4 anni il tempo di attesa per partecipare a questo evento che per ogni randonneur rappresenta un po’ una specie di olimpiade o campionato del mondo. Il motivo é legato alla storia di questo evento ed al fatto che vi partecipano persone da tutto il mondo in numeri che altre randonnées nemmeno avvicinano. E come ogni grande evento viene anche criticato per varie ragioni, non ultime quelle morettiane stile: “mi si nota di più se ci vado o se sto a casa?”.
La Paris-Brest-Paris 2015 intanto ha visto il maggior numero di partecipanti della propria storia, ben 6090 iscritti di 44 paesi. Quasi 800 in più dell’ultima edizione. Questo si é riflesso in alcune difficoltà per l’organizzazione, a cominciare dalla registrazione pre-corsa. Il giorno precedente la partenza infatti bisogna presentarsi per il controllo della bici, che consiste nel verificare che si sia dotati di impianto di illuminazione adeguato anteriore/posteriore ed una (molto) sommaria verifica delle condizioni della bici, che nel mio caso si é tradotto in una tiratina ai freni. D’altronde il buon funzionamento del proprio mezzo dovrebbe essere interesse in primis di chi lo userà, e sul posto lavoravano full-time due stand di meccanici per mettere a posto cambi e deragliatori.
Nel mio caso dall’entrata allo spazio del velodromo alla fine della verifica sono passati ben 45 minuti in coda…tempo che pero’ ho potuto sfruttare per scambiare 4 chiacchere con altri in coda come me e poter apprezzare i differenti stili con cui viene affrontato questo evento. Nello specifico uno svedese con una Pinarello Dogma e Zipp 404 senza alcuna borsa che puntava ad un tempo sotto le 50h (il tempo di chi fa “la gara”, anche chiamati “les vedettes” in gergo PBP); ed un gallese con una bici in titanio con freni a disco con un 30lt di borse che puntava a chiuderla e basta nel tempo limite di 90h.
A questo é seguita un’altra attesa e coda di 30 minuti all’interno del nuovissimo velodromo nazionale di Saint Quentin en Yvelines per raccogliere carte de route (su cui vanno apposti i timbri i controlli) e gilet riflettente omaggio per la notte.
Durante queste attese ci si può rendere conto di come alla PBP sia viva la tradizione di quella che fu una gara professionistica (una delle prime della storia) e di una randonnée, in cui si trovano nello stesso posto dei semi-professionisti che provengono dall’ultracycling e corrono per “la vittoria” (il 70% delle vedettes corre con uno staff al seguito che li supporta in punti predeterminati -non sul percorso che é vietato-) ed i randonneurs più canonici che si preparano ad un bel viaggio-festa. Questo si riflette, come detto, anche nella scelta degli equipaggiamenti, che vanno da bici da cicloturismo caricate con borse e bagagli, sacchi a pelo compresi, a chi parte “nudo e crudo” stile granfondo con ruote alto profilo in carbonio. Nel mezzo chi usa bici vintage con tanto di maglia di lana o bici del decathlon con portapacchi che pesano come una bici, o a chi sfoggia boutique bikes fatte artigianalmente dal costo di un’utilitaria (giapponesi ed americani soprattutto).
Terminata tutta la procedura si é liberi di gestirsi l’attesa fino alla partenza come si vuole. C’é chi resta nell’area del velodromo a far festa assieme ad amici e parenti, chi va a dormire, chi al bar a stappare bottiglie (un nutrito gruppo di inglesi). Personalmente ho scelto la via di Parigi centro per un’abbuffata di cinema…
Il giorno della partenza mi sono presentato verso le 12, cercando di dormire il più possibile la mattina, ma senza riuscirci troppo. Ansia e nervosismo si fanno sentire, almeno per me. La quantità di cose che possono andare male durante una PBP sono moltissime, alcune anche parecchio sgradevoli (ogni anno si verifica qualche decesso per incidenti o malori e quest’anno non ha fatto eccezione purtroppo). Ed ogni caso l’idea di tornare a casa senza aver portato felicemente a termine l’impresa non é un bel pensiero, in particolare se rapportato al costo sia economico che di tempo/organizzazione/impegno per farla.
