Molti amatori vivono nel mito del professionismo, per svariati motivi che a volte sono più retorici che altro. Nella realtà dei fatti, rispetto le apparenze di una vita di sacrifici, ma anche successi dei migliori corridori, il professionismo del ciclismo pare avere parecchi lati oscuri, e non si tratta del solito doping.
Due interessanti articoli in merito lo fanno capire meglio. Uno racconta la storia di Campbell Flakemore, astro nascente australiano di 23 anni, campione del mondo a crono U23 nel 2014, portato alla BMC grazie al sostegno di Cadel Evans che lo ha presentato come il proprio erede, capace di vincere un grande giro nel futuro.
Flakemore ha sciolto il proprio contratto con la BMC, ma non solo, ha annunciato che lascia il ciclismo professionistico. Le sue parole:
“La quantità di lavoro e sacrifici richiesta per rimanere a quel livello ed essere il vincitore di un grande giro è qualcosa che la gente che non conosce il ciclismo non può capire. Non mi reputo capace di farlo e di poter sostenere quei sacrifici per essere un top rider. Il WorldTour non è solo lustrini e luci della ribalta come si vede in tv, che è l’unica cosa che si vede. Non era qualcosa per me e sono contento di esserne fuori“.
Flakemore ha citato in particolare la difficoltà di vivere da solo in Europa, a Nizza, località ad alta densità di pro residenti, ma che comunque non garantisce di evitare lunghi periodi di solitudine, che Flakemore reputa qualcosa che “non avrebbe potuto sostenere per 10 anni”.
Pertanto, sciolto il contratto con la BMC, con non poco disappunto della squadra, Campbell ha lasciato il sud della Francia per tornare in Tasmania, “per poter fare qualcosa d’altro prima che sia troppo tardi“.
L’altro articolo è del Corriere della Sera, e racconta la storia di un altro fenomeno piuttosto noto nel ciclismo professionistico: Il dover pagare per correre. Chiaramente non si tratta dei super campioni del Tour de France, ma delle centinaia di professionisti che sgomitano nelle squadre di “fascia bassa”.
Il titolo dell’articolo riassume bene tutto, ma merita di essere letto integralmente:
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