Nei mesi invernali, una volta, il ciclismo era spesso uno sport impraticabile: strade in pessime condizioni, abbigliamento inadeguato, rischi di ammalarsi erano tra le motivazioni più diffuse che consigliavano attività alternative. Ma come sempre, un manipolo di persone d’ingegno si alambiccava il cervello per risolvere questo “problema”. La soluzione in Italia è comunemente chiamata “rulli” (rollers in inglese), riferendosi a quelli “liberi”, in cui le ruote della bici sono appoggiate sopra 3 rulli non vincolati, ma oggi (e ieri, come vedremo) con questo termine si intendono anche i più sofisticati “home trainers”, che sono una versione molto più sofisticata, in particolare perché oltre all’attrezzo fisico a cui è vincolata la bicicletta, integrano misuratori di potenza e sono interfacciati con software di realtà virtuale, come l’ormai celebre Zwift.
Lo sviluppo e l’espansione di questi veri e propri sistemi ha portato ad una diffusione enorme di questi apparati, tanto da creare la nuova categoria del “ciclismo indoor”, con veri e propri campionati, comunità e squadre dedicate. Un settore in cosi grande espansione da essere secondo per investimenti oggi solo al settore delle E-Bikes.
Ma è un’idea nuova? Come sempre nel ciclismo, la risposta è Ni. Nel senso che nell’attrezzatura da ciclismo non esiste niente che non sia già stato inventato o immaginato già nella sua infanzia, a fine 1800, ma ovviamente tante idee sono state riprese ed elaborate e sviluppate grazie al contemporaneo sviluppo di tutta la scienza e tecnologia, ovviamente raffinando queste idee e rendendole reali ed utilizzabili.
L’idea apparve già nella stampa sotto forma di idee caricaturali nei primi anni del 1800, ma come sempre c’è chi poi tramuta la fantasia in realtà.
Il primo brevetto depositato per un “home trainer” risale al 1887, da parte di J. McLintock, e si tratta di un supporto per vincolare una Penny Farthing (le bici col ruotone anteriore) ad un roller in legno:
Uno dei primi simulatori per safety bicycles (le bici con ruote di uguale diametro) data 1893, ed è un brevetto depositato a Birmingham, in UK, allora culla del ciclismo mondiale, da John William Pateman, ingegnere di Croydon.
Il quale chiama esplicitamente la propria invenzione “Home Trainer” o macchina per la pratica o competizione del ciclismo. E nella descrizione del suo brevetto parla già di Improved Machine, ovvero una macchina migliorata, non si sa se rispetto una sua versione precedente o qualche altra invenzione brevettata (brevetti cosi vecchi non riportano i riferimenti a brevetti precedenti). Ad ogni modo dal disegno originale potete vedere come fondamentalmente fosse una bicicletta stazionaria vincolata a due enormi volani. Era previsto anche un contachilometri (in realtà miglia, of course) perché evidentemente certe ossessioni non risparmiavano i ciclisti nemmeno nell’800.
Se questo sistema vi pare particolarmente ingombrante e complicato in effetti lo è, ma solo un mese dopo, John Slater Sisson, brevettò una macchina molto più compatta, che forse risulta più famigliare agli occhi del ciclista moderno:
Già nel 1896, nella collana di libri dedicata agli sport (la Badminton Library), nel volume Cycling, gli autori descrivono come nei club di ciclismo inglesi si facessero delle gare di bici stazionaria: ogni bici era collegata ad uno strumento che indicava al pubblico la distanza e chi prima la completava vinceva. Per rendere più coinvolgente la cosa, Arthur Lionel Knighten nel 1895 brevettò una macchina che collegava due o più biciclette a dei modellini di ciclisti colorati che giravano lungo la circonferenza di un rullo in modo da visualizzare in modo più immediato l’andamento della competizione.
