Riportiamo e traduciamo una interessante intervista a Bruno Genevois, presidente dell’agenzia francese antidoping (AFAD), che fa un po’ il punto sul momento che vive il ciclismo professionistico.
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-Nel caso Armstrong, mai controllato positivo, ma spogliato dei suoi titoli al Tour de France Lei vede un fallimento per l’antidoping?
-Bruno Genevois (BG): Gli elementi raccolti dall’USADA sono stati essenzialmente il risultato di indagini e testimonianze di vecchi compagni di squadra di Armstrong, ma la cooperazione tra diversi organismi è stata utile. L’Agenzia francese antidoping ha potuto trasmettere dei documenti in suo possesso cosi’ come i risultati di analisi delle urine di Armstrong. Bisogna considerare le testimonianze come prove? A mio avviso la denuncia non deve portare all’impunità del denunciante, ma solamente ad una riduzione della pena. La denuncia deve intervenire presto nella procedura. Non bisogna arrivare al punto che il corridore in fine di carriera con una denuncia se la possa cavare troppo facilmente.
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-Come migliorare i controlli antidoping?
-BG: E’ una vera sfida tecnologica: la WADA ha chiesto ai grandi laboratori farmaceutici di mettere a disposizione di un laboratorio accreditato una nuova molecola dopante per studiarne i metodi di individuazione. A Châtenay-Malabry (sede dell’agenzia francese antidoping -ndr-) abbiamo potuto studiare una di queste molecole in fase di omologazione. Per evitare dei casi come quello di Marion Jones e del laboratorio Balco. Oggi i gruppi farmaceutici sono impegnati a creare un’immagine positiva dei loro marchi
-Cosa si puo’ fare a livello pratico?
-BG: Quello che mi ha preoccupato nel caso Armstrong è cio’ che ho letto a riguardo della soluzione fisiologica. Se lo sportivo è avvertito di un controllo imminente puo’ iniettarsi della soluzione fisiologica per invalidare il controllo ematico e per noi è un problema. Altro esempio: uno sportivo ha testimoniato che durante un controllo antidoping delle urine aggiungeva al campione delle impurità che teneva sotto le unghie per invalidare i risultati. Abbiamo quindi chiesto ai nostri ispettori di essere più vigili. Dobbiamo adattare ed aggiornare i nostri metodi in continuazione.
-A che punto siamo nell’individuazione dell’AICAr (prodotto che brucia i grassi ed aumenta l’endurance -ndr-), prodotto che si sospetta essere diffuso in gruppo?
-BG: Siamo ad un punto incoraggiante. Ci vuole ancora un po’ di tempo per mettere a punto il test prima dell’omologazione della WADA. La nostra strategia è di non dire troppo presto che abbiamo il test pronto in modo da non indurre a cambiamenti nei comportamenti e far si che qualcuno se la cavi. In ogni caso noi possiamo conservare i campioni per otto anni e questo fa parte della dissuasione. Credo che ci sia parecchia pressione sugli imbroglioni…
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-Quale sarà il ruolo della AFAD al prossimo Tour de France? Sarà possibile una collaborazione con l’UCI?
-BG: Al momento l’UCI è in una posizione di attesa (dovuta al lavoro della commissione indipendente per giudicarne la sua azione nell’antidoping -ndr-). Noi vorremmo una strategia di controlli a monte, con dei prelievi ematici e delle urine e delle ricerche sui singoli. L’UCI ha comunque il grande merito di aver introdotto dal 2008 il passaporto biologico con cui si è potuto rilevare dei casi di doping con condanne annesse. Un mio cruccio pero’ è che tanto ho potuto riallacciare dei contatti con l’UCI tanto ho avuto dei problemi a stabilire dei contatti con la Federazione Internazionale Tennis. In materia di antidoping ci sono tanti credenti e troppo pochi praticanti.
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