Le ultime sei edizioni del Tour de France sono state vinte dal Team Sky, diventato l’anno scorso Team Ineos. Un dominio cominciato nel 2012 ed interrotto solo nel 2014 da Vincenzo Nibali in maglia Astana. Il Team Sky/Ineos ha cosi eguagliato il numero di vittorie consecutive della Banesto, cinque, con Miguel Indurain tra il 1991 ed il 1995, (restano dietro solo le sette della UsPostal/Discovery Channel tra il 1999 ed il 2005 -barrate nell’albo d’oro tuttavia-). Dietro queste due squadre, con quattro vittorie consecutive abbiamo solo tre squadre: la Renault-Elf di Hinault e Fignon (1981-1984), la Peugeot-Wolber (1905-1908), la Alcyon-Dunlop a due riprese (1909-1912 e 1927-1930 -con 8 vittorie totali resta ancora la primatista assoluta-) e la Automoto-Hutchinson (1923-1926).
Questo per dire che i domini di alcune squadre sono cosa che si è sempre verificata nel ciclismo, anzi, più che non il contrario. In particolare qui prenderemo in considerazione la dominatrice degli anni ’20, la Automoto. Squadra francese che prendeva il nome dall’omonimo produttore di biciclette francese ed anche da quello, sempre francese, di pneumatici.
Da notare che i Tour de France 1919-1921 furono vinti da corridori della La Sportive, che però era un consorzio di squadre, composto da tutte le più note aziende ciclistiche dell’epoca (Alcyon, Armor, Automoto, Clément, La Française, Gladiator, Griffon, Hurtu, Labor, Liberator, Peugeot e Thomann) che però erano uscite malconce, o proprio mezze distrutte, dalla prima guerra mondiale, e non potevano permettersi singolarmente di avere una squadra ciclistica.
La Automoto vinse il Tour de France 1923 con Henri Pellissier (e piazzando 2° Ottavio Bottecchia), 1924 con Bottecchia (3° Lucien Buysse). Ancora doppietta nel 1925 con Bottecchia e Buysse, e 1926 sempre con Buysse.
La Automoto azienda fu creata nel 1889 da 4 soci: Montet Chavanet, Claudius Gros, Pierre Lapertot e Messieur Pichard, i quali fondarono la “Société de Constructions Mécaniques de Cycles et Automobiles.” a Saint Étienne, la capitale francese dell’industria all’epoca e della bicicletta in Europa, assieme a Coventry, in UK. Questa azienda produceva telai e componenti per automobili, moto, macchine da cucire e biciclette di ogni tipo.
Con l’introduzione delle “safety bicycles”, le bici con entrambe le ruote della stessa dimensione, scoppiò il “boom” della bici, sancendo l’inizio dell’epoca d’oro della bicicletta. Sull’onda di questo successo praticamente tutte le aziende metallurgiche si misero a produrre qualcosa per il ciclismo.
Nel 1898 Gros, Pichard e Goudefer registrarono il marchio Automoto. E nel 1910 crearono la “Cycles Automoto”, azienda facente parte del gruppo, ma dedicata solo al ciclismo. Il simbolo scelto per il marchio fu il trifoglio, e da subito istituirono una squadra ciclistica, che nel 1910 contava 1 corridore: il francese Constant Niedergang.
Le biciclette Automoto, pur essendo costruite industrialmente, erano considerate di ottima qualità, costruite con cura e ottime finiture. Tra il 1910 e lo scoppio della grande guerra però tutti i più forti corridori dell’epoca correvano per la Peugeot, che in quegli anni fece man bassa di vittorie e piazzamenti, dominando la scena.
La Automoto fu la culla di alcuni giovani corridori come François Faber e Lucien Petit-Breton, ma questi cominciarono a vincere solo dopo essere passati ad altre squadre. Le prime vittorie importanti la Automoto le ebbe grazie agli italiani, nel 1914 infatti furono Costante Girardengo con la Milano-Torino, il titolo nazionale ed una tappa al Giro d’Italia e Angelo Gremo con un’altra tappa al Giro a fornire le prime vittorie rilevanti.
Poi la prima guerra mondiale bloccò tutto, produzione (almeno quella civile, la Automoto si convertì a fare munizioni) e gare. Ma dopo la grande guerra la Automoto sarebbe diventata la squadra più vincente, almeno al Tour de France.
Nel 1922 vennero messi sotto contratto due fratelli Pellissier, Henri e Francis, Honoré Barthélemy, Eugène Christophe, Paul Deman e l’italiano Federico Gay. Fu proprio l’italiano a regalare la prima vittoria di tappa al Tour, mentre Henri Pellissier vinse la Paris-Tours e la Paris-Nancy.
