Philippe Gaumont, soprannominato “la Gomme”, è stato un corridore degli anni bui del ciclismo; professionista dal 1994 al 2004. Anni piagati dal doping, quello più brutale, in cui “il salto tecnologico” delle sostanze e dei metodi fu cosi grande e repentino che l’antidoping ci mise un decennio solo per trovare un test affidabile per trovare l’EPO, la pietra filosofale del doping. Di quegli anni si è detto di tutto e di più, molti protagonisti sono ora dirigenti sportivi, “direttori delle performances”, imprenditori del mondo del ciclismo. Altri sono finiti male, chi decaduto, chi deceduto.
Gaumont ha un triste primato, quello di essere stato indicato da molti suoi colleghi come uno dei “peggiori”, non solo un dopato, ma proprio un tossicomane, uno mezzo svitato. Sicuramente non uno stinco di santo, ma è difficile dire dove finisca la verità e dove inizi il rancore contro uno di quelli che per primi ha rotto il muro dell’omertà. Facendolo senza sconti ed ipocrisie, ma con rara lucidità.
Gaumont fu trovato positivo tre volte in carriera: nel 1995 al nandrolone, per cui venne sospeso 6 mesi e licenziato dalla Gan (anche se il controllo era relativo a quando correva per la Castorama); nel 1998, quando correva per la Cofidis, sempre per nandrolone, ma fu scagionato per la quantità minima trovata; e poi nel 1999, arrestato assieme al compagno Franck Vandenbroucke nel merito dell’inchiesta “Sainz-Lavelot”, gli furono trovate amfetamine nelle urine in un controllo durante l’arresto.
Nel 2004 venne ancora arrestato all’aeroporto di Orly assieme al compagno Cédric Vasseur nel merito delle indagini sull’inchiesta sulla Cofidis, la sua squadra. A quel punto Gaumont comprese che per lui il ciclismo era finito, e raccontò tutto al giudice istruttore. Fu “una confessione, una terapia”, come scrisse poi nel suo libro “Prisonnier du dopage“, in cui ripercorre esattamente tutta la sua carriera come la descrisse al giudice: una carriera di doping. Una delle migliori testimonianze di cosa, e come, sia il doping.
Nel 1992, a soli 19 anni, viene selezionato per i giochi olimpici di Barcellona per la 100km a cronometro a squadre. Vince il bronzo dietro Germania e Italia:
“Questa medaglia è il solo titolo della mia carriera di sportivo, a parte le corse da juniores, che abbia ottenuto senza doparmi. In quel momento, sapendo cosa ho vissuto dopo, posso dire che c’era tutto: il mio sguardo di ragazzino, la mia ingenuità, nessun imbroglio, niente di malsano dietro. Queste sensazioni le ho raramente trovate tra i professionisti. […] Ai giochi di Barcellona ero nella bellezza dello sport. È quanto di più bello ho fatto nella mia carriera“.
Nel corso della stagione 1993 racconta però di come abbia preso per la preparazione: Veinobiase, Myolastan, Revitalose, Vitascorbol, Pharmaton, Magné B6, B12, Tardyferon, Sargenor, etc.. tutti integratori e vitamine non proibiti, ma l’idea di una certa medicalizzazione è evidente:
“Quando ti svegli la mattina e cominci a prendere 10 pastiglioni e poi altri 10 la sera prima di andare a letto sei già in un circolo vizioso”
Nel 1994 passa professionista alla Castorama con Laurent Roux:
“tra i pro vi fanno subito capire che c’è una gerarchia da rispettare. All’inizio, per mettervi in riga, gli altri non vi rivolgono la parola. Vi danno sempre l’impressione che diate fastidio. Il mio carattere ha cominciato a cambiare. Non andavo più verso le persone, non parlavo più apertamente. Per imparare stavo zitto e aprivo le orecchie. Quando si sbarca tra i pro non si sente parlare che di soldi e doping, e non ci si pone la domanda: quando farò il passo? Lo farò o no? È grave? No, la sola domanda è quando e come.”
