In queste ultime settimane di fine stagione svariati team manager francesi si sono spesi per lanciare quello che sembra un vero e proprio grido d’allarme sul futuro del ciclismo professionistico (e non solo) transalpino. La conclusione a cui tutti arrivano è che il modello economico attuale non è più sostenibile per le squadre francesi, per vari motivi. Vediamo quali.
In primis la disparità di budget con le squadre più ricche, ormai, come noto, sovvenzionate nemmeno più da sponsor privati, ma da fondi nazionali o reti di sponsor che fanno capo ad intere nazioni, cosi che di fatto queste squadre hanno budget praticamente illimitati.
Svariati talenti francesi vestiranno casacche di squadre estere dalla prossima stagione: Lenny Martinez che dalla Groupama-FDJ andrà alla Bahrain-Victorious, Valentin Paret-Peintre (dalla Decathlon-AG2R alla Soudal-Quick Step), Axel Zingle (dalla Cofidis alla Visma-Lease a bike) Clément Champoussin (dalla Arkéa-B&B alla Astana). Ma anche altri giovani talenti non francesi lasceranno formazioni transalpine per altre squadre, come Laurence Pithie e Samuel Watson che lasceranno la Groupama-FdJ per la RedBull e la Ineos, rispettivamente.
Tutti corridori formati nelle strutture francesi le quali non vengono certo premiate per questo lavoro. Marc Madiot, Team Manager della Groupama, pare abbastanza realista e sconsolato: “Cosa facciamo se non facciamo formazione e se non ci interessiamo ai giovani per far funzionare la squadra? Cosa facciamo? Questi corridori li perdiamo presto ormai per una storia di mezzi e competizione. Sul mercato del ciclismo sono arrivati grandi partner statali e questo ha chiaramente creato inflazione, il che rende difficile trattenere i ciclisti. Riusciamo comunque a mantenerne alcuni. Avremmo voluto continuare, avremmo voluto, ma c’è il business del ciclismo che lo rende complicato. Tutto costa di più, tutto qui. Le squadre francesi, oggi, non sono più in grado di lottare con il vertice in termini di ingaggi. C’è poco da sognare”.
Gli fa eco il suo collega Emmanuel Hubert della Arkéa-B&B, il più piccolo budget tra le squadre francesi del WorldTour, secondo lui stesso: “Non è che tutto dipende dal fatto che non abbiamo il vincitore del Tour de France nelle nostre squadre. Non è che non siamo capaci. Magari non facciamo tutto bene, ma neanche all’estero fanno tutto bene. Hanno semplicemente un po’ più di soldi e quindi restano in partita. Non è che siamo più stupidi degli altri. L’unico tema è l’equazione finanziaria“.
Il punto non è solo una questione di budget infatti, ma la questione dei costi, in un ciclismo globalizzato, ma con specificità nazionali che non rendono la battaglia ad armi pari. Madiot sintetizza: “A noi tutto costa di più, tutto qui. Le squadre francesi, oggi, non sono più in grado di lottare con il vertice in termini di ingaggi. Paghiamo spese che gli altri non pagano, e questo rappresenta circa il 40% di differenza. Oggi, a livello internazionale non siamo più competitivi e non lo saremo a breve. Con i budget che abbiamo a disposizione se pagassimo il 40% in meno di oneri a libro paga saremmo già più competitivi“.
Stessa linea per Hubert: “Le spese sono sempre esistite. L’unica cosa è che i budget oggi sono diventati esponenzialmente più alti, folli. Noi invece non abbiamo i lavoratori autonomi, quindi quando un corridore vuole dieci siamo costretti a pensare a 15 perché ci costa una volta e mezza di più. Dal momento in cui creiamo valore sportivo, ovvero i Lenny Martinez, Kévin Vauquelin e Romain Grégoire, come facciamo a mantenerli quando gli offrono di più altrove?“.
Spiega bene la questione Cédric Vasseur, Team manager della Cofidis, reduce da una stagione pessima: “Quando un agente propone un corridore ad una squadra non tiene conto dell’impatto fiscale. Un corridore che sul mercato prende 300.000 euro all’anno all’EF, in Francia, a parità di stipendio ci costerà il 40% in più, e il corridore dovrà pagarsi i suoi contributi previdenziali. Ciò significa che prenderà meno. A parità di stipendio preferirebbe di gran lunga un contratto indipendente.”
“In Belgio che tu abbia Evenepoel o Duchmol (l’equivalente del “sig. Rossi” in francese -ndr-) paghi lo stesso. Il 40% (di contributi del datore di lavoro in Francia-ndr) su 50.000 euro l’anno non è una cifra enorme, ma su 3 milioni… La quota dei contributi del datore di lavoro sugli stipendi che superano il milione diventa un fattore limitante. Il timore è che nelle squadre francesi non arriveranno più i veri talenti perché dal punto di vista fiscale sono penalizzati. Inoltre, la maggior parte di questi corridori vive a Monaco, Andorra, San Marino, dove la tassazione è bassa. Si rivolgono naturalmente a un contratto indipendente” (non possibile per le squadre pro francesi -ndr-).
