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[Libro] Re-Cyclists. 200 Years on Two Wheels

Michael Hutchinson, già autore di The Hour e Faster, è uno di quei rari personaggi che hanno saputo ritagliarsi un posto nel mondo del ciclismo influenzandolo positivamente. Dottorato in legge a Cambridge, un tentativo non riuscito di record dell’ora, specialista delle prove contro il tempo in patria di cui è diventato divulgatore e specialista a 360°, collaboratore del settimanale Cycling Magazine. Arrivato tardi nel mondo del ciclismo se ne è lasciato risucchiare fino a diventare un professionista (nei termini britannici) ed un esperto.

L’ultima sua fatica è Re:Cyclists. 200 Years on Two Wheels (Bloomsbury). Un libro con cui sembra pagare un debito verso lo sport di cui vive, ripercorrendone la storia proprio nell’anno in cui la bicicletta spegne 200 candeline. Una storia lunghissima che è qualcosa in cui tutti i ciclisti vivono, perché come nessun altro sport, “essere ciclista” è far parte innanzitutto di una storia: “La domenica mattina la gente va in bici. A volte lo fa assieme ad altre persone. Uno o due arrivano ad un punto dove si incontrano: un incrocio, una fermata dell’autobus, un campanile o un monumento. Niente di nuovo, succede dal 1870 ed è sempre stato esattamente lo stesso.”

Non la storia del ciclismo professionistico e delle gare, ma quella dei mezzi e delle persone che li hanno inventati e perfezionati. Ai racconti delle prime, incredibili, gare come la prima in assoluto di cui ci sia traccia:  1200mt  al Parc de Saint-Cloud di Parigi,il 31 Maggio 1868 (vinta da James Moore, un inglese residente a Parigi).

Una storia “informata” su testi e pubblicazioni, non sui mille aneddoti e sentito dire che si ripetono come col telefono senza fili tipici del mondo del ciclismo, e che spesso fanno diventare emerite bufale realtà conclamate (la bici inventata da Leonardo da Vinci…).

La storia delle persone e dei mezzi ma anche la storia del commercio delle biciclette, e dell’impatto che queste hanno e continuano ad avere sulla società, tanto da averla trasformata a più riprese. Chiaramente l’occhio di Hutchinson è rivolto principalmente in patria. Occhio britannico tipicamente critico verso l’isolazionismo patrio, ma di cui è anche intimamente compiaciuto. L’excursus quindi si sofferma su figure misconosciute aldilà dell’English Channel (la Manica, per il resto del mondo), come Ion Keith-Falconer, ma che fanno capire bene molti meccanismi tipici della società britannica (inglese, perlopiù) fatta di classi sociali rigide, tradizionalismo maniacale e decoro pubblico, ma anche il gusto di infrangerle, come ha fatto la prima donna a correre in bicicletta: Pearl Hillas nel 1888 a Dublino.

Hutchinson da cosi una convincente spiegazione a posteriori del perché uno dei paesi che hanno fatto nascere la bicicletta abbia collezionato 3 bronzi ed un argento in 112 anni di Olimpiadi, sino all’oro di Nicole Cooke nel 2008, per non parlare del primo Tour de France vinto. A partire da un incidente avvenuto il 21 Luglio 1894 lungo la Great North Road (ora l’autostrada A1) che porterà ad una legge che vieterà le gare “di gruppo” su strade aperte. Da allora la tradizione amatoriale (il concetto di amatoriale contro professionistico è stata un’altra architrave della cultura britannica) imporrà solo le cronometro individuali, impedendo il formarsi di una qualunque cultura di “gara” come conosciuta sul continente, e ben esemplificata dalle sonore batoste che i temerari britannici che osavano tentare fortuna in Europa prendevano.

La storia della bicicletta si intreccia inevitabilmente con quella delle automobili, sia per il difficile rapporto sulle strade, sia per le questioni economiche legate alla diffusione delle une o delle altre: tra il 1919 ed il 1926 le auto possedute in UK passarono da 70.000 ad un milione. Nel 1934 erano diventate 2 milioni, con 7343 morti registrati in quel solo anno in incidenti (1700 nel 2017), di cui 1536 ciclisti (la gran parte però erano pedoni).

Il tutto è raccontato con competenza e citazioni di fonti da Hutchinson, che resta sempre molto godibile grazie ad una buona dose di umorismo british: “la prima gara di gruppo fu organizzata nel circuito automobilistico di Brooklands nel 1933 […] ci sono state cadute, attacchi a caso, continui attacchi verso compagni, ancora cadute, tecnica di guida pessima, enormi sforzi inutili in testa la gruppo…le tattiche non erano tanto un mistero quanto irrilevanti, e se qualcuno avesse suggerito di cooperare per andare a chiudere una fuga avrebbe avuto la stessa reazione che se qualcuno avesse chiesto di cooperare per prendere la sifilide. Era la stessa confusione che avrebbero fatto dei ragazzini sotto i dieci anni ognuno dei quali convinto di essere Mark Cavendish“.

Una lettura consigliata, per tutti quelli che: “trovano un cosi grande piacere e scopo in qualcosa di cosi semplice” (andare in bicicletta).

 

 

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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