Primoz Roglic (Jumo-Visma) ha rilasciato un’intervista al quotidiano francese L’Equipe durante la pausa invernale (che ha passato in isolamento per un contatto con un covid positivo) vicino il lago di Tignes, facendo sci di fondo.
Riporto alcuni stralci interessanti che fanno capire la mentalità del personaggio.
“Non sono il genere di persona che arriva in un gruppo e si mette al centro a parlare. In più provengo da uno sport molto individuale (il salto con gli sci, come noto -ndr-), dove si è completamente ripiegati su se stessi, dove si da molto peso alla parte mentale, alle sensazioni, alla tecnica. Il ciclismo è molto più collettivo. Ho dovuto imparare ad aprirmi agli altri. Sto sempre cercando di essere un buon capitano. Devo migliorare su questo aspetto, come avere i ragazzi attorno a me. Per me non è molto naturale. A volte ci riesco, a volte no.”
Gli viene chiesto se è una cosa che gli è stata rimproverata:
“Si, agli inizi. Per esempio nel giorno di riposo i ragazzi si trovano insieme per prendere un caffé, discutere, scherzare. Io invece preferisco stare solo, farmi un giro in bici in solitaria. Ho spiegato gli altri che non ho niente contro di loro, ma ho bisogno di questo tempo da solo. All’inizio non lo avevo spiegato e gli altri pensavano di non piacermi, che ero un tipo particolare, un egoista”.
Le domande poi si concentrano sul Tour, sulla crono persa e la conseguente disfatta per lui e la squadra (salendo sull’autobus a fine tappa Roglic ha detto agli altri che “si vergognava”) e come abbia trovato le forze per riprendersi e poi vincere Liegi e Vuelta. Roglic spiega che non è uno che sta troppo a rimuginare sulle cose e che gli piace pensare solo a come migliorare, a fare meglio. E che a 31 anni sa che non ha tempo da perdere per vincere ed essere il numero 1, e quindi deve essere concentrato sul presente ed il futuro. Per lui la cosa più importante non è la vittoria, ma il cammino per arrivarci.
Spiega poi che la tattica di controllo assoluto della corsa al Tour è stata una cosa voluta e molto calcolata, in particolare da parte sua, e che col senno di poi forse è stata sbagliata. Alla Vuelta non hanno corso cosi ed è andata meglio. Ad ogni modo avevano deciso di controllare la corsa in quel modo perché nelle corse precedenti era andata bene, e col senno del poi è facile criticare.
Torna sugli errori della cronometro di la Planches des Belles Filles: innanzitutto sul fatto che la mattina, al contrario di Pogačar ha fatto una ricognizione del percorso, ma andando troppo veloce, spinto dall’entusiasmo ha forzato troppo. E poi sul famoso casco che ha utilizzato per la prima volta in gara. Lui avrebbe voluto usare il vecchio modello, ma nella squadra hanno insistito per quello nuovo adducendo un vantaggio aerodinamico. Ammette l’errore, dicendo che se avessero fatto dei test prima, in particolare in galleria del vento, non lo avrebbero mai utilizzato. In particolare Roglic spiega come lui nella posizione da cronometro abbia la schiena molto piatta, retaggio della posizione da salto con gli sci, e che quindi un casco con una lunga punta posteriore si adatti male a lui, non appoggiando sulla schiena e non rimanendo in posizione. Ad ogni modo dice che il casco può averlo penalizzato di “una manciata di secondi”, e che quel giorno mai avrebbe potuto prendere 2 minuti a Pogačar.
Piuttosto crede che sia stato un po’ limitato dalla caduta al Dauphiné. Ancora oggi ha dei dolori quando scende dalla bici o guida a lungo in auto. Prima della famosa cronometro aveva utilizzato la bici da crono una sola volta su strada, altrimenti sempre su home trainer, questo perché l’ematoma gli faceva male in quella posizione. Il giorno della crono ha avuto un po’ di dolore all’anca. Dalla caduta del Dauphiné dice di aver utilizzato la bici da crono solo 2 volte: alla crono del Tour ed a quella della Vuelta (quella della Vuelta vinta, dando 49″ a Carapaz).
Infine gli viene chiesto conto delle dichiarazioni fatte da lui e Dumoulin nel documentario “Codice giallo” a proposito della prestazione di Pogačar alla cronometro del Tour. Roglic spiega che l’ha trovata “non strana, ma sorprendente”. Dice che Pogačar in alcune tappe precedenti sembrava sul punto di mollare, di non farcela, e che nessuno poteva immaginare che invece avesse ancora nelle gambe una prestazione del genere.
Gli viene chiesto se ne ha parlato con lui dopo. La risposta:
“No, ormai era il passato. Ma il giorno dopo, nella tappa che portava a Parigi gli ho detto di iscriversi alla crono dei mondiali, perché quando si va cosi si è imbattibili“.
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