In Italia è una figura pressoché sconosciuta, vista anche la scarsa diffusione del cicloturismo, ma Paul de Vivie è una figura notevole nella storia del ciclismo per vari motivi.
Innanzitutto per l’essere stato uno dei primi esponenti di una “cultura” ciclistica, in un’epoca in cui la bici era semplicemente un mezzo per spostarsi. E quindi per aver contribuito all’evoluzione tecnica del mezzo ed alla sua pratica.
Paul de Vivie nasce in Francia a Pernes-les-Fontaines, nel dipartimento della Vaucluse, in Provenza, il 29 Aprile 1853.
Figlio di un nobile della Guascogna, dopo gli studi liceali comincio’ a lavorare come intermediario nell’industria della seta.
Questo lavoro lo porto’ spesso a viaggiare in Inghilterra, dove, all’epoca l’industria ciclistica era molto più sviluppata e votata alla qualità che in Francia.
Cio’ gli servi’ da stimolo per creare uno dei primi “club” di ciclismo francesi: il Club des cyclistes stéphanois di Saint-Etienne. Una delle città più industriali della Francia dell’epoca e quindi fornite di meccanici ed ingegneri.
Il primo articolo dello statuto recitava che il club : “si offriva di dare la possibilità agli aderenti di fare in compagnia di altri amatori delle gradevoli escursioni, corse e viaggi“. In realtà il concetto di amatore dell’epoca era molto diverso da quello odierno, ed intendeva, sul modello inglese, una concezione piuttosto elitista, per cui ad esempio erano esclusi gli operai. D’altronde il costo di una bicicletta all’epoca segnava già un netto spartiacque sociale.
Il costo di una bici da corsa in quegli anni (fine anni ’70 dell’ottocento) era di circa 500 franchi. Il salario medio giornaliero di un operaio era di 3,30 franchi.
In seguito, sempre stimolato dall’esempio inglese, fu uno dei più attivi fondatori del Touring Club de France (1889). Copiando il modello del Cyclist Touring Club britannico. la più antica organizzazione turistica del mondo (fondato nel 1878).
De Vivie, sempre più appassionato pedalatore di GrandBi (le antiche bici col ruotone) ed intuendo che la progressiva industrializzazione avrebbe reso più abbordabile l’aquisto delle biciclette si lancio’ nella loro produzione, fondando nel 1882 la “manifattura di cicli” a Saint-Etienne dal nome la “Gauloise“. Ed in seguito un’altra denominata “Agence Générale Vélocipédique” (AGV). All’inizio importando e rivendendo “Rovers” (il nome bicyclette si imporrà più avanti) da Coventry in Inghilterra e poi costruendo la prima bicyclette francese con la marca la Gauloise (nella foto 2)
Era finita l’epoca delle bici coi ruotoni anteriori ed iniziata quella delle “Safeties”, le bici con le ruote di uguale diametro. Ovvero l’epoca d’oro della bicicletta.
Paul de Vivie, a supporto della propria attività di industriale si creo’ nel 1887 pure una pubblicazione, Le Cycliste forézien che diventerà un anno dopo, Le Cycliste. Una delle più influenti pubblicazioni ciclistiche della storia.
In questo giornale Paul de Vivie prese a scrivere con lo pseudonimo con cui verrà identificato fino ad oggi: Vélocio. Che dovrebbe significare “colui che va veloce in bici”.
(probabilmente si diede questo pseudonimo per non destare sospetti di interesse, visto che le sue fabbriche di bici erano i maggiori inserzionisti…anche se altri redattori si erano dati pseudonimi del genere, come “Fantasio”…)
Con questo pseudonimo comincio’ a diventare una sorta di profeta di molti argomenti “caldi” dell’epoca, tra cui il feroce dibattito sull’utilizzazione del cambio, animato in particolare proprio da Vélocio come sostenitore e dall’ideatore del Tour de France Henry Desgrange come detrattore (l’utilizzo del cambio fu proibito al Tour de France fino al 1937).
E poi con uno storico articolo del 1889 de Le Cycliste con cui conio’ un termine sconosciuto, ma dal futuro radioso: cicloturismo (cyclotourisme).
Vélocio fu un sostenitore accanito di ogni novità tecnica legata alla bicicletta.
Dal 1905 al 1924 pedalava regolarmente nei giorni di pioggia (quindi fangosi) una bicicletta Durieu Touricyclette equipaggiata con una trasmissione cardanica al posto di quella a catena.
Assieme a degli amici appassionati creo’ una bicicletta con 168 velocità (come provocazione).
Fu uno dei primi ad usare estensivamente le trasmissioni a doppia catena oltre a proporre quella con 3 catene.
