Si è appena concluso un Giro d’Italia storico, perché corso ad Ottobre, in piena pandemia di Covid, dopo un inizio di stagione che faceva presagire il peggio, il non correre, la chiusura delle squadre, la rottura del giocattolo. Invece il Giro si è corso e si è finito. Un plauso va all’organizzatore (voto 10), perché riuscire a portarlo a casa in queste condizioni non è stato facile, come già si era visto in occasione della Milano-Sanremo; perché tanto remava contro. Innanzitutto i contagi: in tutto il gruppo proprio due favoriti alla prima settimana sono stati colpiti, Steven Krujswijk e Simon Yates, eliminando di colpo due delle squadre maggiori, la Jumbo-Visma e la Mitchelton-Scott. Per gli organizzatori perdere i grossi nomi è un grosso problema, perché attirano interesse, perché sono un riferimento anche per gli spettatori meno addentro, dando le coordinate per capire una classifica generale. Poi la perdita di altri favoriti: Miguel Angel Lopez, caduto, quindi Alexander Vlasov, entrambi della Astana. Infine c’è da chiedersi cosa abbia pensato il direttore del Giro, Mauro Vegni, alla caduta di Geraint Thomas della Ineos, il favorito n°1, a causa di una borraccia saltata via da una bici e finita incredibilmente proprio sotto le sue ruote.
Da li in poi il Giro sembrava destinato ad essere una corsa zoppa, pure flagellata dal maltempo, dal rischio di metri di neve in montagna, di tagli di percorso, di piani B e C.
Ma quando le cose si fanno bene anche i piani B possono portare soddisfazioni. Ci è riuscito Vegni, ci è riuscito il Team Ineos (voto 10). La Ineos dopo la caduta di Thomas si è votata alla vittoria di tappe, raccogliendone ben 7, di cui 4 con la centrale atomica Filippo Ganna (voto 10 e lode), insuperabile a cronometro, e formidabile in una tappa da oltre 4000mt di dislivello, ma anche allestendo e programmando con la solita perizia due mosse che hanno portato Geoghegan Hart a pari tempo con Hindley all’ultima tappa, sfruttando il lavoro eccezionale di Rohan Dennis. Dennis, quello un po’ matto che si è ritirato da un Tour per quella che sembrava una bizza, ma che su strada sa essere una vera e propria “macchina”, come lo ha definito Hart. D’altronde uno non vince 6 tappe in GT e diventa due volte campione del mondo a cronometro per caso. Dennis, quello che ha perso un giro di Svizzera per 19″ da Bernal, ha spianato valli e montagne davanti ad Hart. Voto 10, per la prestazione e l’aver ribaltato la propria immagine.
Grazie a Dennis Hart ha potuto infilarsi nel duo Sunweb Hindley/Kelderman nella bellissima tappa dello Stelvio, con gli dei del ciclismo che hanno regalato una giornata quasi estiva su questo gigante delle Alpi. Tante le critiche alla condotta di gara della Sunweb: Hindley doveva aspettare Kelderman, no doveva attaccare Hart, etc…con a condimento le indiscrezioni sulla scontentezza di Kelderman, lasciato solo dalla squadra, no, è lui che ha fermato Hindley…non si sa.
Si sa però che Hart ha dimostrato sulla strada di averne sicuramente più di Kelderman, sicuramente non meno di Hindley. Wilco Kelderman si è visto sfilare sotto il naso l’occasione della vita a 29 anni. Dopo tante sfortune (infortuni, malattie) forse meritava di più, ma sembra non essersi fatto trovare mentalmente pronto (voto 5). Pronta e feroce a cogliere ogni occasione è invece la nuova generazione, dai fenomeni Pogačar ed Evenepoel a tutti gli altri. Jai Hindley forse non è un fenomeno, ma la sua occasione se l’è giocata, e bene. Nella cronometro finale non aveva chances, a meno di fortunati imprevisti, contro Hart, ma un 2° posto al Giro a 24 anni è un grandissimo risultato, e soprattutto un bagaglio di esperienza incredibile per il futuro (voto 9).
La stessa cosa si può dire di Geoghegan Hart (voto 10), che in più la maglia rosa ed il trofeo senza fine se li porta a casa. Ma a 25 anni (28° più giovane vincitore del Giro) cosa si può chiedere di più che vincere un Giro? Forse il difficile per lui arriverà ora, lasciato l’anonimato, con le pressioni in arrivo, ma è l’inevitabile destino di questa nuova generazione, che vince tanto, vince subito e subito si ritrova con pesi enormi sulle spalle. Come ha detto Jacopo Guarnieri (Groupama-FdJ): “per Pogačar per un 3° posto al Tour ora si parlerà di fallimento…”. Hart però sembra uno di una pasta diversa. Tutti quelli che lo conoscono ne lodano la serietà, la (vera) umiltà, la maturità incredibile. Axel Merckx, suo mentore alla Axeon Hagens Bergmans, dove Hart ha militato prima della Sky, lo ha definito “un vecchio spirito in un giovane corpo”. Uno lontano da eccessi e/o bizze di ogni tipo (Bradley Wiggins lo ha lungamente lodato, persino per il fatto che a differenza sua non dice alcuna parolaccia), perfettamente sulla linea Ineos/Brailsford, che infatti lo hanno aspettato un anno dopo l’incredibile rifiuto di Hart di passare alla Sky nel 2016, perché “non si sentiva pronto”. Un corridore da tenere d’occhio, e che potrebbe ancora riservare sorprese nella Ineos delle meraviglie, soprattutto se amato e supportato da compagni del calibro di Ganna e Dennis.