Nell’aprile 1994 comincia a prendere caffeina in pastiglie (400mg, il massimo consentito all’epoca) e poi iniezioni di cortina naturale “primo passo verso i corticosteroidi”.
Il 27 Maggio 1994 scrive in un suo diario che si è dopato per la prima volta. Il medico della sua squadra, Armand Mégret, non ne vuole sapere di dare EPO ai corridori, che però lo chiedono a gran voce, per essere competitivi come gli altri, italiani soprattutto. Mégret concede solo del Kenacort. A fine stagione Mégret si licenzierà.
Per Gaumont però è una delusione: “ma è una merda quella roba! Non ho sentito niente di diverso“. Non aveva ancora capito come funzionava il doping e ne aveva un’idea ingenua. A luglio vince il Tour de Poitou-Charente: “con l’eccezione del kenacort preso 4 mesi prima, è la sola corsa da pro che ho vinto da pulito“.
Il 22 ottobre 1994 viene “battezzato” alle amfetamine. Con un vero e proprio rito. Due suoi compagni della Castorama ed uno della Gan gli fanno da “padrini”. È pronto per entrare nella famiglia dopo un anno da pro. Uno dopo l’altro prendono una siringa preparata su un tavolo e se ne iniettano il contenuto su una spalla. È il famoso “pot belge”, “la zuppa belga”. Il compagno invernale dei ciclisti. Un mix di cocaina, efedrina, amfetamine varie, in qualche caso eroina, “ma nessuno sa realmente cosa ci sia dentro” scrive Gaumont. Non dorme per 2 giorni. La settimana dopo va al matrimonio di Laurent Roux e in una stanza ci sono 15 ciclisti. Sul tavolo 15 siringhe, il rito ricomincia, perché non sapevano che lui era già stato battezzato.
Grazie alle amfetamine scopre i sonniferi, il famoso Stilnox. Per poter dormire.
Nel 1995 si butta nel doping “a testa bassa” con l’arrivo di un nuovo medico di squadra, Patrick Nédélec. Prima della Paris-Roubaix “in 7 giorni mi ha dato una dose di Kenacort tre volte maggiore di tutto quello che ho preso la stagione precedente“. Questa volta l’effetto lo sente: più forza, euforia.
Ad aprile il grande salto: l’EPO. Nédélec lo rassicura dicendo che non ci sono pericoli, basta controllare scrupolosamente ematocrito ed emoglobina: “è vero che rispetto gli italiani, che all’epoca salivano allegramente al 60% Nédélec non ci ha mai spinti sopra il 50. Per lui, come per noi, era una cosa “giusta“. Ero come un ladro al grande magazzino, ma sicuro di non farsi prendere. All’inizio rubi un piccolo oggetto, non troppo caro. È ragionevole, e ti lascia in pace la coscienza, perché potresti fare peggio. Ti persuadi di essere qualcuno di buono in ogni caso. Ma poi, poco a poco, ti metti rubare cose sempre più grandi, sempre più care. È un circolo vizioso in cui non c’è niente per fermarti, mai“.
Dell’EPO però non si parla, nemmeno tra compagni. Si presume, ed è facile: Al “trofeo degli scalatori”, il 30 aprile 1995, una corsa francese: “ho passato la giornata davanti. In cima alle salite le cosce non mi bruciavano come il solito ed avevo la sensazione di poter salire all’infinito. […] Abbiamo (la Castorama -ndr-) completamente bloccato la corsa e mi ricordo dello sguardo di certi corridori francesi all’arrivo. Erano arrabbiati ed impotenti. La nostra superiorità era indecente.” Gaumont era corridore da classiche. 1mt85 per 76kg circa, non certo lo scalatore medio.
