Terminata la Vuelta España 2021, la settima edizione più veloce della storia con 40,689km/h di velocità media, il 5° grande giro per dislivello complessivo della storia: 50912mt; il 9° per rapporto dislivello al chilometro: 14,9mt al km (3417km totali). Una Vuelta che ha avuto un dominatore, ma che ha anche offerto eccellente spettacolo su un percorso ben disegnato.
Primoz Roglic, voto 10 e lode. Il dominatore è lui, lo sloveno che ha vinto con autorità, senza mai dare l’impressione di essere impensierito dagli avversari: imbattibile a cronometro, forte in salita e con in più uno spunto veloce che gli consente di agguantare i bonus quando serve (su un percorso che non prevedeva lunghe salitone interminabili, dove paga qualcosa). Ma soprattutto un modo di correre da leader più maturo, senza l’ossessione di controllare la corsa dal km 0 come aveva fatto al Tour (dove poteva contare su una squadra più forte rispetto a questa Vuelta) perso all’ultima cronometro con enorme dispendio di energie sue e della sua squadra. Ed anche una acquisita capacità di lasciar andare qualche tappa che avrebbe potuto vincere, ma creando astio nei suoi confronti. Invece Roglic è anche diventato capace di essere Leader, ma sempre con una battuta simpatica pronta anche verso gli avversari, oltre ad andare sempre a complimentarsi ed abbracciare l’avversario (sconfitto) di turno. Senza contare una capacità forse unica di rialzarsi dopo ogni débâcle e caduta e tornare al miglior livello, come nel caso della batosta del Tour (l’ennesima) da cui però si è risollevato con l’oro olimpico e la Vuelta. La terza Vuelta, per entrare nei libri di storia.
Enric Mas, voto 9. Il corridore di Mallorca ha fatto tutto quello che poteva fare, dimostrandosi finalmente costante e solido per tutte e tre le settimane di gara. In montagna è stato sempre con Roglic, perdendo pochissimi secondi, anche se gli manca uno spunto per giocarsi gli abbuoni e la vittoria di tappa. E persino a cronometro, che non è propriamente la sua specialità, è migliorato molto: nel prologo ha perso 18″ da Roglic, e nella cronometro conclusiva ha terminato 9° rifilando 48″ a Haig. Chiaramente contro Roglic c’è un abisso, e il sorpasso nel finale da parte dello sloveno (che prima nel percorso aveva pure sbagliato strada ad una rotonda) è emblematico del divario: 2’40” in 40km di cronometro totali. Ma se non gli si può fare una colpa di non poter contendere a Roglic la vittoria lo si può lodare per un secondo posto con 3′ di vantaggio sul terzo e molti miglioramenti complessivi che ne fanno un ottimo e solido contendente.
Jack Haig, voto 9. L’australiano può essere senza dubbio considerato una stella nascente, nonostante i 28 anni di età in un ciclismo ora dominato da post-adolescenti, ma quest’anno ha dimostrato ottima costanza di risultati nelle corse a tappe, anche perché ottimamente supportato da una squadra eccellente, che non a caso ha vinto la classifica dedicata. Chiaramente il suo è un terzo posto che sa di regalo di natale, arrivato grazie all’incredibile ritiro di Miguel Angel Lopez, ma Haig, pur senza acuti è stato molto costante e sempre coi migliori in salita, ed anche senza il ritiro di Lopez nella 20^ tappa sembrava avere molta più benzina del colombiano. A tutto questo va aggiunto che Haig arrivava dalla grande delusione del Tour dove si è rotto la clavicola il 28 giugno, quindi grande determinazione nel recupero, anche psicologico.
Adam Yates, voto 6. Ritrovatosi capitano della Ineos il britannico si è comportato molto bene, con un ottimo prologo a cronometro (soli 20″ persi da Roglic), e stando coi migliori nelle tappe chiave di montagna. Nella cronometro finale si è pure giocato il podio tentando il tutto per tutto partendo a razzo, guadagnando 28″ su Haig al primo intertempo, ma poi andando in calando mentre l’australiano giocava di rimessa con una cronometro costante in cui alla fine è riuscito a guadagnare ulteriori 27″ sull’inglese. Insomma Yates ci ha provato e scommettendo sulla crono della vita e/o su un calo di Haig. alla fine coglie un 4° posto onorevole, anche senza acuti.
Gino Mäder, voto 9. Lo svizzero torna dalla Spagna con un sontuoso 5° posto in classifica generale e la maglia bianca di miglior giovane. Risultati inaspettati, ma che confermano le grandissime qualità di questo corridore. Risultati ottenuti caricandosi sulle spalle un’enorme quantità (e qualità) di lavoro per Haig. Quest’anno ha già vinto una tappa al Giro ed una al giro di Svizzera, dimostrando che a 24 anni ha un futuro da uomo per corse a tappe ed è una validissima alternativa a Landa in casa Bahrain e non solo un gregario.
Fabio Jakobsen, voto 10. Un voto che è chiaramente debitore della storia recente di questo sprinter, ma è ovvia la domanda: chi si sarebbe aspettato 3 vittorie di tappa e la maglia verde per lui dopo l’incidente del giro di Polonia? Aldilà dei risultati, comunque di valore assoluto, è una bella storia di un corridore tornato tra i migliori al mondo dopo una gita all’inferno.
