Dopo le gare di Terni, Mentana e Camerino, prima gara sulle Alpi per la Cervélo R5 in test. Auronzo di Cadore (BL), il Comelico e le Tre Cime di Lavaredo, sono il teatro della 1^ edizione della 3Epic Cycling Road.
Percorso ovviamente inedito, almeno per gli amatori. Molte salite nascoste e misconosciute, soprattutto quelle del Comelico, la zona più al nord del Cadore, ma non per questo meno dure e affascinanti, cui si aggiunge il classico passo 3 Croci da entrambi i versanti, quello di Auronzo e, per il percorso lungo, anche quello di Cortina, oltre all’ascesa finale al cielo: il rifugio Auronzo ai 2320 mt ai piedi delle 3 Cime di Lavaredo. Una terribile salita che ha visto le gesta di grandi campioni del ciclismo, l’ultimo Nibali che in rosa si avviava a suggellare il suo primo Giro d’Italia nella ventesima tappa del Giro del 2013.
Tre percorsi con partenza da Auronzo di Cadore per questa 1^ edizione, un lungo da 130 km per 4273, un medio con 93.8 per 3392 mt e un corto da 33 km per 1570 mt, tutti con arrivo alle 3 Cime a cui aggiungere i 33 km del rientro alla partenza, non cronometrati.
Originale anche la formula di classifica: oltre a quella usuale di percorrenza dalla partenza all’arrivo, che in questo caso non generava premiazione, venivano cronometrate tutte le singole salite, 6, 5 e 2 a seconda del percorso scelto, con premi per i primi 3 di ogni salita, per i primi 3 della somma delle salite di tutti e 3 i percorsi e dei primi di categoria per fascia d’età.
Una sfida nella sfida, per un territorio nuovo e vergine per il granfondismo amatoriale, le Dolomiti Venete e l’alta valle del Piave.
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Una sfida particolare anche per me, su un percorso e in una zona ove ho vissuto, trovato moglie e tanti amici. Nessun preparativo particolare tecnico però. Approccio sereno, con l’unico intento di vivere una breve vacanza pedalando ogni giorno con alcuni amici del forum saliti dal mercoledì insieme a me.
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Nemmeno la scelta del percorso è definita. La terribile salita delle 3 Cime di Lavaredo posta all’arrivo incute tanto timore, farla a piedi è un attimo, il dislivello è tanto in pochissimi km e sarà dunque la situazione di gara a scegliere per me (noi).
Il meteo, pur con un alternarsi di nubi e brevi scrosci, ci assiste per tutti i 4 giorni di vacanza, mantenendosi sempre asciutto mentre pedaliamo e soprattutto facendolo il giorno della gara, che si correrà con clima ideale per pedalare.
Stavolta sulla mia R5 la scelta delle ruote ricade su delle Fulcrum Rzero con copertoncini Continental Gp 4000SII da 23.
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Serve una ruota da salita, leggera e rigida, precisa e affidabile anche in discesa. Anche la trasmissione è adattata alla gara, con una corona da 34 davanti in luogo della classica 36, lasciando come corona grande il 52 (non prima di aver testato il funzionamento dell’abbinata 52-34 nei giorni precedenti) e un pacco pignoni 11-28 al posteriore.
Rapporti che negli ultimi 4 km serviranno tutti….almeno per zigzagare senza metter piede a terra.
La Gara
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Il paese di Auronzo di Cadore, sito sulle sponde dell’omonimo lago, è molto diverso da location di altre gare monstre. Mi vengono in mente Corvara e Soelden. Bellissime e organizzatissime località, ma sembrano, ai miei occhi, quasi finte. Un insieme di bellissime e curatissime costruzioni che sembrano ospitare solo attività commerciali e turistiche, prezzi esorbitanti senza che sembrino esserci abitazioni della popolazione locale. Auronzo, al contrario, è il classico paese di montagna, dove vi sono negozietti tipici e strutture ricettive, ma trasmette una familiarità diversa con la presenza di belle casette destinate ad abitazione privata adornate di fiori dagli abitanti. I prezzi sono notevolmente più bassi in tutto, alberghi e ristoranti in primis. Speriamo che non si adeguino per le successive edizioni della gara (e della sorella di mtb che si corre in settembre) seguiranno alla prima. Speciale è lo strudel che vendono nella pasticceria della piazza principale. Ma essendo mezzo “local” anche io, per me non era una scoperta.