L’idea in ogni caso deve essere piaciuta, perché negli anni immediatamente successivi vennero depositati numerosi brevetti in merito a macchine del genere, dalla complicazione crescente. Qui una del 1896:
Come sempre a qualche inventore scappava la mano e non prendeva in considerazione aspetti piuttosto pratici/di sicurezza (qui un esempio del 1897), ma la strada era tracciata:
La cosa evidentemente prese piede, tanto che queste macchine si cominciarono a vedere anche in varie fiere dove però non erano utilizzate dal popolino per fare improbabili gare (immaginate il costo all’epoca di questi strumenti), ma da rinomati campioni. Qui una sfida nel 1900 tra il celebre Charles ‘Mile-a-Minute‘ Murphy (il primo uomo a percorrere un miglio in meno di un minuto in bici, nel 1899) e lo sprinter Tom Butler negli USA:
Le potenzialità di questi attrezzi devono essere parsi evidenti anche fuori dal ristretto ambiente dei ciclisti. Qui due dame in crociera transatlantica nel 1922 si mantengono in forma:
Quelle bici sembrano arrivare dritte dal catalogo della Narranganset Machine Company, specializzata in attrezzature ginniche. A pagina 87 viene mostrato lo “Standard Bicycle Trainer”, proposto al modico prezzo di 200$. Di gran lunga l’articolo più costoso del catalogo.
Se pensate che gli home trainers fossero solo una faccenda anglosassone presumibilmente avete ragione, ma anche in Europa, ed in Italia in particolare, qualcosa si ingegnava. Come potete vedere da questa foto degli anni ’20 in cui nientemeno che Costante Girardengo da dimostrazione del genio italico:
Nel frattempo la fantasia correva nella stampa generalista, sempre con un lato sarcastico, che tutto sommato è rimasto sino ai giorni nostri:
Ma come vedete la mente del ciclista ha anticipato di decenni persino quelle immaginative più brillanti, come quella di Jacques Carelman, che nel 1969 ha pubblicato il mitico Catalogo degli oggetti introvabili. Nel secondo volume si può trovare la “cyclette a illusione”:
Un oggetto simile si vede anche nell’imperdibile film del 2003, Les Triplettes de Belleville, in cui dei ciclisti rapiti vengono fatti gareggiare su un attrezzo del genere:
Nel frattempo i vari home trainers sono stati sempre più perfezionati, ma è nel 1975 che qualcosa cambia maggiormente, con l’introduzione dei primi sistemi integrati per misurare la potenza, con questo brevetto del francese Gerard Brisard, il quale si basava su un freno dinamometrico (era previsto anche un ventilatore per raffreddare il ciclista):
Alla fine dello stesso anno analoga idea è venuta al tedesco Gustav Schikedanz, anche se in una forma meno ACME-Style:
Dal 1975 ai primi anni ’80 si moltiplicano i brevetti di home trainers con integrati sistemi di rilevazione della potenza, in particolare nell’area germanica. E forse giapponese, ma spesso i loro brevetti sono in lingua nazionale, a me incomprensibile, quindi non posso confermarlo, e comunque sembrano concentrarsi proprio solo sul lato dell’hardware “ergometrico”.
Nel 1979 fa la sua apparizione un brevetto francese, di Monsieur André Jeanmot (il quale brevetterà anche un rullo per sedie a rotelle) per un rullo “orizzontale”, che poi pare essere la base su cui Cinelli commercializzerà il suo famoso defaticatore:
Nei primi anni ’80 comincia a far capolino l’elettronica, con brevetti sull’integrazione di bici e programmi di simulazione con freni a resistenza controllata da computer. Qui un brevetto del francese Stephanois:
Nel 1987 l’azienda nipponica Denki ha brevettato quello che sembra essere il primo sistema per implementare un display su cui visualizzare delle immagini sincronizzate al livello di resistenza del freno oleodinamico. Non è specificato che tipo di immagini (lo si intuisce dal disegno), ma l’idea era quella giusta:
Da fine anni ’90 ai primi 2000 si moltiplicano i brevetti di grosse aziende attive nel mercato delle bici stazionarie, ma si tratta di progressivi raffinamenti con l’implementazione di funzioni cardio. Nel 2006 finalmente arriva un brevetto italiano in merito, da parte del dott. Aldo Sassi del centro Mapei, che brevettò un cicloergometro eccentrico per misurare potenza e coppia in maniera indipendente dalla cadenza di pedalata:
Nello stesso periodo fanno capolino i brevetti del signor Jakobus Tacx, che danno forma a quelli che sono gli attuali home trainers utilizzati dalla maggior parte dei ciclisti.
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