“Al Tour de l’Avenir avevamo diritto a cortisonici ogni giorno. Le dosi erano enormi. Ci iniettavano due Diprostene alla settimana (cortisone ad effetto ritardato), quando poi, con l’esperienza, ho capito che uno bastava per 10 giorni. Tra le due iniezioni prendevamo un cortisonico ad effetto immediato ogni giorno: Synacthene, Soludecadron o Celestene. Tuttavia il senso di colpa esiste. Hai voglia a nasconderti, a scappare della realtà delle cose, si è ripresi dal peso dell’imbroglio ogni volta che ci si inietta da soli, a casa sul divano. Ogni volta che ti fai un’iniezione, quella resta. Non è veramente l’imbroglio verso gli altri che da fastidio, perché quando ho iniziato io faceva parte del mestiere e lo facevano tutti, ma è piuttosto l’imbroglio verso se stessi. Si cerca di ripetersi che non sono i prodotti che ti fanno correre, che comunque abbiamo capacità fisiche fuori dal comune. Ma il dubbio resta. Non si sa mai chi si è veramente perché si spingono in la dei limiti che non sono più i nostri“.
Nell’autunno 1995 Nédélec propone a Gaumont degli anabolizzanti per aumentare la massa muscolare. Gaumont è perplesso, ed ha paura di non poter avere figli in futuro, ma Nédélec gli racconta di suoi clienti bodybuilder e ballerini da nightclub che si fanno un’iniezione di anabolizzanti a settimana senza avere problemi. Gli prescrive 7 iniezioni per tutto l’inverno: 3 di Dynabolon (contenente nandrolone) e 4 di testosterone.
A primavera “cinque settimane di follia”: vince la Côte picarde, 2° al Tour de Vendée, che lascia vincere al compagno Laurent Desbiens e vince la Quatre jours de Dunkerque, quindi il Tour de l’Oise.
“Passavo il tempo a ripetermi che non era solamente per l’epo che vincevo, ma non ne ero sicuro e mi faceva impazzire questa cosa. Ero un po’ come un tossico che dubita di essere in astinenza. Come farò il giorno che non potrò più prenderne? Avevo paura di non lavorare più col mio medico, che mi lasciasse. Avevo paura di quello che sarei stato un giorno, un giorno senza il prodotto miracoloso. Quando ci ripenso è triste avere questi dubbi a 23 anni…”
Dopo il primo controllo positivo:
“Tutti i ciclisti ripetono che non imbrogliano dopandosi perché lo fanno tutti. Ma quello che viene preso è messo all’indice. Diventa l’imbecille, il truffatore. Cristallizza subito tutte le cose che gli altri rifiutano di vedere in se. Malgrado i battesimi delle amfetamine, malgrado i riti che cercano di farci credere in un’unione sacra nella menzogna e nel silenzio non c’è alcuna solidarietà nel ciclismo. Due anni più tardi il modo in cui il gruppo ha reagito all’affare Festina ne è stata una prova flagrante“.
Gaumont non è uno di quelli che dopo la positività “sanno rialzarsi e battersi, io sono uno di quelli che si sciolgono nell’ombra…“. Per sopportare la gogna mediatica si fa di pot belge ogni giorno, per dormire si imbottisce di sonniferi. Per darsi un po’ di euforia è la cocaina.
Gaumont racconta come siano stati gli stessi corridori a chiedere il limite dell’ematocrito al 50%. Nel 1995 “circolavano storie terribili” sull’EPO. Gente che si faceva flebo prima di dormire per diluire il sangue, un capitano della Castorama che “ha rischiato di morire” al Giro d’Italia (Gaumont non fa il nome, ma dovrebbe essere Luc Leblanc), idem un altro corridore francese ai campionati del mondo in Colombia.
Con l’arrivo del limite al 50% andarono riviste tutte le dosi delle altre sostanze. In particolare i cortisonici, che con le dosi precedenti “imballavano” e facevano prendere peso per via della ritenzione idrica. Gaumont cita Tony Rominger, che gli avrebbe consigliato delle dosi sbagliate, facendogli prendere 3 kg di troppo. Ormai il doping è routine, una routine che anestetizza tutto. Alla Cofidis Gaumont ha un nuovo capitano italiano (non ne fa mai il nome, ma nel 1997 nella Cofidis di italiano c’era solo Fondriest) che un giorno gli chiede dell’EPO. Siccome lo trovava arrogante e gli stava antipatico prima di darglielo lo toglie dal ghiaccio e lo mette al sole. Qualche giorno dopo l’italiano gli chiede se era “buono” perché gli pizzicava alla pancia….
