatori che hanno reagito con “alzata di spalle generale“.
“Sembrava non importargli, come se non fosse un loro problema. La competizione è tale che i corridori sono pronti a qualsiasi cosa per fare la differenza“.
Da allora è passato del tempo e la ricerca ha dimostrato che non esiste solo la possibilità di cambiamenti permanenti del genoma umano, cosa molto complessa da attuare, ma anche di risultati temporanei e reversibili. Possibilità data dall’iniezione di virus inattivati per portare il gene sintetico alle cellule. In parole povere si può iniettare il gene sintetico direttamente nel muscolo. Ed è una cosa che oggi possono fare tutti abbastanza facilmente.
Ragion per cui, dal 2003 il doping genetico è stato introdotto nella lista dei metodi proibiti della WADA.
I rischi del doping genetico però sono ancora molto alti, anzi, possibilmente letali: introdurre un ulteriore gene oltre a quello naturale nel corpo, ad esempio quello deputato alla produzione di globuli rossi, può portare ad una crescita difficile da controllare degli stessi, portando ad una densità del sangue pericolosa per la salute.
Oliver Rabin, direttore scientifico della WADA, spiega però che le cose si evolvono rapidamente: “sono 10 anni che cerchiamo di sviluppare la tecnologia che ci consenta di rilevare doping genetico, ed ora crediamo di avere gli strumenti per farlo. Quando lo metteremo in servizio dipenderà dal riuscire a renderlo validabile, perché al momento il metodo potrebbe essere contestato in sede giudiziaria“.
Il Professor Lee Sweeney, da 20 anni uno dei maggiori ricercatori in terapie geniche all’università della Pennsylvania e consulente della WADA racconta di quando pubblicò la sua ricerca sul gene IGF-1, gene di crescita insulinica fattore 1, un gene che iniettato nelle cavie porta alla crescita muscolare e ferma il processo di invecchiamento: “Fummo contattati da numerosi atleti ed allenatori. Non capivano che era ancora ad uno stadio troppo precoce per utilizzarlo sugli umani. Ma allora non avevo considerato che se la ricerca medica ha certi tempi per l’utilizzo su persone seriamente malate, un individuo giovane sano e che compete ai massimi livelli può essere pronto a rischiare qualunque cosa, ed ovviamente molti rischiano veramente tutto.”
Il professor Sweeney però porta il problema su un piano anche etico, toccando una questione fondamentale: Se la terapia genica che previene il deterioramento dei muscoli fosse sicura potrebbe essere permessa? Toccando così un tasto dolente della discussione sul doping. Quello dei rischi per la salute e di cosa sia “naturale” o meno.
Come dice Sweeney: “se la terapia consentisse di avere una qualità della vita normale per un lasso di tempo maggiore, rallentando l’invecchiamento, sarei a favore del suo utilizzo. Dai miei lavori sui topi da laboratorio so che prima si interviene in gioventù e maggiore sarà l’effetto quando si invecchia. Una volta intrapresa quella strada penso sia poco etico rifiutare a qualcuno la possibilità di avere dei muscoli più sani ora e nel futuro. Finché non ci sono rischi per la salute non vedo motivi per cui gli atleti debbano essere puniti in quanto atleti. Per questo sono di un altra opinione rispetto la WADA, anche se siamo nella stessa squadra al momento.”
Oliver Rabin della WADA risponde che la terapia genica progredisce lentamente, ma quando i tempi saranno maturi la WADA deve tirare una linea e decidere: “aumentano in modo illecito le prestazioni?”
Il punto è che per quanto riguarda il doping genetico tirare quella linea è tecnicamente ed eticamente difficile. E mostra uno dei motivi per cui il tema del doping sportivo sia così dibattuto e difficile da elaborare e contrastare: il significato dello sport non è condiviso da atleti, tifosi, spettatori ed autorità competenti.
E’ un concetto in divenire continuo che viene costantemente ridefinito dai cambiamenti sociali e tecnologici e dalla sensibilità sociale che ne deriva.
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