Fu uno dei primi (1897) ad usare una specie di falsamaglia che gli permetteva di aprire e spostare manualmente la catena da un pignone all’altro. Perlomeno fino all’entusiastica adozione della ruota libera (1900).
E poi un primo rudimentale cambio a bacchetta (il Prével d’Arley del 1908). Fino al quasi definitivo Chemineau che fu l’ultimo cambio che poté pedalare (1930).
A questo fervore pro-tecnico che aiuto’ non poco la causa dei cambi sulle bici si aggiunse uno stile di vita improntato alla semplicità e ad un certo rigore. Le foto dell’epoca lo ritraggono sempre vestito con abiti sartoriali in lana, con calzoni in lana al ginocchio e calzettoni di lana grossa a coprire piedi calzati in sandali in stile da frate. Cappello e camicia abbottonata fino al collo anche per la più intrepida ascensione a qualche passo (lo stile Rapha insomma 🙂 ) e baffoni al vento (altro che Tom Ritchey!).
Convinto vegetariano si adopero’ molto per dare delle regole di “igiene” da legare alla pratica della bicicletta. Cosa non banale in uno sport in cui anche i professionisti fino agli anni ’60 (del ‘900) faranno largo consumo di alcolici anche in corsa.
In particolare per la pratica del cicloturismo ovviamente, che quindi necessitava di lunghe permanenze in sella (Vélocio era solito fare tappe anche di 40h filate). Regole che alla fine diventeranno, tramite le pagine del suo Le Cycliste, i 7 comandamenti del cicloturismo:
1-Soste brevi e poco frequenti in modo da non perdere concentrazione
2-Pasti leggeri e frequenti: mangiare prima di avere fame e bere prima di avere sete
3-Non andare mai aldilà delle proprie possibilità con fatiche che portino a mancanza di fame e sonno
4-Coprirsi prima di avere freddo e scoprirsi prima di avere caldo. Non aver paura di esporre la pelle al sole, all’aria e all’acqua
5-Eliminare, almeno in corsa, tabacco, vino e carne.
6-Non forzare mai, restare nelle proprie possibilità, soprattutto nelle prime ore in cui si è tentati di spendere troppo perchè pieni di forze.
7-Non pedalare mai per amor proprio
Altre sue frasi aiutano meglio a focalizzare il personaggio:
“Da quando la malattia della leggerezza a oltranza fa proseliti nell’industria delle biciclette ci si puo’ lamentare, ed a ragione, di cose che altrimenti non ci darebbero che raramente motivo di scontento. La sella per esempio è diventata intollerabile da quando si trova ridicolo caricare una bicicletta da 10kg di una sella da 1,5kg quando ci vengono offerte selle da 300, 500, 800 grammi che sono semplicemente degli strumenti di tortura, tra i quali, fatte salve il palo che deve essere un po’ più crudele, solo i supplizi cinesi ci sembrano altrettanto spaventosi. Ci propongono tuttavia da ogni parte delle selle igieniche, selle confortevoli, delle selle che si adatteranno perfettamente alle nostri parti periferiche e che sembrano essere annessi naturali al punto che una volta tirate fuori dalla scatola dovremmo far fatica a separarcene. Abbiamo cosi’ la sella Sirodot, la sella Burgess, la Christy, la Jéröme Duplex, la Peakless e quella senza becco e poi la sella Papillon che ci sostiene con le sue ali spiegate e chissà cos’altro ancora! Malgrado tutte queste cosiddette meraviglie, il ciclista del 1895 ha male al c…” (1895)
“La bicicletta non è solamente un mezzo di locomozione ; diventa un mezzo di emancipazione, un’arma di liberazione. Libera lo spirito ed il corpo dalle inquietudini morali, dalle infermità fisiche che l’esistenza moderna, tutta ostentazione, convenzione ed ipocrisia; dove apparire è tutto ed essere è niente, suscita sviluppa e mantiene con grande detrimento per la salute” (1903)
Paul de Vivie, detto Vélocio, mori’ il 4 Marzo 1930 a Saint-Etienne, a causa di una frattura del cranio subita dopo essere stato investito in sella alla sua bici da un tram all’uscita di casa.
Oggi, per chi vuole omaggiarne la memoria è possibile visitare un monumento a lui dedicato in cima alla salita del Col de la République, fuori Saint-Etienne.
O partecipando alla Flêche Vélocio, randonnée a squadre di 24h con percorso libero in cui bisogna percorrere il massimo n° di km in 24h. Organizzata annualmente dall’Audax Club Parisien.
Bibliografia consigliata: Harry R. (2005), Paul de Vivie (Vélocio): l’évolution du cycle et le cyclotourisme, Musée del’art et de l’industrie de SaintEtienne
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