L’attesa viene ingannata salutando amici e conoscenti i quali non mi hanno rasserenato più di tanto confessandomi a loro volta le loro ansie o il loro “nervosismo estremo”….
Alla fine si entra in griglia, novità di questa edizione, a partenze sfalsate di 15 minuti. Praticamente ogni griglia conta tanti partenti come quasi ad un comune brevetto. Mentre attendo in griglia scambio qualche impressione con un tedesco che mi chiede consigli e mi fa sentire un veterano, forte della sola mia precedente partecipazione, a cui mi imbarazza rispondere, in particolare a quel punto, a pochi minuti dalla partenza.
Infine il conto alla rovescia e la partenza. Il momento più bello, perché ci si lascia di colpo alle spalle nervosismi ed ansie, si mollano gli ormeggi e si salpa per il lungo viaggio. Non resta che lasciare che i colpi di pedale e la fatica pian piano svuotino la mente e lascino spazio al flusso di pensieri che ci accompagnerà per giorni di pedalata.
Nell’uscire dalla banlieue parigina si percorrono strade affollate di gente che saluta, incita, fa un tifo sano ed indistinto per tutti. Presto ci si ritrova per strade meno urbane, in campagna, quella campagna piatta o vallonata che ci accompagnerà per tutto il viaggio. Il ritmo é ovviamente allegro e, come spesso capita coi randonneurs, la collaborazione è inesistente, ognuno va al proprio ritmo, chi va più veloce si mette davanti e tutti gli altri dietro senza mai dare un cambio, perlomeno fino a che uno rallenta, o fino a che uno non parte per una sua fuga tutta personale a velocità doppia e tutti lo seguono per trovarsi a rallentare dietro l’uomo in fuga che dopo pochi kilometri è chiaramente piantato e recuperato da chi va ad andatura costante…
Nel frattempo io sono talmente assorto nei miei pensieri, non so nemmeno quali, che é un trauma il risvegliarmi con un sonoro botto: in una semicurva presa a 30-35kmh il copertone posteriore ha stallonato con conseguente esplosione della camera d’aria.
Non mi capacito di come possa essere successo…essendo la stessa combinazione camera-copertone utilizzata per l’ultimo 600km di qualificazione e gli ultimi giri di allenamento pre-PBP. Vengo di colpo pervaso dall’angoscia della guigne, ovvero l’italica sfiga. Dopo soli 90km già un problema del genere, inspiegabile oltretutto. Comincio a pensare che il cerchio sia storto, il copertone rovinato sul cerchietto…alla fine cambio ovviamente e semplicemente la camera d’aria e riparto. Per fortuna non avro’ più alcun problema fino al arrivo.
Si susseguono i kilometri, i controlli, si passa sopra i tappetini con il chip alla caviglia per dare segno del passaggio e, grazie al sito web collegato, far sapere a casa i propri progressi. Peccato che alcuni controlli abbiano problemi con il collegamento wifi e non abbiano inviato i dati di alcuni corridori. Tra cui ovviamente me…
Passa la prima notte ed il primo giorno, ed al calare della seconda notte mi ritrovo al giro di boa di Brest. Mi delude un po’ che lungo il percorso ci sia meno gente dell’ultima volta a fare il tifo e dare calore e colore alla festa, ma in effetti le notti bretoni sono abbastanza implacabili quest’anno, con temperature tra i 5° ed i 9°. Il che scoraggia anche i più volonterosi.
A Brest, scendendo dei gradini per andare ai servizi scivolo e sento un crack. Per fortuna é solo una tacchetta delle scarpe che si é rotta in punta (tacchette Mavic, decisamente scarse in quanto a durata). Decido di cambiarle entrambe con un paio nuovo che tengo in borsa. Purtroppo, nonostante abbia cercato di montarle esattamente come prima, qualcosa deve essere andato storto e pagherò l’errore (o la poca lucidità per stanchezza) arrivato a casa. Riparto assieme ad un russo, Alexander, che mi chiede di andare “you and me, ok?” perché non vuole pedalare da solo di notte. Risalendo da Brest fino al Roc Trevezel, l’ascesa (molto lieve, ma che dopo 600km pare lo Stelvio) più lunga della PBP, ci ritroveremo dentro una fitta nebbia che ci bagnerà come se avesse piovuto. Ma il mio compare di Kaliningrad non ci fa nemmeno caso e continua a farmi domande in un inglese improbabile intercalato da russo, per cui ogni volta si scusa, dicendomi che é very tired e che non trattiene le frasi in russo. Quindi capisco 1 parola su 4 e la conversazione, soprattutto per un ipotetico spettatore esterno, fila via più surreale che mai. Ma alla fine é palpabile come tutti e due si sia contenti della presenza dell’altro. E ci si rende conto di come stanchezza e fatica possano creare un legame tra sconosciuti di due mondi diversi. Una costante di queste randonnées.
