David Lappartient, presidente dell’UCI, si è di nuovo espresso in merito allo stato delle cose sulla problematica del doping. In particolare Lappartient viene spesso incalzato sulla questione dopo la sua decisione di affidare i controlli ad un ente non-profit indipendente dall’UCI, l’International Testing Agency (ITA), recentemente fondato su suo impulso.
Già lo scorso settembre Lappartient si era espresso sulle attività dell’ITA e dei risultati raggiunti, ma nel frattempo si è assistito ad un’annata molto particolare nel 2021, in quanto dalla creazione del WorldTour è la prima stagione in cui non si è registrato nemmeno un caso di violazione antidoping. Al contempo sono aumentati sia i test in che fuori competizione rispetto tutte le stagioni precedenti.
L’ITA ha preso il posto della Cycling Anti-Doping Foundation (CADF) nel luglio 2020, e pertanto nel primo anno di vita dell’ITA i risultati sono molto positivi per il ciclismo in un senso o molto negativi nell’altro…
Lappartient difende la propria creatura: “L’ITA sta funzionando bene.Naturalmente, chiediamo loro di fornire un solido programma di test, che è la chiave per noi. Continueremo a farlo, ma in aggiunta a questo ci sono una serie di indagini in corso. Sono sempre attenti e guardano sempre a cosa può succedere. Qualsiasi informazione che possiamo offrire la condividiamo con loro”.
Al contempo indica alcune criticità, in primis le risorse: “In base alla mia esperienza credo che le risorse della WADA non siano all’altezza. Faccio parte del consiglio di amministrazione della WADA, quindi so che il budget non è sufficiente per questo“.
Nel complesso Lappartient però apre la porta alla possibilità che al momento i controlli nel ciclismo siano poco efficaci: “Voglio fidarmi dei risultati nel ciclismo, ma non posso essere così ingenuo da pensare che i test negativi siano la prova che non ci sia il doping. Questa era la scusa di Lance Armstrong all’epoca, diceva che i suoi campioni non erano mai positivi pertanto non era un imbroglione. Quindi quando qualcuno sta vincendo ci chiediamo sempre se ci si possa fidare del risultato o meno, e il compito dell’UCI è garantire che tu possa fidarti del risultato. Non posso fingere e garantire che le cose siano pulite al 100 percento. Posso solo garantire che ci metterò tutti i nostri soldi e le nostre risorse. Non sono io quello che sta in laboratorio, però se i test sono insufficienti allora è più un problema per la WADA e il laboratorio, e non per l’UCI stessa.”
Insomma, anche senza leggere troppo tra le righe si capisce che i test attuali potrebbero non essere sufficienti, come pure il passaporto biologico, cosa ammessa abbastanza candidamente da Lappartient: “[il passaporto biologico] ormai funziona più come metodo su come testare“, per poi ricordare come l’ultimo caso sollevato dal passaporto biologico risalga al 2014, con Roman Kreuziger, che venne sospeso, ma poi reintegrato dopo la vittoria in appello.
Insomma, i test ci sono, ma come indica Lappartient, il problema forse oggi è dei laboratori, che mancano degli strumenti adatti. E pertanto è il direttore generale dell’UCI, Amina Lanaya (prima donna a ricoprire la carica) che spiega quale sia la strategia dell’UCI e dell’ITA in questo contesto: “Quando sento dire che alcuni corridori sono preoccupati e che hanno l’impressione che siamo tornati agli anni della Festina… fa paura. È spaventoso. Vogliamo evitarlo. Abbiamo avvisato la WADA che abbiamo indicazioni che non stanno andando nella giusta direzione. Ma non vogliamo nemmeno fare nulla. Per me i test non sono più lo strumento principale nella lotta al doping. Intelligence e ricerca lo sono. Dobbiamo lavorare fianco a fianco con le autorità di polizia. E dare fiducia a chi potrebbe parlare e darci informazioni“.
Ed infatti sembra che la strategia da ormai un anno sia proprio quella dell’investigazione di stampo poliziesco, sulla falsariga dell’operazione Aderlass in Austria, tanto che l’ITA ha pure assunto un ex investigatore statunitense di alto profilo. Lanaya aggiunge: “Forse sono un po’ estrema nel dire questo, ma penso che dovremmo infiltrarci nel gruppo, infiltrarci in alcune squadre, pagare gli informatori… Resta da vedere se questo sia legalmente possibile, ma è l’unico modo per avere un effetto dissuasivo. Quando inizierà ad emergere qualcosa tra le persone che in precedenza erano ritenute intoccabili, “Radio Corsa” funzionerà ancora più velocemente nella direzione opposta. Dobbiamo dare uno scossone, in modo che gli imbroglioni sentano che siamo lì, continuamente col fiato sul collo, e non solo con tre o cinque controlli all’anno”.
Proposta tanto estrema da essere stata bollata come semplice “provocazione” da Gianni Bugno, presidente dell’associazione corridori, che si è lamentato che questa strategia dell’UCI/ITA non sia stata concordata: “una persona non può dire quello che vuole, deve essere concordato tra le parti. Ne riparleremo e forse chiederemo dei chiarimenti. Si tratta di atleti non di criminali“.
Ed in effetti la retorica del massimo organismo del mondo del ciclismo sembra dare indicazioni che la fiducia nell’attuale situazione non sia certo elevata. Anzi, sembra proprio indicare che la dirigenza sia preoccupata che un ennesimo scandalo gli esploda in faccia come nel passato, e stia tentando di mettere le mani avanti per non venire accusata poi di aver fatto poco e/o male.
Se siano preoccupazioni fondate o semplice cercare di cautelarsi si vedrà.
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