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In memoria di Mike Burrows

Il 15 agosto scorso è morto Mike Burrows, uno dei padri della bicicletta moderna. Nato nel 1943, Burrows, ingegnere, cominciò a lavorare progettando macchine industriali per imballaggi (di monete per le banche, nello specifico), nel frattempo correva in automobile come amatore, oltre ovviamente a metterci le mani per metterle a punto e migliorarle. Poi si mise a lavorare per un’azienda che produceva parti per imbarcazioni, scoprendo il primo utilizzo dei compositi. Un giorno la sua auto lo lasciò a piedi e cominciò ad andare al lavoro in bici. Da li il passo fu breve nel partecipare a gare a cronometro, e quindi a spostare la propria attenzione verso le biciclette. In particolare Burrows cominciò ad essere convinto che: “non vi era alcuna necessità che le bici dovessero essere per forza fatte da tubi giuntati”.

Durante gli anni ’80 la sua attenzione si rivolse in particolare verso un ambito praticamente misconosciuto nel mondo della bici: l’aerodinamica. Poi arrivarono i record dell’ora di Moser nel 1984, il grande pubblico scoprì le ruote lenticolari, e quindi arrivarono gli anni ’90 con la loro esplosione di creatività senza limiti nelle bici (sia bdc che mtb). Burrows era già avanti e da almeno un decennio proponeva una bici “monoscocca” a vari produttori, ma ricevendo solo rifiuti. Infatti, nel 1982 aveva disegnato e progettato la prima bici “in un pezzo solo”. Per realizzarla si fece costruire la matrice per la forma dal padre, un artigiano del legno ormai in pensione che aveva lavorato durante la seconda guerra mondiale alla De Havilland. Questa matrice, tagliata dal padre nel proprio garage, fu poi ricoperta da fogli di carbonio impregnati di colla epossidica da Burrows figlio, con l’aiuto di una piccola azienda del Norfolk.

La bici, che aveva la catena in trazione passante dentro il fodero basso destro, fu montata ed utilizzata da Burrows stesso per delle gare locali, alcune delle quali vinte.

Dopo i vari rifiuti da parte delle aziende, finalmente Burrows suscitò l’interesse di Jim Hendry, dirigente della federazione britannica, che fece sottoporre la bici alla commissione tecnica della nazionale, la quale liquidò la bici con…. una risata. La bici fu anche portata ai mondiali su pista del 1985 (dove per la prima volta venne in contatto con il ciclista Chris Boardman), dove, anche li, venne ridicolizzata dai commissari UCI, che ne verificarono la non compatibilità con le regole dell’epoca.

Nel frattempo Burrows concentrò i propri interessi nello sviluppare HPV (Human Powered Vehicles), ovvero i veicoli a pedali reclinati e carenati, ossessionato nella ricerca della pura velocità.

Nel 1991 la casualità fece incontrare in un negozio di bici di Norwich Burrows con Rudy Tohune, un ex pilota di F2, appassionato di bici che gli disse che le regole UCI erano appena state cambiate e che la sua bici poteva ora avere delle chances di essere accettata. Caso volle che questo pilota francese lavorasse come collaudatore per la Lotus. Burrows andò a presentare la propria bici ai dirigenti della casa automobilistica, già attiva nella costruzione di telai monoscocca. Appena il capo ingegnere Roger Becker vide la bici l’interesse fu immediato. Anche se la Lotus non se la passava bene finanziariamente all’epoca, l’interesse per la bici di Burrows fu tale che svilupparono le sue idee con il contributo di Richard Hill, esperto di aerodinamica della casa britannica. Burrows a proposito disse: “finalmente avevo a che fare con persone che sapevano di tecnologia, al contrario della bike industry“. La bici fu portata in galleria del vento, con sopra proprio Chris Boardman, all’epoca la principale speranza britannica per le imminenti olimpiadi di Barcellona del 1992.

Hill, che per sua stessa ammissione “sapeva nulla di bici”, si accorse però che buona parte della resistenza aerodinamica era causata dall’interazione delle mani sul manubrio, e pertanto suggerì di cambiarla radicalmente. La bici fu accettata dall’UCI (“grazie alla lettera su carta intestata della Lotus” dirà Burrows) e fu possibile utilizzarla in competizione.