La questione è spiegata meglio da Stephane Heulot, Team manager francese della Lotto-Dstny: “Manca discernimento sia da parte della Federazione, ma anche da parte del mondo professionistico che non è mai stato collegato al mondo dilettantistico. Oggi stiamo creando uno schema iperprofessionalizzato, la Lega in particolare richiede che le squadre Conti siano professionalizzate quanto le squadre WT. Stiamo creando un gap con i giovani che non troveranno strutture successive alla categoria Junior nei prossimi tre anni, e stiamo abbandonando i doppi progetti (di scolarizzazione dei giovani da parte delle squadre -ndr-) i corridori smetteranno di studiare molto presto. Stiamo andando contro il muro. Le squadre DN1, DN2, DN3 (le divisioni élite francesi-ndr) organizzano le gare, cosa che non fanno i team di sviluppo, quindi non avremo né squadre né gare“.
E Hubert ancora: ““Questo modello non è più praticabile! In meno di cinque anni, il 60% delle squadre francesi sarà scomparso. Ciò che accade nel mondo amatoriale riguarderà molto rapidamente il mondo professionistico. Siamo colpiti a livello globale. Stiamo diventando sempre più poveri a partire dalla nostra base. Il mondo pro dovrebbe aiutare di più la base. Ma come possiamo fare di più quando veniamo strangolati?“.
Squadre francesi che si dovranno concentrare solo sulla formazione quindi, con squadre Devo e U19? Per alcuni si, ma la realtà è un po’ diversa, come spiega Madiot: “Il modello ha presto mostrato i suoi limiti, perché non ci protegge dai saccheggi. Il vivaio che avevamo tre anni fa dove portammo sette corridori Conti nel World Tour oggi non è più possibile. Perché vengono a prenderteli prima, e gli agenti ti ridono in faccia. Siamo alla saturazione, abbiamo il coltello alla gola […] Poi hai gli agenti che ti dicono che la tua squadra va bene solo per fare la formazione. In parole povere: toglietevi di mezzo!”
Soluzioni?
Per Cédric Vasseur: “….rendere il sistema equo. Imporre lo stesso funzionamento a tutte le squadre del World Tour. Tutte le squadre che oggi hanno contratti indipendenti dovrebbero avere la possibilità di offrire contratti di lavoro dipendente con copertura sociale, mentre non è vero il contrario“.
Per Hubert: “L’UCI dovrebbe dire: ormai siete tutti sotto il regime svizzero, o francese, o inglese, e basta. Ma è senza dubbio del tutto utopico“. Hubert vorrebbe anche l’istituzione di esenzioni tariffarie per le società che fornirebbero sponsorizzazione e finanziamenti alle squadre: “Torneremmo un po’ a una forma di equità rispetto ad altri e forse le aziende la penserebbero diversamente nei confronti dello sport. La gente ci parla di tetto salariale: è adorabile! ma chi rispetterà ancora le regole? I francesi, mentre altre squadre battono la bandiera di un paese, ma stabiliscono il loro quartier generale in un altro con una tassazione migliore”
Marc Madiot taglia corto: “Servono tanti soldi, punto. Ma se chiediamo ai nostri sponsor risorse aggiuntive per offrigli di meno questo è un problema. (Se ce li danno) sono coraggiosi“.
Per Hubert all’orizzonte non si profila niente di buono: “È tempo di pensare, di alzare il culo, davanti alle autorità, alle politica, agli sponsor, perché cosi il ciclismo francese morirà.
Problemi a cui è confrontato anche il ciclismo amatoriale e giovanile francese, come spiega Anthony Ravard, Team manager della formazione conti bretone CIC U Nantes Atlantique: “Possiamo vedere chiaramente che il ciclismo sta andando male. Ci sono sempre meno tesserati, i club stanno scomparendo, lo sport passa in secondo piano a livello comunitario, e soprattutto a livello dipartimentale, che ha altri vincoli e potrebbe aiutare nell’organizzazione delle competizioni ciclistiche. È chiaro che siamo in pericolo“.
Un problema evidente che riguarda l’attrattività del ciclismo per i giovani sui cui Ravard spende delle parole è quello della sicurezza: “Sono sempre più frequenti le cadute gravi o mortali, ma fortunatamente, in competizione restano rare. Ciò che mi spaventa di più è l’allenamento. Dobbiamo chiederci come possiamo garantire che i giovani possano allenarsi in sicurezza. Su circuiti chiusi? Oppure piste ciclabili, ma che purtroppo non sono sempre mantenute? Dobbiamo mettere le cose a posto perché ci sono sempre più veicoli ed è per questo che si verificano sempre più incidenti“.
Laconico Madiot sull’andazzo generale: “Oggi, se i tuoi genitori non hanno mezzi significativi, semplicemente non puoi andare in bicicletta. Se oggi avessi voluto fare il ciclista i miei genitori non avrebbero avuto i mezzi per comprarmi una bicicletta e pagare tutte le altre spese. Quando ho iniziato a correre io ad andare in bicicletta erano soprattutto i figli di contadini o di operai, ma oggigiorno è sempre meno così. Il ciclismo è diventato uno sport per ricchi, è uno sport costoso“.
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