Ottima la logistica che ruota tutta attorno al palaghiaccio, dove vi sono docce, parcheggi, pasta party, premiazioni, consegna pacchi gara e con la partenza distante solo un km e che avviene nel centro del paese.
Griglie ordinate, ben presidiate e rispettate. Ma stavolta era piuttosto facile. Oltre ad una atmosfera di serenità in cui si svolge l’evento, che aiuta tutti ad essere meno aggressivi e irrispettosi, il numero relativamente esiguo di partecipanti, poco più di 400, facilita le operazioni di controllo e di posizionamento. Basterà mettersi in griglia appena 20 minuti prima la partenza fissata per le 7.30 del mattino. Clima al limite dell’ideale, con 13° in partenza e l’unico neo di nubi basse che nei punti più panoramici del percorso inibiranno scorci da cartolina inediti per chi non conosce i posti. Per chi già li conosce anche la suggestione di pedalare fra montagne che fanno capolino fra le nuvole ha il suo fascino.
Partenza ad andatura controllata dentro il centro di Auronzo, per poi attaccare subito, dopo appena 3 km dalla partenza la prima salita cronometrata quella che attraverso il passo Sant’Antonio che porterà la carovana nella attigua valle del Comelico. Una salita che il primo assoluto farà in oltre 21 minuti, dunque parliamo di una ascesa impegnativa e durevole per la maggior parte dei concorrenti oltre 30, anche 40 minuti.
La conosco, la faccio bene, seppur in controllo (come tutti). E’ la prima e tanto dislivello ci aspetterà. Scollino a un paio di minuti dai primi. Sono con un piccolo gruppetto, ma voglio essere solo nell’attraversamento del successivo paese e mi butto in discesa più arditamente. In fondo alla successiva discesa c’è Santo Stefano di Cadore. Lì c’è la chiesa dove mi sono sposato, con mia suocera e tutti i miei amici di infanzia ad attendermi in piazza per salutarmi. Voglio il mio momento di gloria, come quando al Giro il gruppo lascia via libera al concorrente di turno che passa in fuga nel proprio paese per una sorta di visita parenti in gara.
Avrò tante foto personalizzate fatte da loro per me. La presenza di una ammiraglia che mi seguiva completa la scena.
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Finito il momento di “gloria” si rientra nei ranghi e nella gestione della gara. Le salite si susseguono, il comportamento di alcuni concorrenti è perlomeno anomalo (per come vedo io le gare di bicicletta). Salite fatte a tutta, alternate da tratti intermedi fatti a spasso, se non a ruota del tutto, in attesa dello scatto al tappetino della successiva salita. Non mi piace. Scelgo di fare la gara come di consueto, tirando sempre e ovunque dove posso e in un tratto non cronometrato mi tolgo di ruota un paio di concorrenti che volevano solo farsi portare a spasso senza far fatica in attesa del rilevamento successivo.
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Il numero ridotto di partecipanti e il percorso selettivo, fanno si che, almeno davanti, si sia in minigruppetti da 2/3 persone o addirittura da soli, come fosse una gara di mtb. E’ il mio caso. Farò gara praticamente tutta da solo, in salita come nelle discese, ma anche nel lungo falsopiano che da Auronzo porta all’attacco del passo 3 Croci verso Misurina. Inevitabile, se con una altimetria molto dura, non ci sono quei 5/6000 partecipanti che in qualche maniera “saturano” il percorso. Ciò farà si che al bivio posto a Misurina, dopo “appena” 87 km ma ben 2700 mt di dislivello percorsi, la mia scelta ricada sul dirigermi direttamente verso la salita finale optando per il percorso medio. Una scelta, che per le mie analoghe ragioni, molti altri, inclusi tutti i miei amici, faranno al bivio dei percorsi. Altri 20 km di falsopiano solitari tra Dobbiaco e Cortina e il successivo passo 3 Croci lato Cortina che ben conosco, sarebbero stati veramente troppi….dovendo poi salire sino alle 3Cime. Né c’era possibilità di riprendere i concorrenti davanti a me sul lungo. Troppo più forti e sicuramente già molto più avanti. Un altro livello proprio.
