AA226361 cucina 167 237 300 1967 2802 RGB

Maglie Mitiche: Salvarani

Una maglia che ancora oggi è un’icona del ciclismo è quella della squadra Salvarani, attiva tra il 1963 ed il 1972.

Tanto iconica da essere utilizzata persino come logo su maglie…

La Salvarani prese il nome dall’omonima azienda sponsor, produttore di cucine componibili di Baganzola in Emilia Romagna. La squadra nacque in un momento di forte espansione dell’azienda che la portò a fondare un gruppo sportivo attivo in diversi sport (calcio, basket, pallavolo, ciclismo). Per inserirsi nel mondo del ciclismo rilevò la struttura di una squadra emiliana che aveva appena perso lo sponsor per difficoltà finanziarie: la Ghigi, la quale prendeva il nome dall’omonimo pastificio come operazione di marketing in grande stile e dispendio di mezzi: uno spot dell’epoca recitava: “Da Gigi un consiglio nostrano: pasta Ghigi Morciano!“. Per cominciare si avvalsero della collaborazione nientemeno che di Fausto Coppi, tanto che all’inizio la squadra prese il nome di Ghigi-Coppi, per poi restare solo Ghigi per via del fatto che Coppi già sponsorizzava la Carpano-Coppi, e la doppia sponsorizzazione era vietata (norma ancora in auge). Parte di questa operazione di immagine erano anche le lussuose Alfa Romeo 1900 scelte come ammiraglie.

Dalla Ghigi la Salvarani prese quindi il direttore sportivo, Luciano Pezzi, un partigiano emiliano che corse da professionista vincendo anche una tappa al Tour de France 1955, ma che poi farà una lunghissima carriera in ammiraglia cominciando proprio dalla Ghigi nel 1960 per terminarla nel 1998 alla Mercatone Uno.

Con Pezzi arrivarono alla Salvarani i pezzi pregiati: Arnaldo Pambianco (vincitore del Giro d’Italia 1961), Diego Ronchini (campione italiano 1959) e Livio Trapè (campione olimpico nella cronosquadre a Roma 1960). Dopo la prima stagione si aggiunsero nel 1964 tra gli altri: Ercole Baldini, Vito Taccone e Vittorio Adorni.

Baldini, vincitore del Giro d’Italia 1958, anno in cui conquistò anche il titolo mondiale a Reims, era all’ultimo anno di professionismo, ma in quell’anno arrivò secondo al Trofeo Baracchi in coppia con Adorni, il quale era l’astro nascente del ciclismo italiano.

Adorni

Adorni vinse quell’anno il giro di Sardegna, ma la stagione successiva, il 1965, si rivelò come campione vincendo prima il Romandia e poi il Giro d’italia (con 3 vittorie di tappa), davanti Italo Zilioli ed un giovanissimo Felice Gimondi al debutto da professionista.

Ed è proprio con Gimondi che la maglia Salvarani diventò l’icona che è tutt’ora. Nel luglio successivo Gimondi aveva l’incarico di gregario di Adorni al Tour de France, in cui debuttava, ma Adorni si ritirò per problemi fisici e fu il via libera per il bergamasco che vinse 3 tappe (due cronometro individuali) e vinse il Tour davanti Raymond Poulidor e Gianni Motta (Molteni, ma dal 1970 alla Salvarani). Il 5° italiano a vincere il Tour de France. L’ultimo a farlo era stato Gastone Nencini.

In seguito Gimondi portò la maglia Salvarani sul gradino più alto dei podi di (solo per citare i più importanti) Paris-Roubaix, Giro di Lombardia, Vuelta España 1968, Chrono des Nations, Romandia, Giro d’Italia 1969.

A quel punto la Salvarani però aveva inevitabilmente preso una connotazione meno romagnola e più bergamasca grazie a Gimondi. Il fornitore ufficiale di bici della Salvarani era il marchio Chiorda (ma le bici della squadra erano già costruite dal reparto corse Bianchi), di proprietà di Angelo Trapletti un industriale di Grone (Bg), che era entrato nel mondo del ciclismo rilevando prima la Chiorda (sede a Vigano San Martino accanto a Grone) e poi acquisendo la Bianchi (sede a Treviglio, sempre nella bergamasca) rilanciandola nel mondo del professionismo nel 1973 dopo 6 anni di assenza, con una squadra costruita attorno a Gimondi con direttori sportivi Adorni e Giancarlo Ferretti, ex corridore Salvarani. Nella Bianchi confluì anche il meccanico della Salvarani, Piero Piazzalunga, di Albino, un taciturno bergamasco amico di Gimondi.

Alla chiusura della Salvarani nel 1972 il palmares era assoluto (3 Giri, 1 Tour, 1 Vuelta, 1 Milano-Sanremo nel 1968 con Rudy Altig, 1 Lombardia, 1 Roubaix, 1 Fiandre nel 1967 con Dino Zandegú), ma evidentemente aveva sofferto della concorrenza all’epoca di tale Eddy Merckx, il quale, come noto, fece autentica razzia di vittorie nella propria carriera, lasciando poco agli altri. Ma proprio per aver spesso perso contro il migliore le vittorie della Salvarani, e di Gimondi in particolare, valgono per la qualità.

Un qualità che ne ha decretato il mito.

 

 

Articolo precedente

Alaphilippe premiato col Vélo d’or. I programmi di Bernal

Articolo successivo

Due cicliste master positive

Gli ultimi articoli in Storie