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Jean Malléjac e il doping sul Ventoux

Il Mont Ventoux è una delle montagne imprescindibili per ogni ciclista, per la sua particolarità geografica che può renderla repentinamente inospitale, sferzata da venti fortissimi o caldi africani; per la sua lunghezza e durezza; ed ovviamente per la sua storia, carica di numerose tappe al Tour de France, ma anche innumerevoli gare in salita, sulla distanza, affrontandolo ripetutamente ed altro ancora.

Celebre del Ventoux è una sua vittima, Tom Simpson, il primo campione del mondo britannico, che nel 1967 morì lungo l’ascesa al Mt.Ventoux per il letale mix di amfetamine ed alcol che aveva ingurgitato.

La stele in omaggio a Simpson sul Ventoux

Qualcuno forse non ricorda che anni prima, nel 1955, vi fu un caso analogo, anche se più fortunato di Simpson: Jean Malléjac.

Malléjac, bretone del 1929, era un corridore da corse a tappe, che ebbe il suo migliore anno nel 1953, vincendo una tappa ed arrivando 2° al Tour de France.

Il Tour 1953 ebbe non poche novità, dall’introduzione della maglia verde, per la classifica a punti,  all’evitare gli arrivi in salita, tappe di montagna più corte e soppressione degli abbuoni per i passaggi in vetta, una sola cronometro e squadre ridotte a 10 corridori.

Insomma, il cercare di disegnare il percorso per evitare lo strapotere di alcuni corridori era già bello ed in voga da un pezzo, e nel caso specifico si trattava di rendere la vita più difficile a Fausto Coppi, che l’anno precedente aveva stravinto. Ma Coppi non aveva nessuna voglia di andare al Tour, a 34 anni, con un Koblet in ascesa e i guai a casa dovuti al caso della Dama Bianca. Pertanto Coppi sfruttò la partecipazione di Bartali (39enne) per dichiarare che era l’ultima grande chance di Gino e lui non voleva ostacolarlo, rimanendosene a casa.

I francesi poi erano molto determinati quell’anno, e potevano contare su una squadra di livello assoluto con, tra gli altri: Louison Bobet, Raphael Geminiani, Antonin Rolland, Jean Dotto, Lucien Teisseire, Nello Lauredi e Jean Robic; oltre a giovani promettenti come Roger Walchowiak e André Darrigade.

Nel 1953 parteciparono per la prima volta al Tour anche due promettenti scalatori, lo spagnolo Jesus Loroño (che infatti vincerà la classifica scalatori) ed il lussemburghese Charly Gaul.

Le squadre erano nazionali all’epoca, e solo i corridori francesi non inseriti nella nazionale ufficiale erano divisi per regionalità (sud-est, ovest, etc..). Ma i francesi della nazionale ufficiale non riuscivano a mettersi d’accordo in nessun modo, d’altronde erano personalità piuttosto “grandiose” (Geminiani) o assolutamente scorbutiche (Robic), e quindi non c’era nemmeno un capitano designato, ma ognuno si accordava in corsa con chi gli pareva, compresi avversari di altre nazioni.

Marcel Bidot, il CT della nazionale francese, dovette fare l’impossibile per fare opera di mediazione tra le varie personalità, compreso dividere fisicamente Bobet e Geminiani alla cena dopo la 13^tappa (le 11 precedenti erano state vinte da 11 corridori differenti, a sottolineare il caos in cui ognuno correva per sé).

La mattina seguente però Bidot minacciò di tornarsene a casa in treno, e complice anche una bronchite che nottetempo era peggiorata per Geminiani, fu deciso che da quel momento il capitano sarebbe stato Bobet, che in compenso promise di versare tutti i premi in denaro agli altri in caso fosse arrivato in giallo a Parigi.

Bobet sul Ventoux

La cosa funzionò e Bobet vinse il suo primo Tour alla 6^partecipazione. Nella confusione generale ne approfittò il bretone Malléjac, il quale arrivò 2° dopo aver tenuto per 5 giorni la maglia gialla. Terzo arrivò l’italiano Giancarlo Astrua (Bartali 13°).

L’anno seguente, al primo Tour con partenza dall’estero (Amsterdam) Bobet fece il bis, battendo gli svizzeri Ferdi Kübler e Fritz Schaer. Sempre fuori dalla selezione ufficiale, ma correndo per la squadra “Francia Ovest” arrivò 5° Malléjac.

Il 1955, anno di introduzione del “fotofinish”, vide la terza vittoria consecutiva di Bobet (in maglia di campione del mondo), davanti al belga Jean Brankart e Charly Gaul. Questa volta Malléjac fece parte della nazionale francese ufficiale.

Alla 11^ tappa, Marsiglia-Avignone, è prevista l’ascesa al Mt.Ventoux ed è una giornata caldissima. Quel giorno tutto il mondo doveva guardare in faccia per la prima volta gli effetti più deteriori del doping.

