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Spiegare qualcosa che tutti hanno e percepiscono è un compito che può sembrare anche facile. Un mio coach mi dice spesso che quando si crede di conoscere bene una cosa, una situazione, una persona, ma tuttavia si vuole approfondire, è bene adottare quella che si chiama “helicopter view”. Avete presente come si alza in volo un elicottero? Ecco, quando volete approfondire un argomento quello che dovete fare è cercare di “alzarvi in volo” e dall’alto vedere le cose sotto questa nuova prospettiva.
Questa premessa, con cui cerco di introdurvi all’argomento odierno della motivazione, è una tecnica molto importante per risolvere anche questioni e problematiche di tutti i giorni nella vita quotidiana. La motivazione è l’insieme di tutti i fattori che spingono gli individui a compiere le proprie attività, orientandoli verso determinati obiettivi e dando loro la “forza di continuare” qualora l’obiettivo sia a lungo termine.
Nello sport la motivazione si esprime in diversi momenti, a partire dalla scelta di una determinata disciplina rispetto ad un’altra. Le caratteristiche personali rendono gli individui maggiormente inclini ad uno sport piuttosto che ad un altro: lo sportivo, spesso inconsapevolmente, propende verso una disciplina piuttosto che un’altra giudicando gli elementi favorevoli e quelli contrari e prendendo in considerazione le possibili alternative. Per esempio i giovani possono intraprendere un cammino sportivo seguendo l’esempio degli amici o dei genitori, ma solo se in esso troveranno motivazioni a loro congeniali continueranno in quello sport.
Gill, Gross e Huddleston in una ricerca del 1983 sono giunti a alla conclusione che esistono diversi fattori stimolanti per la pratica sportiva:
– La “riuscita e raggiungimento di uno status”: risponde al desiderio di vincere, di migliorare la propria reputazione e di fare qualcosa che si è capaci di fare e che si fa bene.
– La “squadra”: da sempre gli esseri umani mirano ad essere parte di un gruppo.
– La “forma fisica”: la possibilità derivante dalla pratica sportiva di mantenersi in forma.
– Lo “spendere energia”: scaricarsi dalle tensioni di ogni giorno.
– Il fattore “estrinseco”: vale a dire i rinforzi che possono derivare dall’esterno e possono sostenere la motivazione, come per esempio la soddisfazione procurata alle persone care, etc, sino all’uso del materiale sportivo (quanti di voi hanno la foto della propria bicicletta sul telefonino?).
– Il “miglioramento delle capacità” sportive.
– Il “divertimento”.
È l’unione di questi fattori, nessuno completamente escluso, che non solo permette di scegliere la disciplina sportiva che meglio si adatta a noi, ma che ci fa anche progredire. Per alcuni di voi sarà importante vincere, per altri sarà più importante la soddisfazione di arrivare, per altri ancor è la vittoria sul compagno o sugli avversari la fonte di motivazione ulteriore, per altri è la sfida di fare qualcosa che non eravate in grado di fare anche solo un anno fa. Queste differenze derivano da due specifici orientamenti che le persone possono avere: orientamento al compito o orientamento al sé.
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Con l’orientamento al compito la persona è interessata a dimostrare la sua capacità. Con l’orientamento al sé la persona vuole dimostrare la sua capacità in confronto agli altri. È proprio per questo che le situazioni “oggettive” di vittoria e sconfitta devono essere lette non in senso assoluto, ma in rapporto al sé, al proprio grado di soddisfazione ed appagamento. Una sconfitta accompagnata dalla consapevolezza di una crescita della propria prestazione, non solo non è da vedere in ottica negativa, ma può addirittura essere fonte di nuova motivazione e “rabbia” agonistica.
A questo proposito è importante prendere in considerazione la “teoria dell’attribuzione”, secondo la quale le persone attribuiscono cause ai fatti e gli avvenimenti della vita attraverso motivazioni interne o esterne. L’attribuzione di un insuccesso a cause esterne ne diminuisce la sua negatività (“ho perso perché ho forato e ho perso secondi preziosi”); altrettanto l’attribuzione di un successo a cause interne ne aumenta il valore ed accresce la proprio stima (“quest’anno ho vinto più gare perché mi sono allenato molto e bene”).
Ma un’attribuzione di un insuccesso a cause interne può causare calo di autostima e determinazione fino, in situazioni estreme, all’abbandono dello sport. In queste situazioni, spesso drammatiche per gli atleti, il ricorso da parte di allenatori o famigliari a gratifiche e incentivi esterni, non porta molto spesso a risultati positivi. Per contro, in situazioni di questo tipo, analoghe a quelle derivanti da un infortunio, è importante per lo sportivo riuscire a ritrovare in sé stesso le motivazioni più “pure e radicate” per superare il momento di crisi.
Soprattutto per un dilettante, che per certi versi è più “libero di cambiare strada” e darsi ad altri sport, occorre una riflessione sulle scelte che hanno portato a scegliere il ciclismo come attività sportiva. Anche qui la “helicopter view” che ho citato all’inizio può far comprendere come il desiderio di andare in bici e di sentirsi appagato da questo sport sia più forte di una stagione andata male. Proprio per questo, perché la motivazione è già dentro ciascuno di noi, i “motivatori” e gli “urlatori” non servono a nulla. Chi può aiutare gli atleti in tali situazioni deve solo promuovere le condizioni “climatiche” perché la motivazione sbocci (nuovamente).
In questi casi accanto alla ricerca delle motivazioni “pure e radicate” dell’atleta andranno affrontate problematiche relative alla gestione dello stress, l’over training e il burn out, nonché una rivisitazione adeguata di obiettivi a medio-lungo termine. Ma sono argomenti che tratteremo nelle prossime puntate. Vi lascio con una lettura che può risultare interessante per quanti vogliano approfondire la tematica della motivazione e della resilienza (anche questo un tema che affronteremo presto): Perseverare è umano, Pietro Trabucchi, Editore: Corbaccio
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