Dunque mi rimaneva “solo” l’ultima salita. Le 3 Cime di Lavaredo. La conosco molto bene, fatta molte volte, spesso con la mtb che dà la possibilità di scendere dal versante opposto attraverso il Lavaredo supertrail, poche volte con la bdc. Anche per una questione di rapporti. Un primo km e mezzo sempre intorno al 12/13% porta dal lago di Misurina a quello d’Antorno. Iniziano le visioni mistiche, ma per fortuna niente crampi. Due km che spianano e scendono leggermente, prima degli ultimi 4 e mezzo finali.
Una erta quasi sempre intorno al 13/14% con punte al 17% che non lascia respiro, reso arduo anche dall’altitudine e su uno stradone largo che ancor più dà l’effetto ottico del procedere lentamente.
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Il countdown della kilometrica a partire dai -3.5 km posto ogni 500 mt, sembra infinito come quello di un vecchio orologio a pendolo scarico. Il pendolo è il ciclista, io come molti altri, che zigzaga affannosamente per raggiungere la cima. Nel mio caso anche un fatto utilitaristico. Un concorrente dietro mi stava avvicinando e zigzagando riuscivo a fare una velocità e una cadenza che pur a fronte di una distanza percorsa maggiore, mi garantivano migliore vam, dunque ascesa più veloce. Ce la farò a mantenere la posizione per non più di una ventina di secondi, che con quelle pendenze saranno stati si e no 30 metri.
Il taglio del traguardo è una liberazione, la medaglia posta al collo da simpatiche ragazze, un bel premio che rimarrà come ricordo molto più di un prosciutto. All’arrivo una struttura chiusa permette il cambio di indumenti lasciati alla partenza, per la successiva discesa di ritorno alla base. Il ritorno è veloce e lascia vedere la sofferenza di chi sta ancora salendo e zigzagando in salita.
Splendida ed efficiente l’organizzazione in tutto. Pochi e piccoli i correttivi, che sicuramente saranno adottati e con la speranza che il numero di partecipanti cresca, come la location e la gente del luogo han dimostrato di meritare. Percorso per tutta la (mia) gara senza auto e incroci comunque sempre ben presidiati. Ristori…..come sempre vedo solo quello all’arrivo. E quello era fornito di ogni ben di Dio.
Nel cuore resta, oltre alla “visita parenti”, la splendida accoglienza della gente del posto, con intere scolaresche di bambini che nei vari paesi urlavano e inneggiavano al passaggio di ogni ciclista sventolando tantissime bandierine
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La faccia bella dello sport.
L’R5
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Che fosse leggera e performante in salita lo sapevo già. Per quanto poi questo possa veramente contare oltre alla gamba. La comodità alla distanza è però un elemento determinante nelle gare così lunghe. Finalmente ho potuto usarla anche su discese impegnative, lunghe, tecniche e pendenti. E’ molto guidabile, neutra e non brusca o imprevedibile. Fila via bene nei cambi di direzione, stabile in frenata e mai che dia la sensazione nei tornanti stretti di sovrasterzo puntando troppo verso l’interno curva.
Il deragliatore Duraace 9000 ha sempre ben gestito il salto di 18 denti della guarnitura che, per l’occasione, aveva corone 52-34. Non vi è stata nemmeno la necessità di alcuna regolazione successiva alla sostituzione della corona piccola. Con catena incrociata, 34 avanti e 11 dietro, la catena struscia leggermente sull’interno del 52 senza peraltro alcun malfunzionamento. E’, comunque, un incrocio da non adottare, in quanto inutile tecnicamente oltre che dannoso per la trasmissione. L’ho provata solo per controllo di funzionamento. Non sempre in gara si ha la lucidità giusta per evitare incroci e altre criticità e certe cose è bene provarle prima.
Appuntamento con la prossima gara che dovrebbe essere, salvo tappe intermedie l’esame finale per la R5 (e per chi la pedala): 28 agosto 2016 – Soelden – Oetztaler Radmarathon.
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