Romain Bardet si ritira da un ciclismo “accelerato”

Romain Bardet (Team DSM-Firmenich) 34enne francese è ormai a fine carriera: la concluderà il prossimo 16 giugno, al termine del Critérium du Dauphiné, una corsa a cui è particolarmente legato anche se non l’ha mai vinta (miglior risultato 2° per 12″ dietro Chris Froome nel 2016). Tempo di bilanci quindi, che in una recente intervista gli sono stati chiesti a proposito di vari aspetti, dal cambiamento del ciclismo al fenomeno del 2024, ovvero Tadej Pogacar.

Il francese ha ormai gli anni migliori dietro di se, ma al contrario di suoi colleghi, è rimasto ancora competitivo anche quest’anno: 2° alla Liège-Bastogne-Liège dietro proprio Pogacar, 9° al Giro d’Italia, vincitore della 1^tappa al Tour. Ma oltre all’età molto è cambiato con l’arrivo dello spartiacque del 2020, che come abbiamo già evidenziato varie volte è stata la stagione di un cambiamento netto e repentino. Bardet concorda:

Certo, è ben documentato. È difficile trovare il tono giusto per parlarne, tra la vecchia gloria che cerca scuse per non essere più al centro della scena e la consapevolezza di un fenomeno di accelerazione globale del ciclismo. Nel 2020 c’è stata la tappa di Laruns attraverso il Col de Marie-Blanque (al Tour -ndr-) È il primo giorno in cui mi sono sentito sopraffatto in montagna. Non dico che non mi sia mai capitato di essere in difficoltà prima, mi è successo molte volte, ma avevo una buona giornata e ho sentito che c’era una vera differenza rispetto ai migliori. Ho un flash di quando sono partiti, si andava veramente molto forte. Avevo visto le accelerazioni di Froome, ma non erano cosi impressionanti“.

Bardet da li in poi non ha potuto che ammirare impotente. E come tutti ha ammirato la stagione da leggenda del campione sloveno nel 2024, come lui stesso conferma: “Non so cosa rispondere. Onestamente non siamo nella stessa categoria. Si ha l’impressione di non essere veramente dei suoi avversari“.

Bardet conferma di non aver mai avuto una tale sensazione di impotenza. Parlando dei suoi anni migliori (2° al Tour de France nel 2016 dietro Chris Froome) dice: “C’era una certa vulnerabilità, una possibilità. Ora invece anche al Tour de France se si vedeva la UAE agitarsi in testa al gruppo per controllare la fuga si sapeva che lui (Pogacar -ndr-) avrebbe vinto la tappa. Al Giro? Uguale“.

Ma il sentimento alla partenza delle corse era chiaro: “a meno di un incidente meccanico o qualunque altra cosa il vincitore si sapeva” […]“Strade Bianche, GP di Montréal, campionato del mondo in linea: ero intimamente convinto che fosse tutto già deciso” (non nel senso di “combinato”, ma che Tadej avrebbe vinto senza problemi- ndr-).

Quello che ha stupito Bardet non sono tanto i risultati in se, ma la modalità delle vittorie dello sloveno: “Sono stupito, ma allo stesso tempo ha concretizzato l’immenso potenziale che avevamo visto in lui. Apparentemente non sapeva come allenarsi. Ora lo sa”.

“È talmente superiore… È difficile da spiegare. Non passo molto tempo a cercare spiegazioni”.

Gli viene chiesto, oltre che della UAE, della Visma-LAB nella scorsa stagione, anche lei a fare incetta di vittorie e se questo non porti alcuni corridori ad essere scoraggiati:

“Sì, e lo capisco perfettamente. A maggior ragione quando sei il leader di una squadra e hai sei ragazzi che lavorano per te e li ripaghi alla fine con un 6° o 7° posto ti fai delle domande. Sei all’altezza? Anche il ciclismo sta andando in questa direzione con tutti i talenti e gli stipendi più alti concentrati in poche entità. Ci stiamo dirigendo verso una forma di ciclismo in cui l’interesse competitivo è notevolmente ridotto”.

Inevitabile la domanda sulle cause di questa “accelerazione” del ciclismo. In primis con l’argomento ormai caldo del monossido di carbonio e del suo utilizzo:

“Onestamente l’ho appreso dalla stampa. Si possono vedere gli studi. Tutto è possibile. Non ho mai sentito voci a riguardo, ma d’altra parte non ne sarei sorpreso. Si fanno così tante ricerche con l’idea di ottimizzare le prestazioni… Dieci anni fa si facevano tanti discorsi sull’altitudine. Tutti ne erano entusiasti, era una specie di panacea. Ora sappiamo esattamente dove può portarci. Non sorprende che alcuni ricercatori, alcune squadre, alcune persone coinvolte nel ciclismo stiano guardando altrove. Ci sarà sempre il desiderio di trovare vantaggi competitivi.”

“Sta a ciascuno stabilire la soglia di ciò che sembra etico e giusto nella ricerca assoluta e disperata del risultato finale in relazione ai propri valori. Come i chetoni, come tante altre cose, è tutto aperto all’interpretazione. E purtroppo, poiché le regole non sono stabilite chiaramente, poiché l’interpretazione è lasciata alla discrezione di ciascun individuo e poiché si tratta di uno sport ultra-competitivo in cui conta solo la vittoria, non dobbiamo stupirci di eventuali deviazioni.
Il monossido di carbonio può spiegare la traiettoria di alcuni corridori che non conoscevamo un anno o un anno e mezzo fa, ma è anche un’accusa piuttosto facile da fare senza interessarsi alla loro carriera. Queste procedure sono state documentate e ora spetta alle autorità decidere se vietarle o meno e fare dei controlli. In un mondo così competitivo, con una posta in gioco così alta dal punto di vista economico, è del tutto inutile credere che siano la buona volontà e l’etica irreprensibile dei corridori e delle squadre a consentire una sana regolamentazione dell’ambiente. È del tutto illusorio“.

“Dal punto di vista culturale, penso addirittura che il ciclismo fosse in una situazione molto peggiore per quanto riguarda l’uso di sostanze stupefacenti quando sono entrato nel mondo dei professionisti rispetto ad oggi. Penso che dobbiamo intensificare la lotta e avere strutture legali forti, che siano l’UCI o la WADA, che prendano posizione e, soprattutto, che rendano le persone che controllano e i corridori soggetti a ciò che vogliamo che sia lo sport”.

 

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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