Il segmento delle bici da gravel sta crescendo sempre di più, sia nel numero di appassionati che nell’offerta delle aziende. Ad inizio anno Canyon aveva presentato la Grail, che fece un po’ di scalpore per il suo manubrio “doppio”. Anche noi ci siamo chiesti se non fosse una forzatura, una specie di mostro frutto della fantasia di ingegneri e designer, quindi ci siamo fatti dare una bici da provare.
Una premessa: chi scrive pensa che le gravel abbiano bisogno di percorsi adatti per poter essere apprezzate fino in fondo. Questo vuol dire strade sterrate, pendenze medie moderate, e tanti chilometri in sella alla scoperta di paesaggi che, di solito, si lasciano da parte sia se si giri con la bici da corsa che con la mountain bike. Dove vivo una gravel si potrebbe usare per qualche breve giro, così me la sono portata in vacanza e l’ho provata sui percorsi del Sile, Piave e Laguna di Venezia per un totale di 14 uscite e 706 km.
Caratteristiche
La Grail CF SLX 8.0 Di2 è il top di gamma della linea gravel di Canyon, con un telaio completamente in carbonio dal peso di soli 820 grammi dichiarati, trasmissione elettronica Shimano Ultegra Di2 con doppia 50-34 e cassetta 11-34 denti, e con il tanto discusso manubrio CP01. Anche questo è in carbonio, con la parte superiore pensata perché fletta e assorba meglio le vibrazioni provenienti dal terreno.
Essendo lo stem integrato, non si può cambiarne l’inclinazione, né la lunghezza della pipa. Un fattore che può non piacere a tutti ma che sul campo non mi ha dato nessun fastidio, visto che ho trovato la posizione di guida molto ergonomica e confortevole, ma su questo tornerò dopo. Da notare che la presa per caricare la batteria del Di2 si trova sulla parte destra del manubrio, mentre è disponibile un attacco per il Garmin da avvitare sotto il manubrio.
Il reggisella in carbonio è il Canyon S15 VCLS 2.0 CF, con la classica diramazione pensata per renderlo più confortevole. Scrivo classica perché l’ho già provato sulla bici da endurance del marchio tedesco, non è quindi un progetto nuovo per la gravel. La sella Fizik Aliante R3 merita una menzione in quando a comodità, almeno per il sottoscritto, anche sulle lunghe percorrenze, che su sterrato si fanno particolarmente sentire. A proposito di reggisella, vale la pena segnalare che è necessario che abbia diversi cm di fuorisella per farsì che possa flettere sotto il peso del ciclista.
Dalle foto potete vedere che è bello in fuori, il telaio però è una taglia S, consigliata dal configuratore Canyon fino ad un’altezza di 178cm. Io sono alto 179cm, cosa che mi metterebbe su una M, ma la mia altezza sella è di 730mm, quindi a cavallo fra una S e una M (l’altezza sella consigliata per una M parte da 717mm). Il caso volle che Canyon Italia avesse disponibile solo una S nell’arco di tempo del test, quindi me la sono fatta andare bene: se a livello di altezza sella è stato meglio così, per quanto riguarda il reach avrei preferito una M, comunque non ho mai avuto mal di schiena o dolori vari, neanche dopo 130km su sterrato.
I cerchi sono dei Reynolds Assault ATR in carbonio dal profilo di ben 41mm, piuttosto inusuale per una gravel. Non per niente vengono descritti come “Aero Gravel”. Il canale interno è di 23mm e ben si sposa con i pneumatici Schwalbe G-One bite da 40mm. I cerchi sono già nastrati, ho quindi latticizzato subito le gomme e le ho gonfiate ad una pressione di circa 3 bar.
I freni sono a disco, Shimano Ultegra, con dischi da 160mm di diametro. Il peso dichiarato della Grail così montata è di 8.2 kg in taglia M. Non l’ho potuto verificare perché non avevo una bilancia con me in vacanza, la sensazione comunque è di una gravel bella leggera.
Geometria
Interessante il fatto che Canyon offra la Grail con ruote da 27.5″ nelle taglie XS e 2XS.
