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Il ghiaccio estivo del Tour ha fatto strage alla prima tappa

La prima tappa del Tour 2020 ha visto Alexander Kristoff in giallo (dopo un inizio di stagione parecchio sottotono), ma anche un’ecatombe di cadute. Praticamente oltre metà del gruppo è finito a terra in un modo o nell’altro. La lista degli infortunati è lunghissima, ma il peggio lo hanno avuto il povero Philippe Gilbert (Lotto-Soudal) ritirato con una rotula rotta, e Rafael Valls (Bahrain-McLaren) ritirato per un infortunio ad una gamba. Terzo corridore che non partità alla seconda tappa è lo sfortunatissimo John Degenkolb (Lotto-Soudal) il quale non è riuscito a stare nel tempo limite per le ferite alle gambe.

Tra i tanti altri caduti vedremo da oggi chi ne pagherà le conseguenze, da Thibaut Pinot (Groupama-FdJ- ben 5 corridori della squadra francese sono caduti duramente-) a Pavel Sivakov (Ineos) a Domenico Pozzovivo (NTT) caduto ancora sul gomito già operato nel terribile incidente dell’anno scorso.

La domanda che molti si sono posti è come sia stata possibile una tale sfilza di cadute. La risposta è in un’espressione francese che spiega il fenomeno: Verglas d’été (ghiaccio estivo), un fenomeno non solo francese ovviamente, che anche chi scrive ha saggiato con conseguente gita al pronto soccorso.

Quando le strade restano secche per molto tempo con alte temperature, con leggera pioggia diventano viscidissime a causa del deposito di idrocarburi lasciato da mesi di passaggi delle auto che affiora in superficie. Pioggia leggera e non decisa è la cosa peggiore perché l’asfalto non viene dilavato velocemente e sulla sua superficie si forma questa patina grassa che per i ciclisti è micidiale. Al passaggio delle auto in queste condizioni si può verificare visualmente la cosa con facilità, in quanto ai bordi della traccia lasciata dei pneumatici delle auto si vede una leggera schiuma bianca, idem ai bordi della strada.

In queste condizioni è difficile persino andare in linea retta in quanto un minimo scarto fa perdere aderenza ai pneumatici. Una sensazione orribile ed indimenticabile per chiunque l’abbia provata. Figurarsi in curva ed in discesa.

 

Benissimo hanno fatto i corridori ad autogestire una neutralizzazione improvvisata della corsa per preservare la propria incolumità. Una presa di posizione che sarebbe bello vedere più spesso da parte loro quando mancano le condizioni minime di sicurezza (la loro), in luogo di prendersi rischi che possono costargli la gara, se non la stagione o la carriera, come purtroppo si è visto troppo spesso recentemente, per poi lamentarsi solo a posteriori con la solita UCI.

Il ciclismo è uno sport con rischi elevatissimi e misure di sicurezza risibili rispetto altri sport. Un plauso ai corridori che finalmente prendono in mano la situazione (in questo caso il veterano Tony Martin della Jumbo-Visma in primis).

 

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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