Il ciclismo è uno sport che vive ancora oggi di una retorica fatta di fatica, sacrificio, dolore, catarsi, etc… “Il ciclismo non è un gioco” si dice, prendendo in giro colleghi di altri sport, in modo abbastanza infantile. Se nel ciclismo ci fossero le ammonizioni e le espulsioni per fallo probabilmente vedremo delle simulazioni con ciclisti che si buttano nel fosso da soli a 50km/h…
Da dove viene questa retorica? Viene dagli anni dei pionieri, dagli inizi del 1900. Allora il ciclismo non era “uno sport”, come poteva essere l’aristocratico Tennis, o il Football fatto da Gentleman in pantaloni lunghi, per non parlare dell’atletica. Il ciclismo era un lavoro, una specie di spettacolo da circo crudele, in cui gente con capacità fisiche fuori dal comune fuggiva spesso dalla miseria o lavori di bassissimo livello per andare a rischiare, letteralmente, la vita in pista nei velodromi o in montagna, su strade non asfaltate, con bici con cerchi in legno e freni che erano più che altro dei “rallentatori”. E’ in queste condizioni che nasce probabilmente anche la cultura del doping, che oggi intendiamo come truffa ed antisportività, ma che all’epoca era spesso solo un modo per restare vivi.
Nous marchons à la dynamite è la celebre frase di Francis Pellissier prima di una tappa del Tour de France 1924, lanciata ad un giornalista che gli chiedeva conto delle famose “bombe”. Pellissier non si limitò alla frase, ma dalle tasche della maglia mostrò tutta la dinamite: “cocaina per gli occhi, cloroformio per le gengive, pomate per le ginocchia”, e tre scatole di pillole: amfetamine ovviamente. Tutta roba che serviva a sopravvivere a strade non asfaltate in cui toccava mangiare polvere, letteralmente, per 10-12h di fila, con gli occhi sanguinolenti, amfetamine per restare svegli e lucidi in tappe di 400km, per resistere al freddo di tappe corse sotto la pioggia senza mantelline o Gabba, per scalare passi alpini praticamente a piedi vestiti con maglie di lana.
Uno sport che portava sulle strade o nei velodromi migliaia di persone, che faceva vendere migliaia di copie ai giornali che ne scrivevano (ed organizzavano le corse), di cui i ciclisti erano eroi mal pagati, che non diventavano ricchi, ma uscivano semplicemente dalla miseria. Uno “sport” crudele, non un gioco.
Una storia esemplificativa di questa crudeltà è quella di Charles Crupelandt, “il toro di Roubaix”.
Nato il 23 Ottobre 1886, poco dopo l’inaugurazione del mitico velodromo, Di famiglia povera senza essere miserabile, padre tessitore e madre casalinga. Fin da bambino il suo sogno è calcare la pista del locale velodromo. Lo farà mettendosi in mostra come sprinter potente, come potente è il suo fisico. Viene notato però soprattutto per la sua testa: quella di chi non molla mai. Con un sogno ben piantato come un chiodo in quella testa: vincere la gara di casa, la Paris-Roubaix.
Passa professionista a 18 anni, ma non combina granché sino ai 24 anni. Nel 1910 arriva 5° alla Roubaix, ma lo stesso anno la prima tappa del Tour de France è praticamente una replica: partenza da Parigi ed arrivo a Roubaix. Crupelandt vince davanti le superstar dell’epoca: Cyrille Van Hauwaert, Octave Lapize (alla fine vincitore della classifica generale e del premio miglior scalatore introdotto proprio in quell’anno) e François Faber. Il giorno dopo perderà la maglia gialla, ma vincerà anche l’11^ tappa, Bordeaux-Bayonne…per venire penalizzato e retrocesso per aver ostacolato in volata l’italiano Luigi Azzini.
Nell’edizione successiva Crupelandt vincerà 2 tappe. Ricordo, en passant, che nell’edizione 1911 la tappa più corta del Tour fu di 289km (470km la più lunga). Crupelandt vince la Belfort-Chamonix (344km) e la Nizza-Marsiglia (334km). La tappa Belfort-Chamonix è tappa di montagna, e Crupelandt si impone quindi come il primo passista-scalatore della storia.
Il sogno si avvera nel 1912: Crupelandt vince la Paris-Roubaix in volata davanti Gustave Garrigou. Con uno dei rari aiuti dalla fortuna: Maurice Léturgie, un giovane praticamente sconosciuto di Roubaix cade, quando è in testa alla corsa, a un centinaio di metri dall’ingresso al velodromo. Oggi l’ultimo settore di pavé della Roubaix, quello che introduce al velodromo, si chiama “Secteur Crupelandt”. Uno sport crudele.
Ci sono 100.000 persone all’interno ed all’esterno del velodromo per festeggiare la prima vittoria alla Roubaix de l’enfant du pays, Crupelandt. L’anno successivo Crupelandt arriverà 3°, mentre vincerà ancora la Roubaix nel 1914 (con al 4° posto un giovane Oscar Egg). Ad oggi resta l’unico nativo di Roubaix ad aver vinto l’inferno del nord.