Tra la tappa dello Stelvio e la fantastica cronometro finale, coi primi due a giocarsi la Rosa a paritempo, l’episodio del mezzo sciopero/protesta dei corridori. Da un lato giudicato pessimo per quanto fatto dall’organizzazione in questi tempi difficili per garantirgli corsa e stipendio, dall’altro stressati dal rischio Covid e da un percorso estremo per dislivello e logistica annessa. La tempistica si valuta ovviamente in modo diverso dalle due sponde: atroce per pubblico e organizzazione, corretta per i corridori, che per una volta una hanno fatto sentire la loro voce, seppur, come sempre, non in modo univoco e compatto. Ma in un momento in cui la loro voce poteva davvero essere ascoltata, anche dal grande pubblico, e non soffocata in qualche stanzetta da portavoce inadatti al ruolo. Quello che è auspicabile è che finalmente queste varie voci del ciclismo si sentano a vicenda, e che i corridori possano dire la loro sui percorsi, magari evitando le cicliche derive all’estremo, come quelle della gara al dislivello più recente. Se succederà allora la protesta del Giro potrà anche essere valutata positivamente. Urge però che i corridori si dotino di mezzi migliori della CPA e di una chat Telegram.
Non deve dotarsi di mezzi migliori il treno della Groupama-FdJ, di cui abbiamo già tessuto le lodi. Arnaud Démare ha semplicemente dimostrato di essere lo sprinter più in palla al momento assieme a Sam Bennett. Anche per lui vale lo stesso discorso di Hart: inutile pensare a cosa avrebbe fatto se ci fosse stato questo o quello. Quello che conta sono i risultati, che sono aldisopra di ogni dubbio, ed anche ad essere generosi, al momento solo il già menzionato Bennett e Caleb Ewan potrebbero fargli concorrenza. Voto 9.
Voto 7 a Peter Sagan, che ha rotto un digiuno di vittorie di oltre un anno a Tortoreto. Bella vittoria, “spettacolare” come piace a lui, e che però dovrebbe farlo riflettere sull’opportunità di correre diversamente, sfruttando più le sue qualità di finisseur, che non quelle di sprinter, che ormai da anni gli stanno solo facendo inesorabilmente aumentare il conto di piazzamenti.
Voto 7 anche per tutti gli altri vincitori di tappa, che hanno saputo cogliere l’occasione: Ulissi, Caicedo, Narvaez, Guerreiro, Černy, O’Connor e Tratnik. Un bel 8 per Alex Dowsett, che oltre ad aver regalato la prima vittoria in un GT alla Israel SUN (subito bissata da Dan Martin alla Vuelta) ha offerto grande umanità e belle parole sciolte nelle lacrime dell’intervista dopo gara, in cui ha ricordato a tutti quali sia lo stress della necessità di fare risultati e dimostrare qualcosa per un corridore.
Voto 9 per Joao Almeida. coniglio dal cilindro della Deceuninck-QuickStep, che ha vestito, meritatamente, per 15 giorni la maglia rosa, giocandosi anche sprint e abbuoni, e finendo con una bella cronometro. Lefévère raramente sbaglia e Almeida è un altro valore sicuro per il futuro.
Ora toccherebbe venire ai voti negativi, ma riesce difficile in una stagione difficile. Sicuramente Vincenzo Nibali non è stato all’altezza delle attese, ma già dai mesi del lockdown si era un po’ capito che il 35enne non intendeva aggiungere stress superflui a quest’anno terribile. Oltretutto ha perso anche vari compagni di squadra durante la corsa e questo non lo ha aiutato, ma in generale era sembrato dall’inizio che questo non fosse il suo Giro. Alla fine un 7° posto più d’orgoglio che altro, ma dalle sue parole sul “ricambio generazionale” pare che con la testa ormai sia già proiettato oltre. Voto 5.
Voto 4 invece per Rafal Majka, che sembrava in palla (3° alla Tirreno-Adriatico) ed invece ha corso nell’anonimato finendo 12°. Alla fine ha fatto meglio di lui il compagno alla Bora-Hansgrohe Patrick Konrad, 8°.
Stesso voto per Elia Viviani, che non è proprio nella sua stagione migliore, non solo per le zero vittorie, ma per non essere nemmeno mai nel vivo delle volate. A questo Giro ha colto come miglior risultato un 5° posto alla 4^ tappa. Per lui un anno da chiudere nel cassetto per pensare al prossimo.
Stesso voto di Nibali per Jakob Fuglsang: 5. Più o meno la traiettoria è la stessa del messinese, con in più la “pancia piena” della vittoria ferragostana al Lombardia.
Questo Giro però ha più un bilancio positivo più che negativo, quindi non si può non finire con il 7 a Fausto Masnada della Deceuninck, 9°, che sa di buon viatico per il futuro, ed un 7 pure per Domenico Pozzovivo, che ha mancato di pochi secondi la Top Ten, ma a 37 anni e con quello che ha passato con l’incidente e cadute varie è un monumento alla perseveranza e professionalità.
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