Sono passati ormai 10 anni dalle eccezionali olimpiadi di Londra 2012, nelle quali il ciclismo britannico fece incetta di medaglie: 12 (8 ori, 2 argenti e 2 bronzi), ovvero lo sport che più contribuì al medagliere dei sudditi di sua maestà, il più ricco della storia britannica alle olimpiadi, con 65 medaglie (29 ori, 18 argenti, 18 bronzi). Un successo casalingo dovuto al trasporto del pubblico di casa, al “fattore campo”, come spesso accade alle nazioni ospitanti di ogni evento sportivo di rilievo. A distanza di 10 anni si addensa più di qualche nuvola invece sopra quei successi, e sono proprio i media inglesi a rivelarlo, ma in un’apatia generale forse dovuta ormai alla decade passata.
L’ultima è quella di un ex commissario dell’antidoping britannico al quotidiano Daily Mail, il quale ha rivelato che durante un ritiro pre-olimpico un corridore di “livello mondiale” venne scelto per un controllo fuori competizione, ma il corridore si rifiutò di sottoporsi immediatamente al controllo, un prelievo di urine, dovendo rimanere quindi sotto controllo visivo dei commissari, ma dopo qualche tempo il corridore se ne andò, per ripresentarsi dopo 1 ora con il campione.
L’ex commissario racconta come all’episodio non fosse seguita nessuna azione o sanzione da parte dell’UKAD (l’agenzia antidoping del regno unito), quando in realtà avrebbe dovuto far scattare immediatamente delle indagini ulteriori. La UKAD, interrogata a proposito ha risposto che i test effettuati nel 2012 e la relativa documentazione aveva una “scadenza” di 18 mesi e quindi non è in grado di confermare o commentare i fatti avvenuti all’epoca.
Già all’epoca, la WADA, l’agenzia antidoping mondiale, in seguito a questo mancato controllo ammonì la UKAD intimandole di migliorare i propri controlli. Una recente indagine (lanciata nel marzo 2021) a riguardo realizzata dalla WADA, l’operazione Echo, ha constatato come sia impossibile verificare se la federazione ciclistica britannica abbia avuto collusioni con la UKAD nel coprire casi di doping nel 2011.
L’operazione Echo però ha rivelato altre macchie riguardo il periodo pre-olimpico. Ad esempio il rilevamento di nandrolone nelle urine di un corridore selezionato poi per le olimpiadi nel marzo 2010 in un controllo fuori competizione. Nessuna indagine ulteriore o sanzione fu comminata dalla UKAD, che anzi, spazzò la proverbiale polvere sotto il tappeto.
Questo controllo in realtà ha provato una cosa più grave, che è la vera macchia rilevata sul ciclismo britannico dell’epoca, ovvero che la federazione britannica e la UKAD avevano un programma di controlli antidoping interni, per i quali utilizzavano laboratori non accreditati dalla WADA, cosa non regolare secondo gli accordi con la stessa agenzia antidoping mondiale.
È stato provato che nel dicembre 2018 la UKAD ricevette due lettere anonime che rivelavano, come poi è stato provato, l’uso nel 2011 di test illeciti, e che “ci fosse un allenatore che tentava di dopare gli atleti”. La UKAD iniziò all’epoca un’indagine interna su queste lettere, denominata operazione Blackout, ma la WADA ha poi provato che la UKAD insabbiò l’inchiesta e nessun provvedimento fu preso.
Che tutto lo staff fosse al corrente del caso del nandrolone è stato provato dal fatto che furono recapitate delle email in cui si menzionava il caso, in cui erano in copia l’allora performance director Dave Brailsford, il capo medico Steve Peters, il capo allenatore Shane Sutton, il medico di squadra Richard Freeman, oltre ad altri due allenatori ella nazionale britannica: Jan van Eijden e Iain Dyer. Sutton e Freeman sono stati, e sono ancora al centro del famoso caso della sacca contenente cortisonici recapitata dal velodromo di Manchester al Dauphiné 2011 vinto da Bradley Wiggins, caso arrivato sino davanti ad una commissione parlamentare.
Il caso del nandrolone fu trovato tra alcuni atleti, chiamati nei documenti dell’operazione Echo “testing group”, che poi vinsero negli anni successivi 70 medaglie tra mondiali, europei, Commonwealth Game e competizioni varie. Non è difficile capire chi sia stato parte di questo gruppo quindi. Tanto che il Daily Mail li ha contattati, ed a parte uno che si è trincerato dietro il no comment, gli altri hanno candidamente ammesso che erano regolarmente sottoposti a controlli interni, ma negando ogni irregolarità.