Fu il 1923 però a proiettare la Automoto nell’olimpo, con 7 vittorie di tappa al Tour de France (su 15 totali) con H. Pellissier, Bottecchia, Buysse e Robert Jacquinot, il primo e secondo posto, e la classifica scalatori, sempre con H. Pellissier.
Nel 1924 e 1925 la doppietta di Bottecchia. Oltre alla Vuelta al Pays Vasco e la Bordeaux-Paris di H. Pellisier. Nel 1926 la vittoria al Tour con 9 vittorie di tappa (su 17 totali) con ben 5 corridori diversi, tutti belgi, infatti l’uscita dei fratelli Pellissier dette una virata verso i corridori belgi. E fu proprio il belga George Ronsse a regalare alla Automoto nel 1927 due classiche di prestigio: la Bordeaux-Paris e la Paris-Roubaix.
La morte di Bottecchia, Buysse ormai sul finire della carriera e un ricambio di corridori non di grande qualità decretò la fine del periodo d’oro della Automoto dal 1929. E questo coincise anche con la seconda fase di dominio della Alcyon.
In tutto questo periodo la Automoto aveva imposto nell’immaginario collettivo un colore, il viola. Le maglie e le bici della Automoto erano infatti di un distintivo viola acceso. Fu con questi colori che Bottecchia entrò nella leggenda del Tour, ma le foto in bianco e nero dell’epoca non resero l’impatto estetico come avrebbero fatto anni dopo altri colori, su tutti il celeste Bianchi.
La Automoto fu proprio anche un’azienda pioniere nella cura dell’immagine. Le pubblicità Automoto dell’epoca ebbero grande impatto visivo. Le bici Automoto poi erano molto distinguibili, in particolare per il trifoglio intagliato nelle congiunzioni sul tubo sterzo e per l’inconfondibile testa delle forcelle, con sempre i trifogli laterali.
Anche tecnicamente la Automoto fu all’avanguardia, in particolare grazie ad uno dei suoi fondatori, Claudius Gros, il quale per 25 anni ebbe come unica fissazione il miglioramento dei mozzi. In particolare fu sua l’intuizione di costruire i primi corpi dei mozzi per imbutitura, cioè deformando una lamiera di acciaio con una pressa per ottenere la forma desiderata. Fino ad allora i corpi dei mozzi erano realizzati fresando una barra piena, con il conseguente spreco enorme di materiale e relativi costi. Gros depositerà vari brevetti a suo nome tra il 1902 ed il 1907, incentrati sulla produzione in lamiera di vari componenti (pedali, ruote libere, etc.).
Chiaramente i successi sportivi spinsero le vendite: la produzione Automoto passerà da circa 25.000 bici l’anno nel 1922 al record di 66.000 bici nel 1926 (incredibilmente il numero di operai impiegati variò da poco più di 300 a circa 400 secondo i dati della camera di commercio).*
L’Automoto ebbe sempre fama come produttore di bici di alta gamma, con soluzioni particolarmente curate. Oltre all’esperienza dei propri fondatori, tutti formati all’istituto di metallurgia di St. Etienne, specializzato in armamenti, l’azienda poté contare anche sugli stimoli di un corridore come Henri Pellissier, che fu uno dei primissimi a richiedere soluzioni “speciali”, in particolare per ridurre il peso della bicicletta, come tubolari più leggeri o ruote con meno raggi.
Allo stesso tempo vi furono varie cause al rapido declino stesso dell’azienda negli anni ’30, come l’avvento dell’autarchia fascista in Italia, che tagliò fuori le aziende francesi dal mercato italiano, duro colpo per un’azienda che contava su Bottecchia come uno dei propri migliori corridori. Sino al rapido sviluppo dell’industria automobilistica e motociclistica, che cominciarono ad essere appetibili per fasce sempre più ampie della popolazione. La Automoto fu una delle poche aziende francesi ad avere buoni risultati nell’esportazione, in particolare in Sud-America, grazie ad alcune azzeccate sponsorizzazioni di corridori messicani. Ma la crisi del 1929 era dietro l’angolo.
Già nel 1930 la Automoto fece una parziale fusione con la Peugeot, producendo parte dei loro motocicli. Poi nel 1959 l’acquisizione totale da parte della Indénor, una sussidiaria della Peugeot che fino ad allora aveva sempre prodotto i motori Diesel della casa (iniziando nel 1928 con copie su licenza dei tedeschi Junkers), che decretò la fine del marchio Automoto.
*L’industrie du cycle à Saint-Etienne, M. Devun, Revue de Géographie Alpine ,1947
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