Nel 1913, cadde in una gara in pista il 16 giugno rompendosi la clavicola. Lo bendarono e lo mandarono a casa. Crupelandt era rassegnato a non correre il Tour de France, che sarebbe partito il 29 giugno. Il proprietario della sua squadra però non ne vuole sapere di privarsi del proprio uomo di punta, quindi lo manda a Parigi, dove il dottor Dujarier, massimo specialista dell’epoca, lo opera il 20 giugno. Il 29 Giugno è alla partenza del Tour.
Durante la terza tappa, un cane gli attraversa la strada in discesa nella città di Baccarat. Crupelandt non lo riesce ad evitare e fa un volo di 15mt. Viene portato dagli spettatori, inconscio, dal farmacista locale. Ha una rotula lussata. Si ritira.
Altro aneddoto per far capire lo spirito del tempo: nel Tour 1914 è famosa l’avventura di Eugène Christophe, che in discesa dal Tourmalet viene urtato da una vettura dell’organizzazione che gli rompe la forcella della bici. Il regolamento all’epoca è chiaro: il corridore non può usufruire di aiuti e deve provvedere da solo alle riparazioni del proprio mezzo. Christophe si mette la bici in spalla (all’epoca si trattava di 11-12kg) e si fa 14km a piedi sino al primo paese. Li trova il fabbro locale con una forgia e si ripara da solo la forcella. Il fabbro gli offre il suo aiuto, ma resta famosa la risposta di Christophe: “non ne ho diritto”. Ci mette 3h, con i giudici di gara presenti. Ad un certo punto chiede al garzone di bottega si aiutarlo con il mantice per scaldare le braci: 10 minuti di penalità. Sport crudele.
Christophe prima della 6^ tappa era 2° a 5′. Arriverà 7° con 14h e 6′ di ritardo (il 3° ebbe un ritardo di 3h 30′).
Crupelandt nel 1914 oltre alla Roubaix è campione nazionale ed arriva 3° alla Milano-Sanremo. Che sia un tipo fortunato lo dimostra il fatto che al momento della dichiarazione di guerra si trova ad una gara su pista a Berlino. Tornerà in treno a Parigi sotto falso nome chiuso nella toilette per tutto il viaggio.
Tornato in patria viene spedito al fronte. Viene ferito lievemente una prima volta, poi più seriamente nel 1915. Viene decorato per “atti di eroismo” con la croce di guerra. Dopo la ferita viene assegnato come addetto dell’esercito alla supervisione delle fabbriche di veicoli d’automobile della Renault alle porte di Parigi. Li si fa coinvolgere in un traffico di batterie da alcuni operai con legami malavitosi. Il furto di materiale durante la guerra non è una cosa che in Francia presero alla leggera. Crupelandt scontò 2 anni di prigione dal 1918 al 1920.
Uscito di prigione volle tornare alle corse, ma la condanna gli impediva di essere tesserato per la federazione. Nonostante la pressione di una parte del pubblico e di alcuni giornalisti non ci fu clemenza. Voci dell’epoca raccontarono di una pressione di alcuni suoi colleghi per non fargli avere la licenza e liberarsi così di un avversario. Non uno sport da anime belle.
Per sbarcare il lunario Crupelandt si tesserò per una federazione parallela, la Société des Courses, e poté così correre almeno i campionati nazionali, che vinse nel 1922 e 1923, ma erano all’epoca corse di scarso prestigio.
Il suo sogno era sempre quello: la Roubaix. Ma senza tessera della federazione era un sogno impossibile. Alla fine Crupelandt si infilò nel gruppo durante l’edizione 1923, senza numero sulla schiena, da “portoghese”. Ovviamente non entrò in classifica, ma arrivò nel gruppo dei primi.
Nel 1924 si ritirò dalle corse, ed aprì una sua marca di biciclette la Cycles Crupelandt. Impresa che fallì poco dopo. Crupelandt abbandonò definitivamente il mondo del ciclismo aprendo un piccolo bar a Roubaix.
Nell’aprile 1943 viene arrestato per aver acquistato del carbone di contrabbando. Il mese successivo nuovamente per essere trovato in possesso di 23kg di grano e 85 uova, sempre di contrabbando. Non viene condannato, ma deve pagare delle ammende con cui perde il bar. Comincia un doloroso viaggio nella miseria e nella depressione.
A questo si aggiunge il diabete, che lo rende cieco. Nel 1955 gli vengono amputate entrambe le gambe. Muore il 18 Febbraio dello stesso anno a 68 anni.
Oggi Crupelandt non è sicuramente un campione molto ricordato, soprattutto fuori dalla Francia. Resta nella storia per le sue Roubaix e per essere stato immortalato nel primo dipinto di arte contemporanea rappresentante lo sport ed il ciclismo in particolare: Au vélodrome, di Jean Metzinger, che utilizzò come modello Crupelandt fotografato a Roubaix nel 1912. Il dipinto viene anche chiamato “il ciclista”, per antonomasia. Il dipinto è esposto al Museo Guggenheim a Venezia.
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