Ed in effetti a loro non sono imputabili irregolarità, ma alla federazione che utilizzava laboratori non accreditati WADA si. A questo punto viene da chiedersi per quale motivo questi atleti venivano sottoposti a controlli interni oltre a quelli ufficiali WADA? La risposta è che li controllavano per evitare controlli positivi dovuti a contaminazioni indebite in particolare da integratori (è provato da anni che vari integratori siano stranamente contaminati da sostanze proibite, forse per renderli realmente efficaci, tanto che l’antidoping USA ne redige regolarmente una lista).
Il dottor Freeman però, in una maldestra dichiarazione (Freeman è purtroppo per lui la classica persona che ogni volta che apre bocca fa danno) ha spiegato come il sistema di controlli interni fosse valutato mensilmente da un esperto esterno secondo “un semaforo”: luce verde nessun problema, luce ambra situazioni potenzialmente pericolose da monitorare; luce rossa situazioni che potevano portare a violazioni antidoping formali da parte di UKAD o UCI compresi controlli analitici avversi sul passaporto biologico. Freeman ha giustificato questo sistema in quanto permetteva di individuare “fluttuazioni nel passaporto biologico degli atleti, lasciando il tempo per considerarne le ragioni e preparare una difesa”. E che questo “dimostra la dovuta diligenza del dipartimento medico della federazione britannica”.
L’opinione di Freeman appare alquanto bizzarra, in quanto gli atleti possono visionare i propri valori ematologici direttamente dalla piattaforma ADAMS, quella utilizzata per i controlli e la localizzazione permanente dei corridori, in qualunque momento, e possono condividere quei dati con chiunque vogliano, mentre l’UCI, il gestore del sistema ADAMS, non può condividerli con nessuno a meno di autorizzazione scritta dell’atleta. Ovvero ogni atleta può far analizzare da esperti terzi di propria scelta i propri valori, ma che sono valori forniti da laboratori accreditati WADA, come da regolamento, in quanto i laboratori devono essere accreditati come indipendenti. Tant’è che dall’entrata in vigore del passaporto biologico, almeno ufficialmente, molte squadre hanno abbandonato il sistema di test interni, ritenendolo ridondante.
In sostanza, 10 anni dopo, emergono alcuni punti dubbi sulla gestione dell’antidoping da parte della federazione ciclistica e all’agenzia antidoping britannica, che sembrano aver avuto un legame un po’ troppo stretto, in particolare nella preparazione delle olimpiadi 2012. Inoltre va considerato che praticamente tutte le persone coinvolte erano anche parte del Team Sky, e saranno protagoniste nel caso della sacca del Dauphiné e delle TUE di Wiggins (esenzioni terapeutiche per cortisonici ottenute da Wiggins prima dei Tour de France 2011-2012 e Giro 2013).
In particolare su Shane Sutton la UKAD ha aperto due dossier riguardo i suoi trascorsi di doping sia come corridore che come allenatore. Tanto che nel 2012 il Team Sky se ne liberò, tenendolo come consulente esterno però sino al 2017. Anche la British Cycling lo sospese nel 2016 in seguito al caso degli insulti che Sutton avrebbe rivolto ad atleti della nazionale paraolimpica ed alla velocita Jessica Varnish. Sutton poi si dimise e da allora è il direttore tecnico della nazionale cinese.
Nello stesso anno il Dr. Freeman è stato dichiarato colpevole di “possesso di sostanze proibite” e “manomissione o tentata manomissione di controlli antidoping” per il quale deve ancora essere sanzionato (rischia 4 anni di sospensione), ma per i quali è già stato radiato dall’albo del General Medical Council.
Totale, la WADA nelle sue conclusioni sull’operazione Echo non ha preso “raccomandazioni correttive per le persone coinvolte nei fatti del 2011”. Persone che oltretutto non sono più impiegate dalla UKAD. Agenzia antidoping britannica che “ha già messo in opera misure per impedire che fatti del genere si ripetano”.
Ormai i protagonisti dei fatti dell’epoca sono quindi usciti di scena, quasi tutti i corridori hanno appeso la bici al proverbiale chiodo, un medico è stato radiato, un allenatore della nazionale britannica (Heiko Salzwedel ) è pure deceduto il mese scorso, ma 10 anni dopo non si può che guardare diversamente al miracolo ciclistico di quelle olimpiadi estive.
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