Il 27 Novembre 2012 è morto Patrick Plaine.
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70 anni, è stato investito da un trattore agricolo mentre pedalava non lontano da casa.
Patrick Plaine è stata una persona eccezionale, nel senso che era proprio un’eccezione, soprattutto nella nostra società. Ma non solo, è stato un’eccezione persino nella variopinta comunità dei ciclisti.
Nato il 26 Gennaio 1942 a La Bouille, nell’alta Normandia francese, aveva cominciato appena possibile a lavorare, alle poste. Da sempre appassionato di ciclismo, ma non quello competitivo, ma quello turistico, quello che gli faceva scoprire posti nuovi ed ammirare “le bellezze della terra”.
Nel 1964 ha iniziato a scrivere dei quaderni in cui annotava tutte le storie delle sue randonnée, per ricordare, ma anche per raccontare agli altri, per far sapere a sempre più gente la propria filosofia di vita.
Nel 1966 la prima Paris-Brest-Paris, in 61h55′
Nel 1971 partecipa alla PBP-Audax. Appena terminata, dopo qualche ora si rimette in sella per partecipare alla versione randonneur, che finirà in 55h42′.
Nel 1978 conclude il Tour de France randonneur (4900km) nel tempo, tutt’ora record, di 13gg 9h.
Fin qui potrebbe essere il palmares di un ottimo randonneur, ma tutto sommato niente di memorabile.
Invece in Patrick Plaine scatta qualcosa. Qualche anno più tardi chiede la pensione e gli verrà data la minima, con cui avrà giusto il necessario per sostentarsi, ed inizia a pedalare.
Sempre.
Comincia a girare tutta la Francia, poi l’Europa. In lungo, in largo, in diagonale. Ogni brevetto permanente per lui è terreno di caccia e quando è stufo di rifare sempre gli stessi se ne inventa altri, come i “centrionali”: brevetti che partono dal centro della Francia per raggiungere le città più periferiche.
Il tutto con un principio cardine: l’autonomia assoluta. Quindi niente hotel, niente ristoranti. Dorme dove capita, mangia quello che compra al supermarket o quello che gli viene offerto.
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Si era soprannominato da solo “vecchio coyote”, ma sapeva anche definirsi per quello che era: “un marginale”.
Sarcasticamente si potrebbe dire un barbone a pedali, ma soprattutto un bulimico dei pedali che diceva: “bisogna prendersi il tempo necessario per ammirare le bellezze terrestri“. Che non si è fatto mancare: 3800 cime scollinate, di cui 190 oltre i 2000mt.
Numeri che annotava minuziosamente, da buon ciclista, come i kilometri. Calendari in cui segnava minuziosamente i kilometri quotidiani, quelli mensili e gli annuali. Mai meno di 40.000 l’anno. Con punte di 50.000, come in occasione dei suoi 50 anni (“per festeggiare“).
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Kilometraggi ed avventure che vogliono dire anche sofferenza e fatica. Di se dirà che da morto sarebbe andato dritto in paradiso visto quanto aveva già sofferto sui pedali. Sofferenza che evidentemente per lui aveva un senso: “Se sei forte mentalmente vai ovunque. Se sei in difficoltà preghi, e Dio arriva“. Credente, “ma non bigotto” aggiungeva.
Intanto negli anni i kilometri si aggiungevano gli uni sugli altri, e così i brevetti, le avventure: 9 PBP, 104 Flèches de France, 5 cammini di Santiago, etc..etc…
Un’asceta della bici, non un esempio, ma qualcuno che colpiva tutti i ciclisti per la sua totale devozione al disinteresse e l’autonomia. Per il tanto che riusciva a fare con così poco.
Sua nipote girerà un piccolo film su di lui, durante una randonnée. In un estratto lo si vede raccogliere una rana schiacciata sulla strada commentando che la toglie di li perché non vuole che sia schiacciata un’altra volta. Perché a lui dispiacerebbe avere la stessa sorte.
Pochi mesi prima di essere travolto ed ucciso da un trattore aveva festeggiato 1.700.000km di vita sui pedali
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Merci à André Tignon pour les photos