Il resto è storia: Boardman vinse la medaglia d’oro nell’inseguimento individuale alla media di 53.860 km/h, stabilendo anche il nuovo record mondiale. La prima medaglia d’oro nel ciclismo per il regno unito in 72 anni.

Il tutto a bordo della Lotus 108, la Superbike pensata da Burrows. Di questa bici ne sono stati realizzati solo 15 esemplari ed uno è esposto al Science Museum di Londra

Il design di questa bici con il telaio monoscocca, forcella e carro asimmetrici monobraccio sono l’archetipo di ogni bici da cronometro e triathlon moderna.

La Lotus produsse successivamente la Sport 110, versione stradale della 108. Sempre sotto la supervisione di Burrow (la forcella anteriore aveva due steli per compatibilità con le ruote).

Queste bici furono consegnate alla storia dal Lugano Chapter dell’UCI nel 1996, il regolamento (in gran parte in uso ancora oggi) con cui le bici con telaio non a doppio diamante furono bandite.

La seconda ossessione di Mike Burrows fu quella di introdurre una nuova geometria nel mondo della bici da corsa. Convinto che un telaio con i due triangoli più piccoli fosse più leggero e rigido, e non ci fosse alcuna necessità di avere un gran numero di taglie per accomodare ciclisti di misure diverse, Burrows fu uno strenuo promotore della geometria sloping. Il fatto che questo fosse anche vantaggioso economicamente per le aziende produttrici catturò l’attenzione di un produttore taiwanese che assoldò Burrows come designer: Giant.

Nel 1997 Burrows presentò a Manolo Sainz, direttore della squadra spagnola ONCE, la TCR (Total Compact Road). Una bici rivoluzionaria che fu però prontamente accettata dal grande pubblico grazie ai successi di Laurent Jalabert, Abraham Olano ed Alex Zulle, tra gli altri.

La TCR fu proposta in sole 3 taglie: S, M, L introducendo nel mondo del ciclismo le taglie “T-Shirt”. Successivamente però le taglie diventarono 5, declinate in 2 montaggi diversi: Advanced e Advanced SL, denominazioni in uso ancora oggi sui modelli contemporanei.

Burrows disegnò per Giant anche la MCR.

L’UCI aveva ormai già bandito dalle competizioni questo design, e ciò, combinato con il notevole peso (10kg per la bici completa) non ne decretò il successo, ma è stata di grande ispirazione per molte bici da triathlon successive. In particolare su questa bici venivano montate delle ruote con larghi raggi in composito a sezione variabile. Un brevetto di Burrows.

Un’altra sua intuizione che poi è stata abbondantemente copiata (i cerchi erano però ancora in alluminio, Rigida o FIR, piuttosto pesanti per uso stradale).

Altra idea di Burrows fu l’attacco manubrio regolabile che si vede nella foto della MCR, e che Burrows stesso ha raccontato essere stata la fonte di uno dei migliori complimenti ricevuti, quello di Antonio Colombo (Cinelli, Columbus) il quale gli disse: “avrei voluto disegnarlo io”.

Ma Burrows non si è limitato a pensare solo soluzioni per le prestazioni. Anzi, per lui “la bici può cambiare il mondo” e quindi si è anche dedicato al disegno di bici per utilità. Per Giant ha realizzato la Halfway pieghevole:

La quale incorpora un’altro dei segni distintivi di Burrows: la forcella monobraccio. Per Burrows la soluzione migliore, in quanto “è più aerodinamica, più robusta, economica e di facile manutenzione”.

 

Altra sua creazione in questo campo è la cargo-bike 8Freight, con il carico nel posteriore e le ruote da 20″. Tutt’ora in vendita.

Insomma, un personaggio eclettico, non facile (ha sempre rifiutato di utilizzare i telefoni cellulari e le email, e riguardo le moderne bici da corsa usate dai pro ha lanciato un “they’re all shit “…), ma che ha avuto alcune intuizioni che hanno cambiato drasticamente tutta l’industria ciclo, realizzando alcune bici che saranno per sempre icone.

Rip Mike.

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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