Era dall’8 febbraio 2018 che Mark Cavendish (Deceuninck-QuickStep) non sollevava le braccia in segno di vittoria. Lui che lo aveva fatto ben 146 volte in carriera (di cui 30 tappe al Tour, secondo solo a Eddie Merckx) prima di passare tre anni complicati dalla mononucleosi, l’umiliazione del fuori tempo massimo al Tour ed una depressione che lo aveva portato sull’orlo di appendere la bici al chiodo sei mesi fa.
Poi la decisione di passare dalla Bahrain-McLaren alla Deceunick finanziandosi lo stipendio, come un neo-pro, e ripartendo quindi dal basso, ma in una squadra vincente come la Deceunick, dove oltretutto ogni componente del Wolfpack, come si è auto-soprannominata la squadra belga, ha la sua possibilità di vincere.
E la scelta ha pagato, oggi al Presidential Tour of Turkey, con il nativo dell’Isola di Mann che ha potuto esultare nuovamente a braccia alzate alla fine della seconda tappa. Davanti Jesper Philipsem (Alpecin-Fenix) ed un suo vecchio compagno di squadra, il 38enne André Greipel (Israel Start-Up Nation).
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— Deceuninck-QuickStep (@deceuninck_qst) April 12, 2021
Una bella soddisfazione per un corridore che sentiva di avere ancora da dare e che ha puntato su se stesso per dimostrarlo a 35 anni. Vittoria resa ancora più bella dall’aiuto del compagno Fabio Jakobsen, che è tornato a correre dopo il terribile incidente del giro di Polonia, in quello che molti hanno definito “il ritorno dell’anno”.
Chapeau.
Ma il discorso vale per tutti e per tutti gli sport. Quando cali di livello, inconsciamente cali di livello mentale e poi è dura rendere al meglio. I veri grandi campioni, quasi sempre rendono al meglio nelle grandi squadre/società, dove l'efficienza, la professionalità, la competizione interna, la fame di vincere sono ai massimi livelli. E poi ci sono quelli che magari vengono ricoperti di soldi altrove, ma con risultati inferiori.