Magnus Cort Nielsen, voto 10 e lode. Tutti chiedono sempre che il ciclismo sia “spettacolo” e Cort Nielsen in questa Vuelta ne è stato la quintessenza: onnipresente nelle fughe ed anche negli sprint, 3 tappe vinte, e pure il 2° posto nella cronometro finale con tratti in salita a 14″ da Roglic. Il premio di supercombattivo della Vuelta è il minimo.
Michael Storer, voto 9. Tutto il Team DSM ha puntato come risultato in questa Vuelta alla maglia a pois. Alla fine hanno centrato l’obbiettivo non con capitan Bardet, ma con l’australiano 24enne Storer (e Bardet secondo). Per farlo hanno conquistato anche tre tappe, due con Storer ed una con Bardet. Storer sembra esploso quest’anno, alla 5^stagione da professionista, con la vittoria di tappa e generale al Tour de l’Ain e queste due tappe alla Vuelta e la maglia a pois. Un ottimo anno per gli scalatori australiani, da O’Connor a Haig ad appunto Storer, che ora deve confermarsi, ma sembra avere le qualità per rimanere sulla mappa.
Nel complesso questa Vuelta ha offerto molte belle tappe e tante fughe, con bellissime azioni da parte dei vincitori di tappa, come non menzionare infatti Damiano Caruso, vincitore di una tappa stupenda a suggello di una stagione indimenticabile per lui, o quella di Clément Champoussin, un vero exploit come non se ne vedevano da anni da parte di un francese. Senza dimenticare la vittoria di Rein Taaramäe, poi sfortunato nel perdere la maglia rossa, ma compensato dalla settimana in camiseta roja del compagno Odd Eiking. Insomma, una Vuelta in cui hanno brillato i campioni attesi, ma in cui c’è stato spazio per belle azioni da parte di campioni che hanno finalmente trovato il modo di mettersi in luce, portando un po’ di freschezza, ma accompagnata da grande qualità. Una menzione anche per Alberto Dainese, al suo primo grande giro, sempre presente negli sprint e molto spesso piazzato (3 volte), che forse con un paio di uomini ad aiutarlo potrebbe ambire veramente al cambio di passo.
Ovviamente vi sono state alcune delusioni, o perlomeno qualcuno che è stato sotto le attese.
Ineos, voto 5. Al via era il solito squadrone, con tre possibili capitani, Yates, Bernal e Carapaz, uno di riserva, Sivakov, ed il folletto Pidcock a caccia di qualche tappa. Carapaz e Pidcock probabilmente erano a pancia piena dopo i successi olimpici e si sono rapidamente eclissati. Sivakov ha ottenuto un 3° posto di tappa proprio in una sfida tra supergregari (battendo Kuss, ma andando corto su Storer e Verona) e poi si è applicato a lavorare per Yates. Bernal è quello che ha deluso di più, con un 6° posto finale (a 13’27” da Roglic) che non sa né di carne né di pesce, ma soprattutto per il non essere mai stato nel vivo dell’azione.
Arnaud Démare/Groupama, voto 4. La squadra francese è stata praticamente assente in questa Vuelta. Miglior corridore Roux 58°, ma praticamente la maglia bianca, rossa e blu non si è mai vista. Ovviamente la delusione più grande è Démare, che sembrava poter fare razzia di tappe allo sprint, sulla falsariga delle prestazioni al Giro dello scorso anno e per la voglia di rivalsa dopo l’opacissimo Tour, ed invece ha colto come miglior risultato un 2° posto dietro Jakobsen alla 4^ tappa prima di sparire. Confermando cosi il momento negativo già mostrato al Tour. Tour in cui aveva perso Konovalovas per frattura, e che a quanto pare è un pezzo fondamentale del suo treno, perché perso lui ha deragliato. Perso poi anche Guarnieri per ritiro si è praticamente rivisto il Démare pre-costituzione del suo treno vincente, quando spesso, da solo, concludeva poco.
Movistar, voto n.s. “Non so” è il voto che mi viene in mente per la Movistar. Fino all’abbandono di Lopez sembrava finalmente una squadra ritrovata con due uomini sui due gradini bassi del podio e la vittoria nella tappa regina sull’altu de Gamoniteiru proprio con Lopez. Tanti piazzamenti dei due uomini di classifica e tutto sotto controllo. Poi l’incomprensibile ritiro del colombiano, stupefacente non tanto per il fatto in se quanto per la modalità, con uno psicodramma in diretta Tv che ha lasciato tutti sconcertati. Lopez in passato aveva già dimostrato di essere un tipo che si scalda facilmente, ma mai aveva fatto cose del genere e stiamo parlando di un campione con già 7 stagioni pro alle spalle. Il risultato di Mas farebbe propendere per una gara di successo per la squadra spagnola, ma la sceneggiata di Lopez getta ancora altre ombre. Unzué, un monumento come dirigente del ciclismo, rimane pacatissimo e diplomatico come sempre, ma l’impressione generica è che sembri avere un po’ perso il polso della propria squadra, con alcuni dei suoi corridori veterani che ne dettano la condotta ed il cima interno, a spese delle proprie stelle (Quintana, Landa, Soler ed ora Lopez) e soprattutto della propria immagine.
Infine un saluto a Fabio Aru, che a Santiago de Compostela ha concluso la propria carriera. Un augurio per un felice proseguimento.
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