Sul campo
Mi sono subito trovato a mio agio con la posizione in sella: la geometria è molto da endurance, nel senso che il dislivello fra manubrio e sella, di per sé, non è esagerato, anche se avrei potuto togliere dei distanziali per abbassarlo, e la posizione è piuttosto raccolta, cosa da imputare anche alla taglia S, ma dalle geometrie si vede che non è una bici su cui ci si “sdraia” per arrivare al manubrio.
Il manubrio è uno spettacolo, in particolare per due cose: la presa alta, con le mani vicino alla parte che flette, e la presa bassa. Ho trovato che la prima fosse fenomenale sui tratti disconnessi perché filtra molto bene le vibrazioni evitando che le mani si indolenziscano, mentre la seconda è molto particolare perché è necessario tenere i pollici sopra la barra orizzontale del “manubrio basso” per poter arrivare ai freni, cosa che rende la presa stessa molto ferrea e sicura. Ci si fa molto in fretta l’abitudine a mettere i pollici in quella posizione, mentre le prime volte andavo un po’ nel panico quando ero in presa bassa e non riuscivo a raggiungere i freni. Devo anche dire che non è comodissimo tenere a lungo i pollici così ma, se si considera il tipico percorso gravel vallonato/pianeggiante, difficilmente si sarà costretti in quella posizione per tanto tempo.
Sempre rimanendo in zona manubrio, i piccoli comandi del Di2 mostrano i loro limiti quando il percorso è molto sconnesso, perché diventa difficile centrale la leva giusta a causa delle vibrazioni. Non per niente tanti corridori usano il meccanico su una gara come la Parigi Roubaix, in cui le botte provenienti dal pavé sono spesso e volentieri più forti di quelle di un giro gravel. Shimano non ha un gruppo gravel o ciclocross a catalogo, nè un sistema come quello dello Sram Etap dove c’è un comando per ogni leva freno, cosa che rende la cambiata più facile sia sullo sconnesso che con guanti invernali.
Al di là del manubrio e del reggisella, il telaio in carbonio fa bene il suo lavoro di smussamento delle vibrazioni, ma ancor di più fanno i pneumatici Schwalbe da 40 latticizzati e gonfiati a pressioni piuttosto basse. L’insieme di questi fattori rendono la Grail molto confortevole nella guida in fuoristrada, ma non la estremizzano, nel senso che anche su asfalto mi sono trovato bene quando volevo spingere forte sui pedali e sono riuscito ad accelerarla e a tenere una buona velocità senza grossi problemi. La scatola del movimento centrale è bella massiccia, e la sensazione di rigidità in fuorisella ne conferma la costruzione robusta. Le gomme sono piuttosto rumorose su asfalto, non aspettatevi quindi di prendere alle spalle di sorpresa qualcuno che volete superare. Lo spazio in caso di fango fra telaio e copertone è generoso.
Sull’utilità di una doppia si può discutere a lungo, ma la considerazione d’obbligo fare riguarda esclusivamente i tipi di percorsi che si fanno abitualmente: se sono prevalentemente pianeggianti, una trasmissione singola potrebbe essere sufficiente, e la ritenzione della catena sullo scassato è sicuramente migliore su questa che non sul 2×11 (in due occasioni mi è caduta la catena durante il test a causa di gradoni in salita). Se si gira per i monti, con pendenze elevate, per ora non c’è via che non porti alla doppia. Canyon ha preferito andare sul sicuro, montando la doppia su tutta la gamma Grail.
Conclusioni
Il manubrio della Canyon Grail può non piacere esteticamente, ma è quello che differenzia in positivo questa bici dal resto che si trova sul mercato. Unito al reggisella e alle gomme (latticizzate) dalla sezione generosa crea un notevole comfort di guida in fuoristrada, rendendo anche le lunghe percorrenze piacevoli e prive di indolenzimenti e dolori vari. Se girate su percorsi particolarmente sconnessi dovreste prendere in considerazione un allestimento con gruppo meccanico, perché i comandi del Di2 sono difficili da azionare con precisione quando i colpi sono tanti e violenti.
Prezzo: 4.599 Euro, acquistabile solo online sul sito Canyon.