“Francamente, quando si è capaci di fare uno scherzo del genere si ha perso la nozione del bene e del male” scrive Gaumont.
Gaumont è compagno di squadra di Lance Armstrong, Bobby Julich, Francesco Casagrande, Massimiliano Lelli (che descrive come il suo fornitore di dopanti ad un certo punto tramite un preparatore romano ancora in attività), David Millar (di cui racconta un incredibile festino in cui sniffava efedrina e Stilnox con dei corridori australiani suoi amici e poi passavano di stanza in stanza sul cornicione dell’8° piano dell’hotel).
Poi l’arrivo in squadra di Franck Vandenbroucke, più pazzo di lui. Le uscite di allenamento diventano pura follia: “non avevano niente a che vedere con le uscite all’italiana, dove tutto è calcolato, con le ripetute da fare a tempi prestabiliti. Ma con VDB e Nico Mattan non c’era niente che avesse capo né coda, ma ci divertivamo un sacco. Appena uscito di casa VDB piazzava un attacco e spariva. Ci toccava andarlo a cercare, poi appena raggiunto ripartiva. I nostri obiettivi erano cose del tipo: “se fai quella salita senza mani sul manubrio col pignone più a destra (…) vincerai una classica quest’anno. O vinceva il primo che toccava i 60km/h.”
Gaumont scivola lentamente nell’instabilità, principalmente dovuta all’abuso di Stilnox, che dice essere stato “un grosso problema per le squadre francesi”. Ne prende sino a 20 compresse al giorno, ha vuoti di memoria, si fa male sbattendo contro le porte a vetri che non vede. Mangia con le dita senza rendersene conto.
Parla ancora di altri corridori, a volte facendone i nomi a volte no, ma chiaramente è facile riconoscerli. Menziona Pantani, di cui ricorda che quando ne ha appreso la morte ha subito pensato che fosse “morto per non aver parlato”, sentendone la vicinanza umana.
“Per tutta la mia carriera ho creduto che la gioia sportiva passasse per la vittoria, la gloria ed i soldi, e quando questi non arrivavano ne diventavo pazzo. Mi sono dopato per esistere agli occhi degli altri, per avere stipendi più alti, ma ho perso molto. Ora che apro gli occhi realizzo che non so che sportivo sono stato veramente. Quali erano le mie forze reali? Le mie debolezze? […] Il doping è una menzogna permanente. Per dieci anni cedendo a questa tentazione sono sfuggito ad uno degli scopi essenziali della vita: conoscersi.”
Philippe Gaumont è morto il 17 maggio 2013, a 40 anni, per un arresto cardiaco.
Di lui hanno detto:
-Frankie Andreu: “Ho passato un solo anno con Desbiens, Gaumont e Millar. Surreale! I francesi mettevano dello sciroppo nelle borracce piuttosto che bevande energetiche. La sera si chiudevano in camera a fumare sigarette e la notte Gaumont usciva a fare festa. Sotto l’effetto dello Stilonox correvano nudi nei corridoi dell’hotel. Veramente crazy! ” (L’Equipe, 18/11/2011)
-David Millar ha detto: “Gaumont era un anima persa…che simbolizzava il male. Era un bullo, una persona cattiva, che terrorizzava i giovani, li incitava a al doping, a prendere sostanze ricreative, Stilnox, alcol, droga. Vandenbroucke si è lasciato portare da lui verso il basso. Il peggio è che era sia demoniaco che carismatico, ma talmente cattivo con talmente tanta gente che non posso avere compassione per lui.” (L’Equipe, 19/07/2013)