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Michael Rasmussen ed “il fardello”

Dire la verità rende liberi” è la formula molto retorica con cui Oprah Winfrey ha concluso la sua intervista/confessione a Lance Armstrong.

Che Lance la verità l’abbia detta e tutta è, come si è visto poi, falso, ma la parte di chi si vuole alleviare del “fardello” è stata recitata.

Tyler Hamilton, nel suo libro, dice lo stesso:  liberarsi del fardello di bugie raccontate per una vita lo ha fatto rinascere. Perché come racconta lui: quando una volta un ciclista incrociato per strada lo guardò storto lo inseguì (su una bici da passeggio) per dirgli “sono un ex-dopato, ma non per forza una cattiva persona”.

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Ora, la volta di liberarsi del fardello tocca a Michael Rasmussen, ex ciclista danese, soprannominato “The Chicken”, il pollo. Noto per essere ottimo scalatore, combattivo (vincerà il relativo premio al Tour per 2 volte) e “grammomaniaco”.

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Rasmussen, già campione del mondo di Mtb nel 1999, si era distinto nel professionismo su strada in seguito a delle vittorie di tappa nei grandi giri (una alla Vuelta e due al Tour) e per aver vinto due volte la maglia a pois al TdF.

Nel 2007 invece le cose cambiano, e Rasmussen non solo vince due tappe al Tour, ma veste la maglia gialla, con 3’10” di vantaggio su Alberto Contador. Il Tour è praticamente suo con 4 tappe mancanti alla fine.

Ma ecco il colpo di scena: Davide Cassani, cronista RAI, durante la telecronaca racconta di quando, a Giugno, aveva incontrato Rasmussen che si allenava sulle Dolomiti sotto la pioggia. Storia di ordinaria abnegazione ciclistica, se non fosse che Rasmussen non avrebbe dovuto essere sulle Dolomiti a pedalare, ma in Messico, secondo l’agenda delle sue attività depositata all’UCI. Rasmussen nega, poi parla di “errore amministrativo”, ma alla fine ammette e si vede estromesso dal Tour, in maglia gialla.

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La tempistica di questa estromissione porta con se molti dubbi e le speculazioni piovono. In primis quella di Patrice Leclerc, presidente dell’ASO, organizzatore del Tour, che parla di mossa per danneggiare il Tour de France, che in quei tempi vedeva contrapposta proprio l’ASO con l’UCI, che si disputavano l’organizzazione del ProTour.

Pat McQuaid, presidente UCI, reagì a queste accuse definendo l’ASO “paranoica” riguardo l’UCI, affermando che la sospensione di Rasmussen era stata decisa dalla federazione Danese senza avvertire l’UCI, per cui si aspettava delle scuse per le ingiurie che Christian Proudhomme dell’ASO (ora direttore) gli avrebbe fatto telefonicamente. Particolarmente inaccettabili “dopo tutti gli sforzi per combattere il doping fatti dall’UCI recentemente“.

Quali siano stati gli sforzi fatti dall’UCI in materia di antidoping oggi è persino oggetto di commissioni indipendenti (sciolte a tempo record) create dall’UCI stessa e su cui i “fardelli” di gente come Armstrong, Hamilton ed il dossier USADA hanno gettato nuova luce.

Michael Rasmussen intanto, il 31 Gennaio 2013 si è liberato del proprio, ammettendo che per tutta la sua carriera ha assunto “EPO, cortisone, insulina, Gh e fatto trasfusioni sanguigne“.

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Niente di nuovo? Non proprio, visto che l’agenzia olandese antidoping, nella persona di Herman Ram, ha fatto sapere che Rasmussen ha fatto anche i nomi di altri atleti dopati, e fornito molti utili dettagli su come facessero ad evitare i controlli antidoping. “Fatti che contengono novità per noi“, conclude.

Rasmussen dal canto suo ha dichiarato: “Sono contento dopo aver deposto questa testimonianza e non dover più sopportare questo fardello“.

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In attesa che la verità che renda “libero” il ciclismo.

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa
Tags: rasmussen

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