Sulla via del ritorno ho dei momenti di difficoltà notevoli nelle due parti più vallonate del percorso,tra Loudeac e Tinteniac, e tra Fougères e Villaines en Juhel, che fu per me molto critico anche nel 2011. Decido di fermarmi per un riposino di 1h30′ (in totale ne faro’ due di questa durata, uno all’andata ed uno al ritorno). Dopo una tale abbuffata di sonno mi sento pronto a ripartire in forze, ma cominciano a presentarsi problemi di formicolio ai piedi. Non ci faccio caso e proseguo.
Gli ultimi 60km li faccio assieme a due francesi che volevano stare assolutamente sotto le 70h e quindi tiravano a vicenda più che potevano. Io ho cercato di dare il mio contributo, ma solo nei pezzi in piano, visto che in quelli in salita mi staccavano senza pietà. Gli ultimi 10km li faccio in modalità “crono” con i gomiti sul manubrio, ed essendo il percorso completamente piatto stacco i miei compagni senza nemmeno accorgermene.
Alla fine entro nell’ultimo pezzo transennato con il pubblico che mi da il cinque, applaude e mi lancia abbondanti “Bravo’!“. Ricambio i saluti e sorrido imbarazzato pensando che i primi a tornare sono passati di li 24h prima…ma il bello di questi eventi é che il primo come l’ultimo sono tutti meritevoli di rispetto e piccoli eroi per il pubblico. Forse più gli ultimi che i primi.
E cosi’, dopo essere tornato in porto, si scarica la tensione con una bella birra, brindando semplicemente con i tizi che sono li accanto a te, dandoti pacche sulle spalle a vicenda con un giapponese ed un irlandese mai visti come se li conoscessi da una vita. Ed in effetti la vita degli ultimi 3 giorni con loro l’hai condivisa eccome.
La mia PBP in cifre:
1234km, 10.560mt di dislivello positivo, 69h35′ (non ufficiale, il sito non funziona)
Mangiati: 3 piatti di pasta, 2 di riso, 1 petto di pollo, 1 omelette con puré, 2 macedonie, 1 panino prosciutto e burro, 2 yogurt, 3 insalate russe, 1 porzione barbabietole, 3 cocacole, 1 MonsterEnergy, mezza tavoletta di cioccolato 70%, 2 dessert non identificati. Gruppo sanguigno: Arabica.
Bici usata: Seven Axiom (64×60), SRAM Red 10v, cerchi Stan’s Alpha 340, mozzo Supernova Infinity anteriore, Powertap Sl+ post. manubrio Fsa carbonio, attacco Thomson, reggisella Seven carbonio, sella Fi:zi’k Kurve Bull, pedali Mavic Zxellium SL. Faretto Supernova E3 Pro2, luce posteriore Bontrager Flare+. Borsa manubrio Ortlieb Classic 9lt. Borsa posteriore Moots Tailgator 9Lt. Pompa Blackburn al telaio.
Abbigliamento e varie: 2 pantalonicini (Assos), 1 maglietta maniche corte, 1 canottiera elasthan, gambali, manicotti, giacca tipo Goretex, gilet riflettente, 1 maglia intima invernale, 1 maglia maniche lunghe collo alto mezza stagione, fascia scaldacollo, guanti corti, cappellino. 3 camere d’aria, multitool, battery pack per Garmin e celllulare, occhiali da sole, occhiali trasparenti per la notte, nastro americano, nastro elettricista, 2 coperte spaziali (non utilizzate), 1 tubo di Bepanthenol (una spalmata alle terga ogni 2-300km), tacchette di ricambio.
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