Ferdi Kübler alla base del Ventoux parte all’attacco, in maglia gialla c’è Antonin Rolland, quindi Geminiani va a chiudere su di lui. A 10km dalla cima Kübler si lancia in uno dei suoi tipici attacchi senza domani. Geminiani gli urla: “Attento Ferdi! Il Ventoux non è una montagna come le altre!“. Leggendaria la risposta del “cavallo pazzo” svizzero: “Nemmeno Ferdi è un corridore come gli altri!“. A cui seguirà uno scatto feroce (Kübler parlava un incerto francese con accento svizzero-tedesco).

Kubler e Geminiani sul Ventoux

Qualche chilometro più avanti Kübler si ferma a bordo strada sfinito. Da lì in poi la sua gara sarà arrivare all’albergo, a cui giunse ore dopo. Durante la discesa cadde più volte, e ad un certo punto si mise in mezzo alla strada (“con occhio demente” scriverà un cronista de l’Equipe) urlando ai corridori che sopraggiungevano: “Andate via! Ferdi è impazzito! Esploderà!“.

Arrivato in albergo, fu intervistato sul letto, coperto di garza e cerotti, e le sue parole furono: “Il Tour è finito per me….Ferdi è troppo vecchio…ha male….Ferdi si è ucciso sul Ventoux”.

I commissari di corsa trovarono nella sua stanza siringhe e stimolanti. Per Kübler quello fu l’ultimo Tour de France e l’anno seguente si ritirò.

Vari corridori stettero male quel giorno. Il belga Richard Van Genechten, 3° nella classifica scalatori l’anno precedente, dietro a Bahamontes e Bobet, ebbe un “principio di asfissia”. Gli fu somministrato dell’ossigeno a bordo strada e poi fu portato in ospedale in ambulanza.

Ma la scena più terribile doveva offrirla Jean Malléjac, il quale a 10km dalla vetta crollò a terra con un piede ancora legato al pedale, continuando (cercando di) però a pedalare con l’altro in aria. Viso cadaverico, sudore glaciale. Furono immediatamente avvertiti i sanitari. Georges Pagnoud, cronista del Télégramme de Brest, che era nelle vicinanze, scrisse: “Fu necessario aprirgli a forza la mascella, che era serrata, per riuscire a fargli bere qualcosa“.

Gli fecero un’iniezione di “solucanfora” e gli diedero dell’ossigeno. Dopo 15 minuti Malléjac rinvenne. Fu messo a bordo di un’ambulanza e portato in ospedale. Durante il trasporto però gridava, si dibatteva e voleva uscire, tanto che dovettero legarlo. A legarlo fu il medico del Tour, il Dott. Dumas, che era tanto furioso quanto Malléjac, il quale in ospedale asserì che qualcuno lo avesse drogato e che voleva fare denuncia contro ignoti. Il dott. Dumas suggerì il tentato omicidio.

Malléjac la denuncia non la fece, anche se il caso fece scalpore, in quanto parve evidente ai più che si trattasse di un caso di doping, di cui si vociferava da 20 anni, ma senza mai nessun riscontro.

Malléjac corse ancora tre stagioni, ma senza risultati di rilievo (3° ad una tappa e 19° alla Vuelta 1957).

Durante gli anni successivi Malléjac continuò a ripetere che il suo malore fu dovuto a quanto contenuto nella borraccia che gli fu data prima della tappa. Una borraccia che però conteneva qualcosa dal “gusto amaro”, “come una cola”. Malléjac dichiarò in un’intervista del 1967 (video sotto) che la borraccia in questione fu trovata su una retina sopra la lettiga dell’ambulanza, ma vuota. Quando in realtà tutte le cose che contenevano le tasche della maglia erano ancora piene all’arrivo in ospedale.

Malléjac di fatto accusò un soigneur, mai precisato, di avergli messo a sua insaputa una qualche sostanza nella borraccia. Un mistero che Malléjac si è portato nella tomba nel 2000, a 71 anni.

Un indizio forse ce lo dà Roger Hassenforder, il quale proprio nel Tour del 1955 vinse una tappa e nel 1953 portò la maglia gialla per 4 giorni, prendendola il giorno in cui Malléjac vinse la sua di tappa. In questa intervista alla Tv francese del 1963 Hassenforder dice:

le corse sono sempre più veloci. Ognuno si cura. Ormai i corridori sono diventati dei dottori, con le valigie pieni di apparecchi…per prendersi la pressione…[…]…per correre a 45kmh non si può mica correre all’acqua minerale. Non ho mai visto un corridore correre all’acqua minerale a parte Bobet, me compreso. Se corressimo all’acqua minerale correremmo a 35kmh“.

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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