Tra i vari primati sociali del ciclismo si può annoverare il fatto dell’avere laureato uno dei primi campioni del mondo di colore della storia (o meglio, il secondo, dopo il boxeur canadese George Dixon): Marshall “Major” Taylor, il quale vinse l’oro allo sprint di un miglio (1,6km) nei campionati mondiali su pista di Montreal del 1899.
Taylor ricevette la prima bici a 12 anni e divenne presto cosi’ abile in equilibrismi vari che Tom Hay, proprietario di un negozio di Chicago lo pagava 6 dollari a settimana, più una bici da 35 dollari gratis, per farlo esibire fuori dal negozio. Marshall si esibiva con indosso una divisa da soldato, da cui il soprannome “Major”.
Nel 1891, a 13 anni, vinse la prima gara amatoriale su pista ad Indianapolis, mentre due anni dopo stabilì il record dello sprint sul miglio prima di essere espulso dalla gara per via del suo colore.
Si spostò quindi in un’altra zona più tollerante degli States, nel Massachusetts, per evitare le minacce dei suoi competitori bianchi.
A 18 anni passò professionista e cominciò a vincere negli Stati Uniti ed in Europa, in particolare nelle 6 giorni. Dal 1898 Major Taylor detenne sette record mondiali: il quarto di miglio (0,4km), un terzo di miglio (0,53km), mezzo miglio (0,6km), due terzi di miglio (1,06km), miglio (1,6km) e due miglia (3,2km). Il suo record del miglio da fermo era di 1’41” e rimase imbattuto per 28 anni. Un tempo che sarebbe competitivo anche oggi con bici moderne.
Poi la vittoria ai mondiali di Montreal dove mise dietro il connazionale Tom Butler e Gaston Courbe d’Outrelon (Francia). Concluse il 1899 con il record mondiale del miglio dietro motore, in 1’19” dietro un tandem alla velocità di 73,32 km/h.
Nel 1902 passò la stagione in Europa, dove partecipò a 57 gare, vincendone 40. Negli USA invece fu bandito dal correre in numerosi stati per via del suo colore, principalmente al Sud.
Nella sua autobiografia descrisse come molti suoi avversari bianchi gli gettassero addosso acqua ghiacciata in corsa, il pubblico gli lanciasse chiodi in pista al suo passaggio per farlo forare, e persino di un corridore che lo strozzò a mani nude fino a farlo svenire per essere punito poi con solo una multa di 50 dollari.
Si ritirò a 32 anni nel 1910, “stanco del razzismo”, consigliando ai giovani afro-americani di perseguire il successo cercando di esprimere il proprio talento personale, che per lui era stato nel ciclismo, ma che non era uno sport che consigliava in generale (all’epoca era diffuso l’abuso di droghe -non esisteva ancora il termine “dopanti”- varie, come la nitroglicerina, che portava i corridori ad allucinazioni in corsa ed incidenti, persino mortali).
Morto in povertà nel 1932, a 53 anni, fu inumato in una fossa comune in un cimitero di Chicago. Nel 1948 un gruppo di ciclisti ex-professionisti, grazie ad una donazione della Schwinn Bicycles, lo fece riesumare e venne sepolto nel Mount Glenwood Cemetery di Thornton, Illinois.
Oggi un suo monumento è visibile davanti la biblioteca pubblica di Worcester, Illinois, ed il velodromo di Indianapolis porta il suo nome.
“Life is too short for any man to hold bitterness in his heart“—Marshall Taylor
Il sito dell’UCI gli ha dedicato una pagina di tributo.